Recensione Miracolo a Sant'Anna (2008)

La chiave interpretativa di Miracolo a Sant'Anna sta proprio nel flashback contenuto nel cuore del film e ambientato nella Louisiana degli anni '40, là dove il regista pone la sua firma indelebile denunciando polemicamente la realtà dell'epoca che vedeva i soldati neri trattati alla stregua di animali e cacciati sul retro dei locali mentre i prigionieri tedeschi venivano serviti con ogni riguardo.

Non è più tempo per i miracoli

Sgombriamo subito il campo dalle polemiche che in questi ultimi giorni hanno preso piede sui quotidiani causando continui botta e risposta tra Spike Lee, l'Associazione Nazionale Partigiani, lo scrittore James McBride, qui al suo debutto in veste di sceneggiatore, i reduci di guerra, i sopravvissuti alla strage di Sant'Anna di Stazzema, il sindaco del paese, Variety, alcune firme illustri della nostra carta stampata e chi più ne ha più metta. Il cartello posto a inizio film, precauzione fortemente voluta dall'ANPI, funge da memento riportando la sentenza della Corte Militare di La Spezia del 2005 che ha ribadito come l'eccidio nazista del 12 agosto 1944 fosse un atto terroristico premeditato slegato dal contesto della lotta partigiana, e ricordando che la versione offerta dal film è unicamente frutto della fantasia dell'autore. Spike Lee invoca a gran voce i maestri del Neorealismo dichiarando di essersi ispirato a Rossellini e Visconti, ma qui ci troviamo più dalle parti del neorealismo fantastico di Miracolo a Milano (omaggiato fin dal titolo) di Vittorio De Sica e ancor più della sua versione edulcorata e attualizzata rappresentata da La vita è bella di Roberto Benigni. Superfluo, dunque, tacciare Spike Lee di revisionismo nei confronti dei partigiani, quando in pratica, in Miracolo a Sant'Anna, di partigiani ne vediamo sostanzialmente due, uno dei quali è un cattivo a tutto tondo il cui ruolo è strumentale ai fini del plot, mentre l'altro, il capo partigiano 'La grande farfalla', interpretato da Pierfrancesco Favino, riesce a ritagliarsi pochi momenti incisivi all'interno del lavoro risultando di fatto molto poco carismatico e piuttosto incolore. Quello che interessa realmente a Spike Lee non è certo screditare la Resistenza italiana, ma aggiungere un altro tassello al suo personale discorso legato all'orgoglio nero e alla denuncia del razzismo profondamente radicato nel tessuto sociale americano.

Per portare avanti questa tesi, il regista di Fa' la cosa giusta e Inside Man ha deciso di affidarsi alla penna di James McBride, "scrittore commerciale di romanzi storici" come lui stesso ama definirsi, folgorato dal paese di Sant'Anna di Stazzema e dalla sua storia tanto da decidere di decidere di dedicargli un libro, i cui veri protagonisti sono, però, quattro soldati di colore appartenenti alla 92° divisione dei Buffalo Soldier, interamente composta da afroamericani inviati sul fronte italiano, a ridosso della linea gotica, per combattere una guerra che non gli appartiene. Meglio allora abbandonare le sterili diatribe storiche per concentrarsi sulle questioni prettamente cinematografiche. Passano gli anni e Spike Lee consolida sempre di più la sua posizione di autore e il suo potere contrattuale, ma non accenna ad affievolirsi quella rabbia che ha sempre infiammato il suo cinema e che lo vede ferocemente contrapposto alla società bianca, anglosassone e protestante. La chiave interpretativa di Miracolo a Sant'Anna sta proprio nel flashback contenuto nel cuore del film e ambientato nella Louisiana degli anni '40, là dove il regista pone la sua firma indelebile denunciando polemicamente la realtà dell'epoca che vedeva i soldati neri trattati alla stregua di animali e cacciati sul retro dei locali mentre i prigionieri tedeschi venivano serviti con ogni riguardo. A suggello della tesi lo sguardo in macchina dei protagonisti, marchio di enunciazione immancabile nelle sue pellicole, a cui il regista non ha voluto rinunciare neanche in un'opera così distante dal suo cinema caustico e compatto come Miracolo a Sant'Anna.

