Recensione Kiki consegne a domicilio (1989)

Nonostante sia reputato da più parti un Miyazaki "minore", Kiki Consegne a domicilio resta un'opera da vedere, perfettamente inserita nella filmografia del suo autore: più leggibile e diretta, ma non meno poetica ed emozionante dei film più noti del maestro nipponico.

Piccole streghe crescono

Quando si parla di Kiki Consegne a domicilio, lungometraggio di Hayao Miyazaki datato 1989, la definizione che si sente usare più spesso è quella di un "Miyazaki minore". Definizione che può forse trovare una giustificazione, considerato il numero e la qualità dei termini di paragone, nella lunga carriera del maestro giapponese: opere come Nausicaa della valle del vento, Il castello nel cielo, Principessa Mononoke, possono essere considerati a ragione dei classici, non solo del cinema d'animazione. Eppure, con una definizione così sbrigativa, è facilissimo mettere tra parentesi, o addirittura ignorare, i notevoli pregi di quest'opera, ultima in ordine di tempo tra le riproposizioni in sala targate Ghibli ad opera della Lucky Red. Va detto, anzi, che un film come questo acquista probabilmente punti con un maggior numero di visioni, magari a distanza di tempo e dopo averlo potuto correttamente inquadrare nella filmografia del suo autore: perché, se è pur vero che siamo di fronte all'opera forse più leggibile, di fruizione immediata, nella carriera di Miyazaki, resta comunque il fatto che i temi trattati (la crescita, l'amicizia, il contrasto tra tradizioni e modernità) sono tutt'altro che banali, oltre che perfettamente inseriti nella poetica dell'autore. Così, la distribuzione di Kiki in sala potrà essere utile non solo per il pubblico più giovane (per cui il film resta comunque pensato) ma anche per chi lo avesse magari liquidato, troppo sbrigativamente, come opera minore in una filmografia costellata di capolavori.


Il plot, ispirato a un romanzo per ragazzi scritto da Eiko Kadono, racconta della giovane strega Kiki, che, come vuole la tradizione, deve allontanarsi da casa per compiere il suo apprendistato, una volta raggiunti i tredici anni di età. La ragazzina, in sella alla sua scopa e in compagnia del suo gatto nero Jiji, parte così con l'entusiasmo e la curiosità che la contraddistinguono, alla ricerca di una città dove potersi stabilire e poter raggiungere una sua indipendenza. Giunge così nel grande centro di Koriko, che la conquista per la presenza del mare e della grande torre con l'orologio: qui conosce Osono, solare proprietaria di una panetteria, che le permette di avviare un lavoro di consegne a domicilio; e il suo coetaneo Tonbo, strambo ma simpatico ragazzo, che mostra da subito una spiccata curiosità per la giovane strega.
La prima cosa che salta all'occhio, nella trama del film, è la sua collocazione in un vero e proprio universo parallelo: il setting è quello di una città giapponese con caratteristiche spiccatamente occidentali (l'ispirazione principale, dichiarata, è Lisbona, ma troviamo anche elementi di capitali quali Parigi, Amsterdam, e di molte altre città europee) mentre l'ambientazione temporale, secondo quanto dichiarato dal regista, sarebbe una versione idealizzata degli anni '50, non toccata dalle tragedie della Seconda Guerra Mondiale. Caratteristiche, queste, che riflettono la passione di Miyazaki per le città europee e la loro architettura, ma che si arricchiscono di un ulteriore elemento fantastico: la presenza di una strega, nella storia, è tranquillamente accettata dagli esseri umani e vista come normale, seppur rara. Il film immagina una convivenza pacifica, negli anni, tra uomini e streghe, con la presenza di queste ultime, tuttavia, sempre più marginalizzata dall'avanzare della modernità.

E sta proprio qui uno dei principali elementi della trama, il contrasto tra tradizioni antichissime, incarnate dalla famiglia di Kiki e dalla sua semplice vita in un piccolo centro, e una modernità sempre più invadente, non priva di fascino per la giovane protagonista, ma avvertita anche nei suoi elementi problematici. L'impatto di Kiki con la città è quantomai traumatico: il suo arrivo a cavallo della sua scopa, e la sua ingenua esuberanza, vanno a cozzare (anche letteralmente) con una vita cittadina dai ritmi frenetici e con poco spazio per la costruzione di legami. Il contrasto si riverbera anche, in piccolo, su quello interno alla protagonista, tipico della sua età adolescenziale: la sua voglia di indipendenza (con la costruzione di una nuova scopa) contro la sicurezza del seguire i consigli degli adulti, la voglia di unirsi ai suoi coetanei che vivono in città (e l'attrazione per Tonbo) contro la volontà di preservare la sua identità di strega, anche mantenendone gli abiti. La costruzione del rapporto tra Kiki e Tonbo è trattata da Miyazaki in modo delicato ed efficace, con quegli avvicinamenti e allontanamenti (simbolicamente riproposti anche nella scena del salvataggio finale) e quell'insicurezza nell'approccio, che sono tipici dell'adolescenza. La stessa crisi in cui la protagonista precipita, con l'indebolimento dei suoi poteri, sembra frutto di una mancata comprensione della propria identità, risultato di quell'età mediana in cui manca una piena definizione personale: non a caso, sarà l'allontanamento dai ritmi cittadini, e il recupero di una dimensione più intima, nella baita della pittrice Ursula, a consentire a Kiki di fare un po' di chiarezza e superare le sue paure.
Quello che, più in generale, colpisce della descrizione che il film fa dell'adolescenza, è la spinta verso un'assunzione di responsabilità, da parte della giovane protagonista, che ai nostri occhi (occidentali e moderni) appare forse prematura: a soli tredici anni, Kiki è portata a fare un passo enorme verso la crescita, raggiungendo l'indipendenza economica e costruendo in autonomia i propri spazi. Una filosofia che la stessa protagonista abbraccia con entusiasmo, con il rifiuto di percepire un compenso dall'anziana signora di città senza che il lavoro sia stato effettivamente svolto: il successivo, sdegnoso atteggiamento del ragazzo destinatario della consegna, mostra tutta la distanza tra la cultura in cui è cresciuta Kiki (che è quella dello stesso Miyazaki) e una modernità cittadina che tende a cancellare, di quella cultura, molti dei valori fondamentali.
Se è vero che in Kiki Consegne a domicilio sono meno presenti le simbologie tipiche del cinema di Miyazaki, e se è vero che, tra le sue opere, questa rappresenta forse quella più "occidentale", e immediatamente fruibile ai nostri occhi (oltre che maggiormente pensata per un pubblico di giovanissimi) non bisogna tuttavia fare l'errore di cui si diceva in apertura: quello di sottovalutarne i pregi, stilistici e di contenuti, non vedendo la sua profonda organicità nella filmografia del maestro nipponico. Il livello tecnico dell'animazione è, come sempre, altissimo, mentre lo score di Joe Hisaishi colpisce ancora una volta il cervello e il cuore; ma è la magia (e, dato il tema, mai termine fu più appropriato) del tocco del regista a dare consistenza alla storia, a trasmettere emozione a una vicenda in sé abbastanza lineare. Goderne di nuovo, su di un grande schermo, rappresenta l'antidoto migliore all'attesa (a quanto pare prossima a concludersi) per la nuova opera del maestro giapponese, quel Kaze Tachinu (The Wind is Rising) il cui arrivo nelle sale nipponiche è previsto per luglio.

Movieplayer.it

4.0/5