Matrix: da 20 anni nella Tana del Bianconiglio

Era il 31 marzo del 1999 quando Matrix, il rivoluzionario film degli allora fratelli Wachowski cambiava per sempre la percezione del cinema fantascientifico.

Matrix è ovunque, è intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L' avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.

Keanu Reeves in una scena d'azione di MATRIX
Keanu Reeves in una scena d'azione di MATRIX

Piovono rane, crollano palazzi, l'essere umano è ridotto a vegetale. Campi sterminati di corpi atrofizzati usati come pile per alimentare macchine senzienti. Corre l'anno 1999 e il cinema sublima in modo più o meno inconscio l'avvento del nuovo millennio. Un evento stimolante, che dietro la sua parvenza d'eccitazione nasconde inquietudini profonde come la Tana del Bianconiglio. E allora ecco le stranianti precipitazioni di Magnolia e lo spirito apocalittico di Fight Club. E poi lei: la disturbante allegoria dedicata alla presunta scissione tra l'Io reale e l'Io digitale profetizzata da quel capolavoro di Matrix. Mentre lo spauracchio del Millenium Bug solletica timori collettivi, gli allora fratelli Wachowski si ispirano al Mito della Caverna di Platone per mettere in scena il binomio verità-virtuale in sala cyberpunk.

Da allora codici binari, pillole rosse e azzurre, occhiali da sole senza stanghette e abiti di pelle non saranno mai più gli stessi. Piombato nell'immaginario collettivo con la stessa "grazia" di un meteorite, Matrix impatta nei nostri occhi con prepotenza strabiliante. Spaventa e affascina. Travolge e sconvolge. Perfetto manifesto cinematografico del postmoderno e del postumanesimo, la distopica avventura di Neo supera la rigida dicotomia tra reale-virtuale per abbracciare un nuovo modo di concepire le nostre vite digitali. Non più off line contro on line, ma una rivoluzione raccontata da un film del 1999. Dieci anni prima del boom dei social media, Matrix prevede il futuro attraverso un film profetico, lucido, leggibile a seconda del piano a cui lo spettatore preferisce scendere. Stratificato in più livelli di lettura, il cult delle sorelle Wachowski tanto trascinante nella sua scintillante veste di action movie quanto esistenziale quando rivela la sua profonda natura filosofica.

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Trinity e Neo in una scena iconica del film

Succede tutto in un film che ridefinisce l'estetica e il peso iconico della fantascienza, costruendo una poderosa diga come fatto da Blade Runner tanti anni prima. Perché c'è un prima e un dopo Matrix, un solco ben visibile nella storia del cinema. Arrivano nelle sale americane il 31 marzo del 1999 (in Italia uscì a maggio), Matrix vinse 4 Premi Oscar, ma soprattutto ha reso sacra la sua laica trinità. Da allora Neo, Morpheus e Trinity sono diventati il simbolo di un capolavoro assoluto, di una profezia in cui siamo tutti ancora immersi sino al collo. Quello che è arrivato dopo diventa più piccolo al sol confronto. Anche i suoi sequel. Anzi, no. I sequel sono come cucchiai. Facciamo finta che non esistono.

Da Matrix ad Hunger Games: distopie e proiezioni di un futuro che fa paura

Mito, fantasy, fiaba nera: il futuro è una vecchia storia

Di giorno l'alienato signor Anderson, comune programmatore di software relegato alla propria grigia scrivania. Di notte Neo, abile hacker in grado di aggirare qualsiasi protocollo di sicurezza. Sembra la classica doppia vita da supereroe (e non a caso impererà a volare), ma Matrix è molto più complesso di così. Andando alle fondamenta della sua storia, Matrix tocca tantissimi archetipi narrativi. Il primo è senza dubbio quello della fiaba oscura dalle derive fantasy, con un eroe chiamato a lasciare il suo mondo per addentrarsi in una realtà parallela da salvare (Narnia vi dice qualcosa?). Come una moderna Alice, Neo segue il suo Bianconiglio per addentrarsi nell'oscura menzogna che ha sempre vissuto, per scoprire un mondo disperato dove la meraviglia non è stata invitata. Proprio come all'interno di una saga fantasy, Neo è eletto a salvatore supremo da una profezia, dovrà parlare con un oracolo e soprattutto sarà temprato dal classico mentore. Senza Morpheus, vero e proprio faro illuminante (capace di temprare l'allievo sia nello spirito che nel corpo), nulla sarebbe accaduto. Il sommo maestro, poi, si porta addosso un nome non casuale, visto che nella mitologia greca Morfeo era il Dio del Sonno. Per contrappasso, le Wachowski lo trasformano in un ambasciatore del risveglio, in colui che scuote Neo da un pesante torpore. Il tutto senza dimenticare il richiamo per certi versi cristologico nemmeno alla figura del messia, tradito dal Giuda di turno (il mellifluo Cypher), destinato a salvare l'umanità. Ecco come, con grande maestria e senza mai cadere nel miscuglio confusionario di immaginari troppo distanti tra loro, Matrix è stato capace di raccontarci il futuro attraverso la storia più vecchia del mondo.

