Recensione Layla Fourie (2013)

Nel suo terzo lungometraggio, la Marais pone in campo tutta una serie di importanti riflessioni etiche e filosofiche: il concetto di verità, di responsabilità, di autoconservazione.

Etica e verità, per una donna sudafricana

"Sei conscia del fatto che esista una sola verità?" E' questa la domanda che si sente rivolgere Layla Fourie, quasi all'inizio del suo test alla macchina della verità. E, nonostante la sua risposta si limiti a un laconico "", lei più di ogni altro dovrebbe sapere che non è possibile liquidare un argomento tanto complesso nel breve spazio di una sillaba. Perché, se i fatti sono spesso oggettivi e univoci, le loro conseguenze e le loro implicazioni non lo sono altrettanto, e quello che una sola, semplice verità iniziale può sottintendere sono altre verità, diverse, contraddittorie, che, pure, alla definizione di "vero", continuano a corripondere.

Pia Marais, nel suo terzo lungometraggio, continua nel suo percorso esistenziale e intimo all'interno della società e nell'animo umano, ambientando questa sorta di thriller psicologico su un substrato culturale ancora caratterizzato da forti tensioni e ambiguità come quello sudafricano. Layla Fourie è una giovane madre, single e di colore, che tenta di emanciparsi dal proprio lavoro notturno per poter crescere in maniera più sana e regolare il figlioletto: nonostante le reticenze iniziali del titolare, troverà un impiego in un istituto poligrafico, in cui, per un caso beffardo del destino, sarà lei stessa il più importante campo di prova per quella ricerca della verità che la sua nuova occupazione implica. Durante il viaggio verso il suo primo giorno di lavoro, Layla, convinta di essere pedinata, investe accidentalmente un uomo e, nonostante il tentativo di soccorrerlo, l'incidente ha come conseguenza la morte dello sconosciuto e la necessità, per Layla, di occultare il cadavere. Il tutto di fronte al piccolo Kane, che, nell'intrigo di bugie e omissioni messo in campo dalla madre per salvaguardare la sicurezza sua e del figlio, finirà poi per giocare un ruolo essenziale.

E' presto chiaro che l'intento della Marais non sia quello di affidarsi alla più stringente plausibilità nella sceneggiatura: Layla è infatti coinvolta in una serie di coincidenze che, nella loro oggettiva improbabilità, sono strumentali all'analisi psicologica e filosofica messa in campo dalla regista. Lo scollamento tra onestà e colpevolezza, tra la giustizia ideale e quella pratica, quella a cui è sottoposto chiunque debba confrontarsi con un mondo e con una società reali che, specie nel caso di Layla, difficilmente sarebbero disposte a comprendere, è il filo conduttore di tutta la pellicola, che la Marais arricchisce di un ulteriore snodo critico: quello del sentimento. Se Layla non conoscesse la moglie e il figlio dell'uomo che ha accidentalmente ucciso, si comporterebbe allo stesso modo? Se Layla non dovesse proteggere il proprio figlio, farebbe le stesse scelte? La Marais intreccia una rete di istanze morali di fronte a cui l'individuo, lasciato a se stesso con la propria colpa, è messo a nudo in tutta la sua incapacità di distinguere il vero dal falso, di stabilire una priorità nei propri valori. Dove la pellicola non centra perfettamente l'obiettivo, quindi, non è tanto nel non suggerire una riflessione, quando non addirittura un'aperta presa di posizione, in merito al senso delle nostre azioni e alla responsabilità morale dell'essere, insieme, singoli e parte di una società, quanto nell'affidare tale riflessione a personaggi per lo più monocorde, privi di quella profondità e di quel calore che ne farebbe dei protagonisti più autentici. Che i dialoghi siano essenziali, limitati allo stretto indispensabile non disturba: è invece la distanza che percepiamo in ogni gesto e ogni parola di tutti gli attori coinvolti in questa farsa esistenziale a disincentivare l'interesse dello spettatore, ad allontanarlo dal dilemma di fronte al quale si trovano e in conseguenza del quale saranno costretti a imprimere una precisa direzione alla loro esistenza.

Per quanto la premessa sia affascinante, Layla Fourie spreca il proprio potenziale drammatico e narrativo con una sceneggiatura e una gestione dei personaggi che non riescono a penetrare oltre la superficie, che non vanno di pari passo con la serie di spunti di riflessione messi sul piatto dalla Marais: l'ambizione dello spettatore di essere davvero trascinato in un conflitto interiore che tocchi il rapporto dell'essere umano con se stesso, con la propria società e con la propria eredità morale, così come sembrava essere nelle intenzioni della regista, viene continuamente disattesa.

Movieplayer.it

2.0/5