Recensione Mai morire (2012)

Il messicano Enrique Rivero firma un'opera dall'incedere evocativo e meditativo, per quanto pervasa da un alone di cripticità, che si affida alle suggestioni naturali degli scenari di Xochimilco per riflettere sullo scorrere dell'esistenza e sull'accettazione della morte.

Il fluire della vita

Si apre e si chiude in maniera ciclica Mai Morire, opera rarefatta e criptica di Enrique Rivero, ricorrendo a una sequenza stilisticamente significativa che racchiude l'intero percorso del film: la macchina da presa, con un movimento solenne in pianosquenza, gira attorno alla protagonista Chayo che, seduta su una canoa, si appresta in silenzio ad attraversare il canale che separa la sua casa dalla città, congedandosi in questo modo da un'esistenza che non le appartiene più. Nell'opera seconda dell'autore messicano, premiato nel 2008 a Locarno per il suo esordio Parque Via, a contare sono decisamente più gli spazi delle parole. A cominciare proprio da quell'intrico di corsi d'acqua che cinge la casa dove Chayo si è trasferita assieme al marito e ai figli per prendersi cura della vecchia madre. "Qui il tempo scorre in maniera differente", sostiene la donna: è come se il canale segnasse simbolicamente il confine tra un luogo ancestrale e incontaminato, ancora legato a una cultura pre-colombiana, e la moderna civilizzazione della città. A Xochimilco tutto sembra essersi fermato, e la Natura domina incontrastata e lussureggiante. Ma l'acqua, con il suo incessante fluire, serve proprio a sottolineare l'inesorabilità dello scorrere della vita, destinata a sfociare nell'approdo naturale della morte, intesa non come fine dell'esistenza, bensì come necessario stadio di passaggio successivo.

"Nessuno può sfuggire al suo destino", alla fine anche Chayo giunge a questa conclusione dopo aver tentato in ogni modo di strappare alla morte la madre quasi centenaria, la quale invece si è dimostrata da sempre pronta ad accogliere l'inevitabilità del corso delle cose. Un evento, quello della fine dell'esistenza dell'anziana donna, che però segnerà profondamente anche il cammino della figlia, pronta finalmente ad accettare ciò che il fato ha in serbo per lei. Con Mai Morire Enrique Rivero affronta questioni di carattere universale, interrogativi esistenziali cui non è possibile dare delle risposte ponendo affidamento sulla razionalità, ma soltanto lasciandosi abbandonare al fluire delle percezioni. Il regista decide di scegliere come teatro per le sue riflessioni il territorio di Xochimilco che, grazie alla sua peculiare e suggestiva conformazione, è particolarmente adatto a evocare delle atmosfere di natura spirituale e metafisica.
E sono proprio gli ambienti, magnificamente illuminati da una fotografia iperrealistica e quasi materica, alla maniera dei film di Terrence Malick, i veri protagonisti di quest'opera suggestiva e meditativa, per quanto forse eccessivamente stilizzata e laconica; caratterizzata da uno stile che oscilla tra un'attenzione quasi antropologica sui dettagli della cultura tradizionale indigena (in particolare la celebrazione dei defunti) e una vocazione puramente astratta e onirica. Valore aggiunto, l'intensa interpretazione della protagonista Margarita Saldaña, capace di supplire con la gestualità e le espressioni del volto all'essenzialità della sceneggiatura.