Masters of the Air, la recensione: se la tensione vola ad alta quota

La recensione di Masters of the Air, serie TV in nove episodi prodotta da Tom Hanks e Steven Spielberg dove i cieli d'Europa diventano i campi di battaglia dell'aviazione americana durante la Seconda Guerra Mondiale. Un'opera da ammirare ad occhi aperti, e con lo stomaco sottosopra.

Masters of the Air, la recensione: se la tensione vola ad alta quota

Esiste un uomo prima della guerra, e un altro dopo la guerra. Ogni colpo assordante, ogni bomba lanciata, e scheggia schivata, sono colpi di scalpello che modellano e mutilano l'anima, restando a metà. E come sottolineeremo in questa recensione di Masters of the Air, sono le nuvole che fanno da confine, gli sguardi ad alta quota, gli scoppi di aerei che brillano in cielo come botti a capodanno a plasmare giovani pieni di sogni, e poi pieni di incubi. Ultimo capitolo di una trilogia ideale dell'esercito americano nella Seconda Guerra Mondiale, la serie TV in nove episodi disponibile su Apple Tv+ unisce il racconto storico a un'impianto visivo sublime, impattante, pronto a lasciare senza fiato lo spettatore volando nel cielo della libertà.

Masters of the Air: la trama

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Masters of the Air: un momento della serie

Dopo Band of brothers e The Pacific, Steven Spielberge Tom Hanks producono Masters of the Air, adattamento di "Masters of the Air: America's Bomber Boys Who Fought the Air War Against Nazi Germany", best seller di Donald L. Miller. La miniserie segue le vicende dell'Ottava Forza Aerea dell'Esercito degli Stati Uniti, (la B-17, soprannominato Bloody 100th) mentre conducono i raid sulla Germania nazista dai cieli. La serie annovera 275 membri del cast chiamati a dar vita al battaglione americano che più soffrì nei combattimenti contro i nazisti. A guidare l'esercito è il duo composto da Austin Butler e Callum Turner nei panni rispettivamente del Maggiore Gale "Buck" Cleven e del Maggiore John "Bucky" Egan. Mescolando attimi di calma apparente, a scherzi tra commilitoni, e legami di amicizia e passione, marce e bombardamenti, la serie trova il proprio acme nelle scene in volo, dove la battaglia, quella cruenta, prende vita, chiamando a sé uomini e motori, sogni e delusioni.

Frammentare il cielo

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Masters of the Air: una scena della serie

La dinamica mista ad angosciosa attesa, e la paura dell'ignoto, di una mano funesta pronta a colpirti come pallottole di una mitragliatrice, sono il cuore pulsante di Masters of the Air. Il metronomo dell'opera è scandito da ordini imposti, bombe lanciate, sguardi attoniti, soldati prigionieri e poi liberati. Sono attimi concitanti che si riversano nella differente modalità di ripresa. Lineare, distesa, fatta di brevi piani-sequenza, la regia prende ampie boccate d'aria nei momenti all'interno della base; poi i soldati entrano in cabina, ed ecco che le inquadrature si fanno più serrate, sincopate, attimi frammentati e composti da tanti, ristretti, tagli di montaggio su volti, comandi, corpi che si lanciano nel vuoto, nel corso degli attacchi in volo. E più l'ambiente di apparente quiete lascia spazio a quello dell'adrenalina in orbita, più il tempo di lettura di ogni inquadratura si riduce drasticamente. Il montaggio si fa frammentato, le parole si limitano a pochi ordini e informazioni, mentre a dominare la scena sono mani aggrappate al volante, e occhi sgranati nell'attesa di uno schianto, o di un ulteriore salvezza. Un gioco all'angoscia sottolineato da un commento musicale struggente, lirico, emozionante quanto basta per orchestrare la sfera delle emozioni vissute dentro e fuori lo schermo.

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La fredda luce del volo

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Locandina di Masters of the Air

Quella dei soldati di Masters of the Air è una vita al fronte giocata in antitesi, sottolineata da una dicotomia cromatica dove il calore della calma rincorre il freddo della morte in volo. Ecco allora che la fotografia gelida, adombrata da una patina leggera di un gelido filtro che ammanta l'universo dei protagonisti di quella coltre di nubi che li avvolge in volo, si muove silente sulla scena coprendo tutto e tutti. Una volta che il corpo si rilassa, e la mente riflette, che lo spazio all'interno della base, dei locali, dei campi di prigionia, viene investito da una fotografia calda, a tratti opprimente. Una danza cromatica che trova il proprio punto di incontro lassù, al di là delle nubi, tra le coordinate ad alta quota. Seguendo una necessità di realismo e perfetta aderenza alla realtà, i diversi direttori della fotografia che si susseguono (tra cui Adam Arkapaw) illuminano armoniosamente lo spazio di azione di una luce accecante, la stessa che colpisce i piloti in volo. Una luce naturale pronta a essere attraversata da quella abbacinante dei razzi lanciati in volo, e dalla fuliggine asfissiante dei motori in avaria di cacciabombardieri colpiti.

L'attesa del volo

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Masters of the Air: una foto di scena

Vive di una perfezione visiva, uno studio filologico e una resa storica di sublime angoscia, Masters of the Air. Eppure, tutto si trascina seguendo le scie di fumo dei velivoli abbattuti. Lo spazio di visione si riempie di coordinate, ordini, comunicazioni interne che restituiscono lo stato d'animo dei soldati in azione, ma allo stesso tempo amplificano il tempo personale di visione, rendendolo quasi asfissiante. Un'aderenza perfetta e una restituzione di come il tempo tra i cieli di guerra si allungasse a dismisura, ma che nella cornice televisiva rischia di rivestire a tratti l'opera di troppa monotonia. Si giunge così all'acme dello scontro già provati, con il rischio di non godere appieno della disturbante e disorientante adrenalina che coglie lo spettatore nel momento degli spari e dei visi colpiti da una scarica di mille colpi.

