Recensione Photo (2012)

Il portoghese Carlos Saboga, già sceneggiatore piuttosto noto, passa con questo Photo dietro la macchina da presa: l'interesse suscitato dal tema viene tuttavia, in parte, depotenziato da una messa in scena troppo anonima.

Scatti di dolore

Elisa, trentacinque anni e una proposta di matrimonio incombente, ha appena perso sua madre. L'anziana donna, dalla gioventù turbolenta e rivelatasi incapace, in vita, di stabilire un duraturo rapporto di affetto con la figlia, aveva la passione della fotografia: è proprio rovistando tra i suoi vecchi scatti, la maggior parte dei quali risalenti agli anni '70, che Elisa scopre una verità che finora le era stata sempre celata. Appreso, con suo grande turbamento, che colui che pensava essere il suo padre biologico non è in realtà tale, la giovane donna decide di iniziare una dolorosa ma necessaria ricerca: un percorso accidentato e non privo di resistenze, che la condurrà in Portogallo tra le vecchie conoscenze di sua madre, ma anche tra i fantasmi di un periodo tormentato, che porta con sé i suoi strascichi di rancori e divisioni.

Il portoghese Carlos Saboga, già sceneggiatore piuttosto noto (tra i suoi script più recenti ci sono quelli di Linhas de Wellington e I misteri di Lisbona, diretti rispettivamente da Valeria Sarmiento e Raoul Ruiz) passa con questo Photo dietro la macchina da presa. Il film, presentato nella sezione CinemaXXI del Festival di Roma, ha un titolo che ne denuncia chiaramente gli intenti: sono gli scatti fatti dall'anziana Elsa (una somiglianza quasi "mimetica" con sua figlia, già annunciata dal nome e più volte ribadita nella storia) a fare da ponte tra un passato rimosso e un presente che pareva, se non felice, almeno stabile per la vita della protagonista. Quegli scatti, apparsi come silenziosi testimoni già sui titoli di testa, sono il centro motore della vicenda, l'elemento che porterà Elisa a dissotterrare memorie dolorose, ma anche a capire meglio se stessa, attraverso la figura di una madre che aveva sempre rappresentato un enigma. Il film di Saboga mescola memorie personali e collettive, fonde in un passato doloroso i fantasmi di un conflitto le cui ferite restano aperte, e quelli privati di chi in quel conflitto ha perso speranze ed affetti.
Il viaggio nella memoria che rappresenta il cuore pulsante di Photo, la graduale scoperta di uno scontro lacerante, che ha immolato sull'altare degli ideali legami che parevano indissolubili, è un elemento che desta immediatamente curiosità ed interesse. Il film riesce a introdurre lo spettatore alla scoperta di un periodo doloroso, attraverso i rimandi visivi degli scatti e quelli narrativi dei suoi superstiti: un momento della storia che non cessa di far sentire la sua influenza su un presente tuttora contraddittorio, e che sembra perseguitare, come una maledizione o un malvagio incantesimo, non ancora sciolto, anche le generazioni che quelle vicende non le hanno vissute. Proprio alla luce di questo enorme potenziale, dispiace constatare nel film di Saboga una certa mancanza di mordente, una regia eccessivamente piana ed anonima che non carica di senso drammatico, come sarebbe stato auspicabile, il viaggio della protagonista.
Una vicenda come quella narrata in Photo, che lo script predispone anche a un climax (potenzialmente) molto intenso, non trova qui la sua ideale realizzazione filmica; ingessata com'è in una regia timida, e in una prova eccessivamente legnosa della protagonista Anna Mouglalis. Tutto resta inespresso, emotivamente depotenziato da una freddezza che pare frutto di una scelta di tono poco funzionale: l'evoluzione del personaggio, i dubbi e i travagli accumulati nel corso della sua ricerca, non convincono per come vengono raccontati, e soprattutto non riescono a suscitare empatia. Il carattere un po' anonimo della messa in scena spegne subito l'interesse che la scelta del tema (e la felice scelta del medium fotografico come veicolo della memoria) aveva suscitato. Così, quello di Saboga resta un progetto dalle potenzialità in gran parte inespresse, di cui restano in mente semplici frammenti (tra questi, l'efficace dialogo tra la protagonista e lo sgradevole ex torturatore, ora allevatore di uccelli) e un clima generale la cui attrattiva che, più che al film, va ascritta alle peculiarità del periodo storico trattato.

Movieplayer.it

3.0/5