Non pensare di esserlo. Convinciti di esserlo.

Tra occhiali da sole e bullet time: l'impatto estetico

Neo Matrix Keanu Reeves
L'ultimo primo piano di Matrix

Non di sola, profonda sostanza è fatto Matrix. Se vent'anni dopo siamo qui a celebrarne il mito, è anche merito di un'estetica affascinante e funzionale al racconto. Un'estetica capace di imporsi sull'immaginario cinematografico grazie all'abilità con cui le Wachowski hanno ridefinito il cinema action e la fantascienza. E anche in questo caso ci troviamo davanti a più livelli di lettura. C'è lo strato più superficiale e glamour, che ha reso irresistibili per anni gli occhiali da sole e gli abiti di pelle dei nostri ribelli. C'è l'atmosfera immersiva in cui Matrix ti abbraccia (o meglio, affoga) ogni volta che lo vedi. Grazie alle sue città anonime e impersonali che potrebbe essere ovunque e al sotterraneo tormento della vita vera, in cui i corpi umani sono dotati di spinotti e ogni piacere o vezzo umano è bandito. Impossibile non citare la fotografia livida, dove il verde domina sovrano, e soprattutto la vincente intuizione del bullet time, ovvero quell'effetto rallenty accompagnato a un movimento circolare della macchina da presa, poi ripreso, citato, imitato da centinaia di altri film e videogame come Max Payne. Quelle scene d'azione, così spettacolari, ben coreografate e leggibili, hanno davvero ridefinito tutto quello che arrivato dopo.

Questa è... scrittura

Matrix Prequel Morpheus
Morpheus istruisce Neo

Come si può creare un cult in grado di essere sia una perla d'azione sci-fi che una raffinata metafora esistenziale? Se Matrix è un felice abbraccio di intrattenimento e riflessione intellettuale è soprattutto grazie a una scrittura sapiente. Pur essendo complesso, Matrix non è complicato: svela le sue carte e ti racconta il suo mondo perverso grazie a dialoghi profondi ma sempre comprensibili. Attraversi i lunghi monologhi affidati ai personaggi di Morpheus e dell'agente Smith, il film sbroglia la sua matassa grazie a parole evocative, penetranti e accessibile. Senza mai sfociare nel criptico o nel cervellotico, Matrix si specchia di una distopia torbida dove è tutto trasparente e facilmente leggibile. Per tutta la durata del film noi ci sentiamo al fianco di Neo, perché siamo il signor Anderson: inconsapevoli, confusi, presi per mano e poi gettati dentro qualcosa di più grande di noi. Qualcosa che sconvolgerà per sempre le nostre vite (di spettatori). Matrix ci fa vivere l'esperienza del disorientamento e poi quella della consapevolezza. E se ci esaltiamo ogni volta che vediamo Neo trasformarsi nell'eletto, è anche merito di battute più disimpegnate e ficcanti, simili a quelle di un fumetto. Tra lo "schiva questo" di Trinity e il "mi chiamo Neo" sussurrato in metropolitana, ecco che Matrix svela anche il suo lato più essenziale e pop.

Essere l'eletto è un po' come essere innamorati. Solo tu sai di esserlo. Nessuno può dirti se lo sei o no...è un qualcosa che ti scorre nelle vene.

Filosofia postmoderna

Trinity
"Schiva questa"

Platone 2.0, filosofia cyberpunk, l'io liquido del pensiero postmoderno che trova il suo manifesto cinematografico. Non basterebbero tesi di laurea e manuali di saggistica per vivisezionare come si deve il nucleo rovente di Matrix. Un film che dieci anni prima del boom di Facebook parlava già di identità fluida e cangiante, di immagine residua di sé, pronta a cambiare faccia a seconda del contenitore in cui veniva mostrata. Matrix prendeva atto dell'inevitabile cortocircuito tra reale e virtuale che avevamo scritto nel nostro destino, e lo faceva ponendoci una domanda atavica: cosa è reale? Scisso tra l'essenza della realtà e la beffarda percezione della realtà, Matrix è puro stimolo filosofico, ovvero perenne invito a fare della domanda la propria ragione di vita. Più delle risposte, sono i quesiti a renderci più umano dell'umano (tanto per citare un alto cult), sono gli interrogativi che fanno di noi persone (e utenti) più consapevoli. Le domande, insomma, a renderci meno signor Anderson e un po' più neo. Il tutto raccontato da un film meraviglioso, disturbante nella sua lucida visionarietà, laddove niente è ciò che sembra. Però, una certezza c'è: Matrix è un lugubre, profondo, folle incubo dal quale non vorremmo più risvegliarci. Per questa volta scegliamo la pillola azzurra. Perdonaci, Morpheus.