Masters of the Air è la chiusura perfetta della trilogia di Band of Brothers e The Pacific

Dalla terra fino all'acqua e poi all'aria: Masters of the Air è l'ultima opera seriale firmata Steven Spierlbeg e Tom Hanks, e chiude un percorso iniziato 23 anni fa. Ogni venerdì su Apple TV+ un nuovo episodio.

Masters of the Air è la chiusura perfetta della trilogia di Band of Brothers e The Pacific

I film e serie di guerra provano sempre a restituire l'orrore di ciò che succede in missione, tentando di testimoniare e ricordare quanto spesso siano state scelte scellerate, in cui i sogni degli aspiranti soldati diventano presto incubi. Questo vale doppiamente quando si tratta dei due conflitti mondiali che hanno macchiato di sangue e di tante (troppe) giovani vite la nostra Storia. Per provare a raccontare questo orrore unito ad un lavoro di squadra che sembra un'epopea sportiva, Steven Spielberg e Tom Hanks hanno iniziato nel 2001 (su HBO) un progetto che si conclude idealmente più di 20 anni dopo, ora che Masters of the Air è arrivata su Apple TV+. Due medium, tre serie tv, la stessa produzione e un cast di interpreti più o meno emergenti che diventano un vero e proprio team anche dietro le quinte: questi i segreti del successo del progetto, che ora andiamo e ripercorrere insieme.

Fratelli al fronte

Band of Brothers: una scena della mini serie
Band of Brothers: una scena della mini serie

Nata come una miniserie, Band of Brothers è diventata col tempo - ci sono voluti più di vent'anni, come dicevamo - una serie di tre, quasi fosse antologica come nel trend dell'ultimo decennio. Un percorso che ricorda quanto fatto da Christopher Nolan in Dunkirk: lì il regista univa i tre elementi su cui si è consumata la guerra mondiale a tre diversi momenti cronologici, giocando quindi su piani temporali e spaziali diversi. La coppia produttiva Spierlberg/Hanks predilige invece uno sviluppo cronologico, senza per questo rendere piatta la narrazione, anzi tutt'altro. Merito dei flashback legati alla vita prima della guerra dei protagonisti e al dividersi tra le sequenze al cardiopalma della battaglia vera e propria nel fango, e quelle più tranquille, quasi monotone, della vita in caserma. Tutto inizia da questi primi dieci episodi ispirati al libro del 1992 Banda di fratelli (Band of Brothers: E Company, 506th Regiment, 101st Airborne from Normandy to Hitler's Eagle's Nest), scritto dallo storico Stephen Ambrose.

Band of Brothers: Damian Lewis e Ron Livingston in una scena della mini serie
Band of Brothers: Damian Lewis e Ron Livingston in una scena della mini serie

Quest'ultimo venne chiamato a partecipare anche alla produzione dello show come consulente per non tradire il materiale originale e, soprattutto, il sacrificio di quei ragazzi al fronte (il titolo fa riferimento all'Enrico V di William Shakespeare), come già aveva fatto con Salvate il soldato Ryan, tratto dal suo D-Day. Ambientata tra il 1942 al 1945, la miniserie segue le vicende della Compagnia Easy del 2º Battaglione, 506º Reggimento di Fanteria Paracadutista, 101ª Divisione Aviotrasportata dell'esercito degli Stati Uniti, a partire dall'addestramento a Camp Toccoa e arrivando alla guerra vera e propria, fino alla fine, attraverso l'assegnazione della squadra al fronte europeo. Questi giovani commilitoni pieni di sogni e speranze che presto fecero spazio agli incubi e alle paure furono interpretati da David Schwimmer (già celebre grazie a Friends) e Neal McDonough, insieme Damian Lewis, Donnie Wahlberg, Ron Livingston, Simon Pegg, Michael Fassbender e James McAvoy (che effettivamente non girarono insieme sul set per ritrovarsi dieci anni dopo in X-Men: First Class), Tom Hardy, Andrew Scott, Jamie Bamber, Richard Speight Jr., lo stesso figlio di Tom, Colin Hanks, lanciati ufficialmente da Band of Brothers. Il duo produttivo scelse inoltre, per aumentare il realismo, di iniziare ogni episodio con un commento dei veterani reali del conflitto mondiale, tratto da We Stand Alone Together, un documentario diretto da Mark Cowen che intervistò i reduci della compagnia Easy. È impossibile non commuoversi arrivati alla fine, grazie all'unione di cameratismo e realismo creata dall'immenso impianto di HBO, che all'epoca iniziava il suo periodo d'oro.

