Recensione Qui non è il paradiso (2000)

C'è più coraggio nell'inseguire un sogno, o nel rimanere nella realtà? E' questo il dilemma che Qui non è il paradiso mette in scena con estremo realismo.

Sognando la Costa Rica

Ci vuole più fegato a lasciare tutto e partire per una meta lontana, ricominciando da principio, oppure a riconfermare ogni mattina la stessa vita fatta d'orari e lavoro? C'è più coraggio nell'inseguire un sogno, o nel rimanere nella realtà? E' questo il dilemma che Qui non è il paradiso mette in scena con estremo realismo. Gianluca Maria Tavarelli ritorna alla regia, dopo Portami via e Un Amore, con un film ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto a Torino nel 1996: il furto di un'ingente somma ai danni delle poste, orchestrato e realizzato da due dipendenti. Il fatto diviene spunto per trattare il tema della fuga, con tanto di colpo grosso, dal grigiore delle mattinate e delle divise, di quanti sono condannati a trasportare soldi che non possiederanno mai, e, per contrappasso, sono costretti a vivere di limitazioni.

Renato Speranza, Fabrizio Gifuni, è colui che organizza l'abile ed ingegnoso furto, con l'ausilio di tre complici, consumato nel tragitto quotidiano del furgone portavalori da lui guidato, senza destare alcun sospetto nella polizia di scorta. Renato è un sognatore, poeta a tempo perso e casanova. Nella sua mente c'è un pensiero fisso che lo tormenta: trasformare la propria modesta vita da dipendente, in un'esistenza libera da qualsiasi legame. L'evasione dalle rigide scansioni del tempo che il lavoro impone, verso un luogo senza sveglie rumorose, è rappresentata da quel coltello che trafigge l'odiato orologio di casa, ormai simbolo di una vita imprigionata da impegni e date. Il desiderio di fuga si manifesta anche nell'insofferenza verso quegli spazi urbani ormai monotoni e soffocanti, sognando distese di sabbia calda e fine contro le distese di pianura fredda e nebbiosa. Scappare da una realtà che lo determina e circoscrive spazio/temporalmente diviene un'ossessione, l'unica ragione per svegliarsi la mattina, l'ultima possibilità per nobilitare quell'esistenza che lo faceva mentire sulla propria professione, vergognandosi di rivelare l'esatta attività. Renato è ormai convinto che il solo mezzo per migliorare la qualità della propria vita siano i soldi, tanti soldi in un solo sforzo che comprino quella felicità tanto agognata, che solo lontano è sicuro di trovare. La Costa Rica, dagli eccitati racconti di un amico che ci visse, diviene così l'incarnazione di quel paradiso che Torino non può rappresentare. L'impaziente voglia di partire contagia anche l'inseparabile amico/complice Walter Taranto, la cui imprudenza coinvolge il neo-collega Michele Manzo, interpretato da un losco Adriano Pappalardo e il suo connivente Enzo Pece dal volto, mai così poco raccomandabile, di Ugo Conti. Manzo in particolare sembra incarnare la brama di denaro e l'avidità di chi non si accontenta mai, divenendo il personaggio più negativo del gruppo, che Pappalardo comunica con sguardi minacciosi e taglienti.

Gli unici personaggi a restare nella realtà quotidiana, e a rimanere puliti sono il commissario Lucidi, Antonio Catania, e Claudia, Erika Bernardi. Il primo si affeziona subito al caso, e ad un certo punto sembra quasi lasciarsi trasportare dal sogno di ricchezza maneggiando un biglietto della lotteria, ma è solo un attimo. Il suo senso del dovere lo riporta subito alla realtà, con la giusta e lucida considerazione che ci vuole più fantasia a restare, piuttosto che a fuggire. Claudia, incontrata poco prima del colpo, rappresenta con la sua purezza la parte migliore del protagonista, la forza e la bellezza della normalità, presentando l'unico motivo che potrebbe dissuaderlo dalla fuga, ma tutto è già stato progettato, e il processo di raggiungimento della facile gloria non può più essere disinnescato.
Tavarelli dimostra attenzione, otre che per i personaggi, anche per la narrazione, costruita secondo un complesso impianto ad incastro, che alterna momenti dell'indagine a flashback della rapina. La musica crea tensione e ci trasporta in quel clima drammatico da film di genere, che fa il verso a Rapina a mano armata di Stanley Kubrick nella complessità di costruzione, Le Iene di Quentin Tarantino nel dialogo tra i membri della banda, realizzato con la steadicam, e, con la massima evidenza, a Carlito's Way di Brian De Palma.
Qui non è il paradiso è l'analisi di un sogno, l'anatomia di un'illusione che rifugge la realtà, ma si scontra con il destino.