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Masters of the Air: un frame della serie

Solitamente, è la terra l'ambiente prediletto per i racconti di guerra; una terra solcata da corpi che si trascinano lungo le trincee, o di sguardi che si nascondono dietro case, rovine, cespugli. Recuperando un filone bellico non sempre sfruttato come quello con protagonista l'aviazione americana (si pensi a precedenti come Avventurieri dell'aria di Howard Hawks, Pearl Harbour, o Le ali delle aquile) Masters of the Air riporta il conflitto mondiale tra i cieli d'Europa, lasciando che la morte viaggi ad alta quota. Sfruttando appieno le tecnologie a disposizione, i vari registi al comando della serie TV (tra cui Cary Fukunaga e Anna Boden) riescono a rendere veritiero e credibile ogni singolo momento, ogni singolo - eterno - secondo in volo. I cieli attraversati, gli scoppi subiti e causati, vivono di una verosimiglianza tale da bucare lo schermo e investire lo spazio di visione del proprio pubblico. Con le riprese basse, l'occhio del regista si sostituisce all'intera cabina di pilotaggio, immergendo lo spettatore non solo all'interno del velivolo, ma della mente e anima degli stessi personaggi.

Il corpo dell'azione

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Austin Butler in una scena di Masters of the Air

A fare un esercito non servono macchinari, motori, ali e bombe; servono uomini fatti di carne, tanto coraggiosi quanto bersagli sensibili al mirino del nemico. Senza un conglomerato umano capace di restituire un'eterogeneità di caratteri, personalità e visioni differenti, Masters of the Air sarebbe stato un contenitore esteticamente perfetto, ma vuoto di contenuto. Trascinati da un Austin Butler dalla voce profonda, segnata daun accento del Wyoming alquanto marcato, e una performance giocata in sottrazione, il cast della serie di Apple Tv+ si fa microcosmo dove nessuno è leader, ma ognuno è parte di un tutto. Ogni attore che fa la sua comparsa sullo schermo è una tessera di un puzzle compiuto solo grazie alla presenza di talenti sommessi, capaci di restituire coralmente tutta la differenza caratteriale che un esercito si aspetta di vantare.

E allora, quando un interprete come Callum Turner tenta di enfatizzare un uomo chiamato a guidare i propri compagni, annegando le proprie fragilità nel whisky, qualcosa in questo equilibrio traballa; la carica espressiva, il tono marcato delle proprie battute porta la performance al confine di un overacting che l'attore riesce a evitare grazie al minimalismo della propria controparte attoriale, fatta di un corollario di interpreti perfettamente in parte, che parlano alla stessa velocità degli aerei che pilotano ed esprimono molto più attraverso la profondità di sguardi parlanti, e occhi colmi di tensione, paura, distensione (si pensi solo alla performance di un ancora una volta ottimo Barry Keoghan, o di un sorprendente Nate Mann).

Salire in orbita per cadere in picchiata

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Masters of the Air: una scena

Seguendo un pattern narrativo solitamente atto a ripetersi, lo spettatore vive nell'attesa del climax in volo. Sono quei momenti concitati, di sangue che copre i finestrini, e il cuore batte al ritmo di mitragliatrici in azione, che l'opera trova allo scorrere di ogni episodio il proprio attimo privilegiato. In pochi momenti, registi e montatore (Mark Czyzewski) riescono a restituire tutta la giostra emotiva che si aziona nei soldati in volo. Le mappe da controllare, i colpi da schivare, i paracaduti da azionare, i nemici da cui nascondersi sono tappe fondamentali di un cammino verso la salvezza: con maestria gli spettatori si ritrovano catapultati al centro dei cacciabombardieri, che parte integrante di un battaglione destinato a ridursi sempre più.

Ma è il percorso che porta a questo acme emotivo che è costantemente in salita, rischiando di stancare un pubblico che giunge in cima distratto, provato. Poi ecco che i colpi ci destano, gli spari ci colpiscono, gli aerei che precipitano ci trascinano in un salto nel vuoto che tramortisce molto più di un atterraggio di fortuna su campi nemici. Masters of the Air è un decollo lento, ma una volta preso il volo scuote come turbolenze improvvise il proprio pubblico, lasciandolo inerme, accecato, vittima designata di un attacco perfetto.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Masters of the air sottolineando come, nonostante il pattern narrativo destinato a ripetersi per poi cambiare repentinamente, la serie in nove episodi disponibile su Apple TV+ si dimostra capace di riempire gli occhi dei propri spettatori di meraviglia e innestare in loro un senso di paura e angosciante tensione. La resa visiva dell'intera opera è talmente perfetta da bucare lo schermo. Al resto ci pensa un cast perfettamente in parte e capace di non sovrastare mai il singolo rispetto agli altri.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.6/5

Perché ci piace

  • La performance degli attori, in particolare un ottimo Austin Butler.
  • La fotografia dicotomica e cangiante.
  • La resa visiva, così aderente alla realtà da provocare vertigine nello spettatore.

Cosa non va

  • I momenti antecedenti al volo e dell'azione che frenano lo scorrere dell'opera e della tensione.
  • Alcune falle narrative all'interno dei subplot dedicati ai singoli soldati.
  • La performance di Callum Turner, a volte tendente all'overacting.