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Guerra sott'acqua

Jospeh Mazzello in un momento della serie The Pacific
Jospeh Mazzello in un momento della serie The Pacific

Per la seconda miniserie arrivata quasi un decennio dopo, ovvero The Pacific - confermando il gap di dieci anni tra una produzione e l'altra - fu scelta come voce narrante proprio quella di Tom Hanks insieme ad altri reali sopravvissuti alla guerra. Questa volta ci spostiamo sulla Guerra del Pacifico, parte integrante del secondo conflitto mondiale, combattuta tra l'Impero Giapponese dell'Asse e gli Alleati, principalmente Stati Uniti e Impero Britannico. L'ispirazione letteraria in questo caso sono state le memorie di due superstiti: Eugene Sledge e Robert Leckie, ovvero rispettivamente With the Old Breed e Helmet for My Pillow, insieme a China Marine di E.B. Sledge e Red Blood, Black Sand di Chuck Tatum, di stanza a Iwo Jima. La trama inizia dall'attacco alla base navale di Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 da parte del Giappone, causando l'intervento degli Usa nel conflitto.

The Pacific: Una scena drammatica della serie
The Pacific: Una scena drammatica della serie

Il fronte su cui combattere questa volta è il Pacifico, quindi via acqua: la 1ª Divisione Marines viene mandata sull'isola di Guadalcanal, un luogo fino a poco tempo prima sconosciuto, mentre parallelamente viene raccontato l'allenamento nel Corpo dei Marines di Eugene Sledge, non arruolatosi per un soffio al cuore. Il cast questa volta è variegato e un po' meno conosciuto rispetto al precedente, con alcuni talenti da lanciare: James Badge Dale, Joe Mazzello, Jon Seda, Ashton Holmes, William Sadler, Brendan Fletcher e - dulcis in fundo - Rami Malek e Jon Bernthal. Ancora una volta cameratismo e riprese di combattimento mozzafiato si alternano sullo schermo tenendo saldo alla poltrona il pubblico, emozionando e facendo riflettere sull'inutilità della guerra, e allo stesso tempo celebrando le imprese statunitensi, senza però eccedere nel patriottismo. Dopo la terra, l'acqua diviene l'elemento da sfruttare, tra regia, fotografia e montaggio, per rendere al meglio l'orrore di quanto accaduto in quei luoghi dimenticati.

Masters of the Air, la recensione: se la tensione vola ad alta quota

I maestri dell'aria

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Masters of the Air: Austin Butler e Callum Turner sono Buck e Bucky

Arriviamo così al 2024 e ad un cambio di network. Dalla HBO, sinonimo di qualità tra le reti via cavo, ad Apple TV+, piattaforma con la stessa nomea tra i servizi streaming. Non un caso che sia finita proprio qui Masters of the Air, che va a chiudere questa ideale - e chissà quanto prevista inizialmente - trilogia dedicata alla Seconda Guerra Mondiale, disponibile con un nuovo episodio ogni venerdì. Un impianto produttivo rinnovato ma che è figlio proprio di quei tempi, basti vedere la sigla di apertura che non sembra per nulla moderna, ma va fiera di questa sua enfatizzazione storica dei protagonisti. Questa volta ci alziamo in volo andando a fendere l'aria insieme a regia, fotografia e montaggio (come spiegato nella nostra recensione). Alla produzione insieme ad Hanks e Steven Spielberg, Gary Goetzman, e ancora una volta viene replicata la formula di Band of Brothers, con un cast stellare di talenti da tenere d'occhio: Austin Butler, Callum Turner, Barry Keoghan, Anthony Boyle, Nate Mann, Rafferty Law, Josiah Cross, Branden Cook e Ncuti Gatwa.

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Ncuti Gatwa in una sequenza di Masters of the Air

Grazie alla regia affidata a nomi come Anna Boden, Ryan Fleck, Cary Joji Fukunaga, Dee Rees e Tim Van Patten (alcuni venuti proprio dall'esperienza sulla HBO), si ottiene la resa claustrofobica che passa dall'acqua all'aria, in quelle cabine di pilotaggio dell'Ottava Forza Aerea dell'Esercito degli Stati Uniti (il 100° Gruppo Bombardieri, il cosiddetto "Bloody Hundredth" o B-17). Tra i raid e i bombardamenti che squarciavano il cielo, annerendolo come cenere e facendolo scoppiare come fuochi d'artificio, tanto degli americani quanto dei nazisti, si innesca l'ultimo capitolo di quel conflitto che sembrava non avere fine. Il team produttivo si è basato per quest'ultima occasione sull'omonimo libro di Donald L. Miller, adattato da John Orloff. Il combattimento si sposta a 25.000 piedi di altezza, tra gelo e mancanza di ossigeno, facendo pagare un prezzo psicologico ed emotivo senza precedenti ai giovani soldati che ancora una volta hanno fatto la Storia. Si alternano sequenze tra camerati, i ricordi di chi si è lasciato a casa, ampi spazi aperti, a terra e in volo, che sembrano non finire mai ma possono nascondere un agguato tra le nuvole, fino al periodo passato dai ragazzi in un campo di prigionia tedesco: le montagne russe della guerra non lasciano un attimo di respiro allo spettatore, se non a terra, non facendo sconti a nessuno. Per chiudere il cerchio e fermare la guerra, almeno in tv, una volta per tutte.