Sofia Coppola a Roma ci racconta i ladruncoli di Bling Ring

La regista americana torna in Italia dopo il Leone d'Oro vinto a Venezia nel 2010 con Somewhere per la presentazione del suo nuovo film Bling Ring, il dramma adolescenziale ispirato a fatti realmente accaduti e ambientato nelle movimentate notti vip di Los Angeles.

Giovani, carini e occupati a rubare nelle ville delle star di Hollywood più in voga del momento. La gioventù bruciata di Los Angeles è raccontata nel nuovo film di Sofia Coppola che partendo da un articolo comparso su Vanity Fair nel marzo del 2010, che ha ispirato l'intero film, ci porta nel mondo follemente decadente della cosiddetta 'banda del gingillo', il Bling Ring del titolo. Film d'apertura della sezione Un Certain Regard all'ultimo Festival di Cannes, il film della Coppola è incentrato sulle modalità con cui questi ragazzi, arrestati poi dalla polizia dopo le denunce di molti divi tra cui Paris Hilton (l'unica a comparire nel film e ad aver collaborato alla realizzazione del film facendo entrare la regista nella sua vera casa), Lindsay Lohan, Orlando Bloom e Megan Fox, hanno accumulato oltre tre milioni di dollari rubando nelle lussuose dimore dei loro idoli. Le frivole bravate di questo gruppetto di adolescenti losangelini ossessionati dalla celebrità e cresciuti nell'era dei social network, la dicono lunga secondo la regista sulla società di oggi e su come crescono i ragazzi nel mondo di Facebook e di YouTube. Il film, che vede impegnate le giovani Emma Watson e Taissa Farmiga insieme ai pressoché esordienti Claire Julien, Katie Chang e Israel Broussard, sarà nelle sale a partire da giovedì 26 settembre distribuito da LuckyRed in 300 copie.

Gli eventi narrati dal film avvengono tra il 2008 e il 2009, in concomitanza con l'esplosione della grande crisi economica, è cambiato qualcosa nel mondo delle celebrities nel frattempo?
Per quanto ho avuto modo di osservare il fascino per il mondo delle star, anzi forse il termine 'ossessione' sarebbe più appropriato, ed il successo dei reality show non ha fatto che crescere rispetto a quegli anni, il mio interesse si è soffermato più che altro sugli estremi che talvolta questa passione può arrivare a toccare, specialmente tra gli adolescenti.

Il suo film d'esordio alla regia è stato Il giardino delle vergini suicide ed oggi ci presenta Bling Ring, due film e due situazioni completamente diverse che rappresentano due epoche diverse, com'è cambiato da allora il mondo degli adolescenti?
Sicuramente le protagoniste del mio primo film erano delle ragazzine innocenti mentre qui l'innocenza non compare minimamente, è vero che parliamo di due epoche molto diverse ma mi interessava raccontare quello che sta succedendo ora nella nostra società, analizzare le origini di quella che definiamo 'cultura pop' e quanta distanza spesso ci sia tra i ragazzi e le loro famiglie. Non volevo generalizzare sui giovani di oggi ma solo analizzare il caso specifico di ragazzi cresciuti in situazioni di benessere che vanno in cerca di emozioni forti e non riescono a placare l'impulso che li spinge a cercare fama e ricchezza ad ogni costo.

Qual è la sua visione dei ragazzi di domani?
Sono molto curiosa, ho due figlie piccole e non ho idea di come sarà il loro futuro ma mi interessa provare a capire cosa succederà, se quello che sta accadendo ad un certo punto si fermerà e se faremo tutti un passo indietro. Vi confesso che per me questa storia ha un qualcosa di fantascientifico, quando ho iniziato a indagare sugli eventi mi sembrava impossibile che esistessero ragazzi così superficiali in grado di commettere questi crimini senza neanche pensare alle conseguenze delle loro azioni.

Perché secondo lei c'è questa tendenza del Cinema ad affrontare la decadenza morale delle giovani generazioni? Basti pensare anche al film presentato a Venezia da sua nipote Gia (Palo Alto, ndr)...
Il disagio dei giovani di ogni generazione è sempre stato e sempre sarà argomento di discussione per gli adulti, la storia raccontata nel mio film vuole analizzare gli stati d'animo, lo smarrimento, l'ansia di dover sempre condividere tutto con tutti in ogni momento. Penso di aver narrato una parte importante della cultura giovanile americana, il mio intento primario era quello di osservare e capire la reazione del pubblico, soprattutto quello americano, messo di fronte a queste realtà spesso sottaciute.

Con i giovani attori del film come ha lavorato? E' vero che li ha fatti entrare di soppiatto nella villa di un suo amico?
Ho cercato di far trascorrere loro più tempo possibile insieme per rafforzare l'idea di gruppo e stimolare l'affiatamento, sì è vero che li ho costretti ad entrare quasi di nascosto nella casa di altre persone per capire cosa si prova a violare la privacy degli altri, ma in realtà il mio amico sapeva tutto ed ha accettato di prestarsi a questo gioco. D'altronde siamo a Los Angeles e in alcuni di quei quartieri sono simili a delle comunità apparentemente felici e protette da ogni violazione, deriva da qui l'atteggiamento cool tipico californiano. Fossimo stati a NY le cose sarebbero state molto diverse...

Lo spettatore non prova mai empatia nei confronti dei protagonisti, è voluto questo distacco per far in modo che i ragazzi che vedranno il film non possano provare alcun tipo di fascinazione nei confronti dei loro coetanei sul grande schermo?
Sì, volevo che il pubblico li seguisse attentamente ma che mantenesse con loro un certo distacco emotivo né sviluppasse senso di intimità nei loro confronti, anche perché all'interno della banda questa intimità manca del tutto e l'unica cosa che li tiene insieme è il lusso e il denaro facile.

Dove ha studiato questi adolescenti di oggi, così diversi dai teenager che ha conosciuto ai tempi della sua adolescenza?
Ho parlato con i giornalisti che si sono occupati del caso, ho chiesto suggerimenti alla figlia di una mia cara amica che ha più o meno quell'età e mi ha aiutato molto con i dialoghi e con lo slang, ho letto tutte le registrazioni e le trascrizioni della polizia nei giorni dell'arresto, ho anche incontrato uno di loro dal vivo ma solo per qualche domanda, non volevo che mi influenzasse troppo nella stesura dello script. Il film è solo ispirato a fatti reali e per questo non ho usato i nomi veri ed ho potuto spaziare e mantenere la mia libertà autoriale, altrimenti avrei scelto di fare un documentario. Credo che il mio punto di vista sulla faccenda sia chiaro, il finale del film è quasi horror, mette i brividi.
Il suo rapporto con i marchi famosi che si vedono nel film e ne costituiscono una parte importante? E' tutto frutto di una campagna di product placement?
Volevamo essere molto autentici nel raccontare la storia, volevamo avere a disposizione i veri prodotti e i marchi famosi ce li hanno dati in prestito senza aggiungere denaro per farsi pubblicità. Vestiti, gioielli e accessori nel film non sono messi in 'buona luce' e quindi li abbiamo solo usati e poi restituiti, non si è trattato di product placement. Il mio rapporto con la moda non ha mai avuto a che vedere con il mero possesso delle cose, certo è che dopo questo film ho accusato come una specie di overdose da griffe e se prima ne ero affascinata ora lo sono un po' meno.

I suoi progetti futuri?
Non sto lavorando a nulla di importante e definitivo, penso che mi prenderò una pausa, ne ho bisogno, e ne approfitterò per stare con le mie figlie.