Recensione Death of a Superhero (2011)

E' coraggiosa, e insolita, la scelta del regista Ian Fitzgibbon di fondere il cinema live action con l'animazione per rappresentare il mondo interiore del giovane protagonista.

Chi (non) muore, ama

Donald, 15 anni, sente di aver poco tempo davanti a sé. Il ragazzo è infatti malato di un tumore al cervello che non gli lascia molte speranze: disegnatore di grande talento, Donald vive la sua condizione lasciandosi andare a un nichilismo completo, mettendosi spesso nei guai con la polizia e giocando disinvoltamente con la morte, sfidandola in più di un'occasione tra una camminata sui binari del treno e una sullo stretto parapetto di un ponte. Nel mondo dark partorito dalla sua fantasia, Donald è però un possente supereroe che è stato appena catturato da un malvagio scienziato, che si prepara ad affondare le siringhe che ha al posto delle dita nel suo corpo, dilaniandolo. Preoccupati per lo stato mentale del ragazzo, oltre che per le sue precarie condizioni di salute, i genitori di Donald affidano il ragazzo a un terapista dopo l'altro, nessuno dei quali sembra riuscire a venir a capo della sua complicata situazione: solo l'ultimo, il dottor Adrian King, riesce infine ad aprire una breccia nei meccanismi psicologici eretti da Donald, stimolandolo anche a vivere, nel poco tempo che gli resta, la gioia dell'amore.

Nell'ambito del Festival di Roma, la sezione Alice nella città è spesso foriera di proposte interessanti, sovente in grado di andare oltre il ristretto recinto del cinema dedicato agli spettatori più giovani. Non fa eccezione questo Death of a Superhero, diretto dall'irlandese Ian Fitzgibbon e interpretato dalla coppia costituita dal giovanissimo Thomas Sangster (già visto in Love Actually - L'amore davvero e in Nowhere Boy) e da un Andy Serkis che per fortuna, qualche volta, riusciamo a vedere col suo vero volto, senza le amate/odiate meraviglie del digitale a nasconderne le fattezze. E' coraggiosa, e insolita, la scelta di Fitzgibbon (che ha tratto il film da un romanzo di Anthony McCarten) di fondere il cinema live action con l'animazione per rappresentare il mondo interiore del ragazzo: un espediente usato non di rado, negli ultimi anni, nel cinema di genere hollywoodiano, che qui tuttavia acquista una diversa valenza dato il particolare, e delicato, tema del film. Le ossessioni e gli incubi del protagonista prendono così vita in un universo dark dai tratti grezzi e affascinanti, che si alterna senza soluzione di continuità al mondo reale e rappresenta per Donald l'unico modo di esprimere, col linguaggio delle immagini, la sua delicata situazione. Situazione che il ragazzo si illude di poter controllare flirtando in continuazione con la morte, cercando su di essa, attraverso i suoi gesti estremi, un impossibile e in fondo neanche voluto senso di controllo.
In un film dalla sceneggiatura semplice ma non semplicistica, va rimarcata la capacità di alternare registri diversi, con un risultato che appare quasi sempre convincente: non ci si vergogna di sorridere di alcune situazioni che coinvolgono il giovane protagonista nel suo approccio con l'altro sesso (rappresentato dalla coetanea Shelly) o dei suoi volenterosi amici che, per non farlo morire vergine, si industriano a cercargli una prostituta. Solo alcune sequenze, tra cui quella dello spinello fumato insieme al padre, appaiono un po' forzate ed eccessivamente virate al grottesco, ma in generale lo script riesce a restare serio e credibile pur mantenendo, nel fondo, una leggerezza di tono che non guasta. Se la love story tra il protagonista e la ragazza, elemento che la sceneggiatura ha aggiunto di sana pianta alla storia originale, viene portata avanti attraverso binari collaudati e in fondo risaputi, i duetti tra Donald e il suo medico sono impreziositi dalla bravura dei due interpreti, che si completano a vicenda riuscendo anche a specchiarsi, in modo convincente, l'uno nell'altro.
Così, se da una parte Death of a Superhero colpisce per l'inedito mix di animazione e cinema dal vivo, esperimento che può fornire indicazioni utili per il cinema, non necessariamente di genere, degli anni a venire, sono la semplicità e la linearità della sua narrazione (oltre a una regia un po' timida) gli elementi che alla fine lo caratterizzano maggiormente, ma che ne risultano anche il limite principale. La sincerità di intenti, e la professionalità con cui il film è realizzato, non sono comunque in discussione, e fanno in modo che l'operazione susciti un'istintiva simpatia, al di là dell'importanza dei temi trattati.

Movieplayer.it

3.0/5