One Life, la regia di James Hawes e un mondo sull'orlo del fallimento

"Se costruiamo barriere l'uomo è destinato a fallire". Anthony Hopkins e la storia vera di Nicholas Winton: la nostra intervista a James Hawes, regista di One Life.

One Life, la regia di James Hawes e un mondo sull'orlo del fallimento

Roma, ottobre 2023: dieci minuti faccia a faccia con James Hawes che, con tono garbato e con accento squisitamente britannico, ci racconta il suo debutto cinematografico dopo una lunga (e apprezzata) carriera nella serialità televisiva, avendo diretto diversi episodi di Doctor Who, di Penny Dreadfull, di Black Mirror, Snowpiercer e di Slow Horses. Ma il suo è debutto importante, in quanto ha portato al cinema la storia vera di Nicholas Winton, eroe inglese che, tra il 1938 e il 1939, ha salvato quasi settecento bambini, portandoli in salvo dalla Praga invasa dai nazisti fino a Londra.

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Anthony Hopkins in One Life

Ecco One Life (qui la nostra recensione), con protagonisti Anthony Hopkins e Johnny Flynn che interpretano Winton, seguendo due time-line differenti: lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e il 1988, quando Nicholas rende pubblica la sua storia, finendo per conoscere quei bambini ormai cresciuti. "Se Nicholas fosse ancora vivo, sarebbe inorridito dalla reazione odierna di Londra rispetto agli immigrati", spiega James Hawes a Movieplayer.it. "Dovremmo ripensare all'importanze dei migranti. E questo film può aiutare a capire una necessità fondamentale".

One Life: intervista al regista James Hawes

James, chi sono secondo lei gli eroi di oggi?

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Una scena di One Life

Hai iniziato con una domanda davvero difficile! Chi sono gli eroi di oggi? È una cosa che decide ogni singolo individuo. Ma troppo spesso gli eroi oggi sono le persone che ricevono più attenzione. Quelli più rumorosi. O quelli che si promuovono come fossero gli eroi di Instagram. Nicholas Winton, interpretato da Anthony Hopkins, è l'esatto contrario di tutto questo. È l'eroe tranquillo, l'uomo comune. Diceva sempre: "Non si tratta di me. Ho fatto qualcosa perché era la cosa giusta da fare". Oggi sfiderei le persone a fare le cose non per ricevere like, ma perché sia solo giusto farle.

One Life, la recensione: grande storia vera, film troppo canonico

Avete scelto prima Hopkins o Johnny Flynn?

Anthony Hopkins il primo ad essere scelto, perché la figlia di Nicholas Winton, custode della storia di famiglia, ha detto: "Anthony Hopkins deve interpretare il ruolo di mio padre. Sarebbe stato perfetto". Questo ha dato il via al processo. E così abbiamo avuto Hopkins. E poi: come possiamo avere un Hopkins più giovane? Abbiamo bisogno di un attore con la stessa umiltà, con la stessa intensità, con lo stesso carisma. E abbiamo pensato a Johnny Flynn, ha anche lui questa modestia innata. È disposto a diventare un'altra persona senza imporsi sul ruolo.

Come ha lavorato con il compositore Volker Bertelmann?

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Johnny Flynn in One Life

Volker Bertelmann ha recentemente vinto l'Oscar per Niente di nuovo sul fronte occidentale. È un compositore sorprendente e gentile, che ha capito subito che si trattava di un film umile. E non voleva riempirlo di musica. Voleva anzi una colonna sonora che riflettesse l'uomo. E noi ci tenevamo molto a non rendere il film troppo duro con la musica. Questo è ciò che dovete provare. Pensiamo che ci sia abbastanza emozione nella storia e nelle interpretazioni. Voleva quindi sostenere questo aspetto e supportare la narrazione, senza renderla opprimente.

"Un film molto attuale"

Il film para di immigrazione, e di una certa apertura. Eppure, oggi si costruiscono muri.

Se Nicholas fosse qui, sarebbe stupito e credo inorridito dal fatto che a Londra si reagisca ancora in modo così negativo ai rifugiati. Quando abbiamo proiettato questo film, tra il pubblico c'erano 1112 dei sopravvissuti. Erano medici e professori, erano stati politici e attivisti di spicco. Tendiamo ad avere un'immagine dei rifugiati come persone che arrivano senza soldi, senza competenze e che vogliono solo prendere qualcosa. Dovremmo ripensare a ciò che ci aspettiamo dai rifugiati. Sono persone che possono costruire la nostra società. Se costruiamo barriere, siamo destinati a fallire.

Lei ha lavorato nelle serie tv. Com'è stato il passaggio al cinema?

Credo che questa sia l'età dell'oro per lo schermo. Una nuova età dell'oro. Sono passati solo dieci anni da quando gli attori del cinema hanno iniziato ad apparire sui piccoli schermi. Ora è considerato facile muoversi tra le due cose. La televisione ci offre una forma per raccontare storie più lunghe e dettagliate. Ma ci sono ancora storie che, a mio avviso, richiedono di essere viste al cinema, con un pubblico. Abbiamo appena assistito al fenomeno Barbenheimer. Dopo il Covid la gente è tornata al cinema. E One Life vi farà uscire dal cinema sollevati. Lo si capisce perché si condivide l'esperienza. Il cinema sta tornado ad essere grande. E credo che questo ci ispiri a vedere quali storie possono essere raccontate anche in modi nuovi, su tutti gli schermi di tutte le dimensioni.

Devo chiederglielo: che rapporto ha con il cinema italiano?

Alcuni dei miei film preferiti sono italiani. Una delle cose che ho sentito quando sono arrivato a Roma, è che il cinema italiano sta morendo. Non è vero. Avete una tale vitalità. Ci sono giovani autori interessati. E ho provato la stessa sensazione fa a Londra, o a Toronto dove ho portato One Life. C'è un vero entusiasmo. Del resto è nel sangue dell'Italia. È nel sangue di Roma. E lo si può sentire attraverso i sampietrini...