Un affresco storico che parte come un thriller, devia verso il film di denuncia, apre una lunga parentesi da favola buonista che svela come anche in guerra possano esistere atti di grande umanità, supportati da un pizzico di magia, per poi tornare a svoltare bruscamente in direzione della bruta violenza bellica e concludersi con un coup de théatre che strizza l'occhio allo spettatore. Il film si presenta come un affresco patchwork che mescola stili e toni risultando estremamente difficile da gestire vista la quantità enorme di spunti che vanno a sommarsi. Inevitabile la discontinuità nell'andamento della pellicola, discontinuità che si fa scelta programmatica fino a diventare forma che rispecchia il contenuto del lavoro. Il film alterna, così, momenti decisamente riusciti a ingenuità che non ci aspetteremmo da un regista capace come Spike Lee, e che si concentrano soprattutto nella cornice contemporanea, là dove l'autore calca un po' troppo la mano sull'aspetto macchiettistico dei personaggi dando vita a una sorta di parodia del mondo degli sbirri italoamericani sboccati e pressapochisti che popolano pellicole come Summer of Sam o Clockers, qui sintetizzati nel breve cameo dell'attore-feticcio John Turturro. Decisamente affascinante è, invece, la parte ambientata nella Toscana occupata del 1944, con l'accurata sequenza bellica d'apertura nel fiume Serchio in cui la pellicola inizia a decollare (anche l'agghiacciante massacro che chiuderà il lungo flashback conferma come il regista riesca a dare il meglio di sé nelle sequenze belliche), favorita anche dalla bellezza delle location e dall'arguta trovata della sexy speaker Axis Sally, incarnata da Alexandra Maria Lara, che istiga i soldati di colore a disertare facendo leva sul loro rancore nei confronti dei bianchi. A tratti la lunghezza eccessiva della pellicola si fa sentire, in particolare pesano i didascalici flashback nel flashback, dovuti all'inesperienza in campo cinematografico dello sceneggiatore McBride, che appesantiscono la struttura e stemperano l'intensità dei sentimenti.

Un altro difetto imputabile più alla scrittura che alle scelte registiche è la decisione di tratteggiare con cura i caratteri dei quattro protagonisti principali contrapponendovi una serie di figurine bidimensionali che si muovono intorno a loro seguendo schemi predeterminati - i feroci comandanti delle SS, il soldato buono che si ribella e disobbedisce, ma paga con la vita il suo coraggio, gli italiani caciaroni. Da questo punto di vista, pur essendo un film ambientato interamente in Italia, in Miracolo a Sant'Anna la percezione della distanza tra la cultura americana e quella nostrana si fa sentire tutta. I personaggi italiani presenti nel film soffrono pesantemente di questa tendenza allo stereotipo e due bravi attori come Omero Antonutti e Valentina Cervi restano invischiati in ruoli rigidi e semplicistici come quello del fascista nostalgico e della sua sensuale figlia, pronta a fraternizzare con i soldati con una naturalezza decisamente poco realistica.

La seconda parte del film racchiude, però, anche la commovente rievocazione dell'eccidio di Sant'Anna che è raccontata con una rapida, ma toccante sequenza di grande impatto visivo ambientata sul sagrato della chiesa che non può non veicolare lo sdegno per un crimine atroce il cui ricordo brucia ancora ferocemente. A conti fatti si esce dalla visione di Miracolo a Sant'Anna con la sensazione di un'opera riuscita solo a tratti, là dove i picchi registici (oltre alle scene delle battaglie va ricordata una straordinaria sequenza che mette in parallelo il plotone dei Buffalo Soldiers, gli italiani seduti in chiesa e il soldato tedesco appassionato di Pascoli riuniti in una vibrante preghiera collettiva) lasciano l'amaro in bocca facendo presagire ciò che il film avrebbe potuto diventare con una maggiore cura in fase di scrittura e con l'eliminazione delle scene superflue. Nello stesso tempo l'opera è così ricca di materiali, citazioni, provocazioni e spunti di discussione da far riflettere a lungo gli spettatori che decideranno di andare a vedere il film. Nel bene e nel male un regista come Spike Lee riesce a non essere mai banale. Che sia questo il suo vero intento?

Movieplayer.it

2.0/5