Recensione Danny the Dog (2005)

Cinema postmoderno dell'ibrido e della contaminazione tra melodramma dal carattere ortientaleggiante, racconto di formazione, tentazioni pulp e sfoggio di arti marziali, Danny The Dog richiede allo spettatore una sospensione della ricerca-necessità del verosimile cinematografico per essere apprezzato a pieno.

Mai levare il collare al cane

Luc Besson è personaggio sicuramente controverso e portatore di un'idea di cinema a volte discutibile ma sicuramente molto radicata nel presente e lontanissima da molti suoi colleghi connazionali . Da ottimo conoscitore delle tendenze moderne e dei gusti del pubblico, ha riunito per l'occasione Jet Li una delle star più indiscusse del cinema di arti marziali di Hong Kong a due istituzioni assolute come Bob Hoskins e Morgan Freeman si è fatto supervisore per la Europacorp di una storia forte e alquanto bizzarra, affidandone la regia al giovane Louis Leterrier.

Bart, un cinico esattore della malavita, ha addestrato dall'età di quattro anni un irruento bambino di nome Danny a comportarsi come un cane, sguinzagliandolo per risolvere con la violenza tutte le grane del suo lavoro. Costretto ad accettare una vita da animale, con tanto di collare, Danny ritroverà la speranza incontrando un vecchio cieco che accorda pianoforti, che lo ospiterà nella sua famiglia insieme a sua nipote Victoria. Sarà la musica e la calda umanità della famiglia a far ritrovare a Danny, la memoria, il senso dell'esistenza e a generare in lui un cambiamento irreversibile.

Cinema postmoderno dell'ibrido e della contaminazione tra melodramma dal carattere ortientaleggiante, racconto di formazione, tentazioni pulp e sfoggio di arti marziali, Danny the Dog richiede allo spettatore una sospensione della ricerca-necessità del verosimile cinematografico per essere apprezzato a pieno e questo non per gustarsi le pirotecniche scene di combattimento (Jet Li ed altre star del cinema di arti marziali hanno fatto acrobazie anche molto più esasperate), ma per accettare la pretestuosa ed anche un pò disturbante trovata su cui si fonda il plot. Superato il turbamento per la figura dell'uomo-cane e per il modo con cui viene amorevolmente accolto dal vecchio cieco col cuore d'oro, Danny the Dog si dimostra film nel complesso gradevole.

Rispettoso delle schematiche convenzioni narrative e simboliche del cinema di arti marziali, più che di altri generi disseminati sul cammino e sorretto dal grande carisma dei suoi interpreti (specie un piacevolmente eccessivo Bob Hoskins, visto che a Morgan Freeman è sufficiente la sua implicta carica iconica) il film si perde un po' quando sembra voler rinunciare a configurarsi come divertente prodotto di intrattenimento e punta nella fase centrale a dirci qualcosa di più profondo e struggente riguardo la ri-socializzazione del protagonista. Ad ogni modo, un titolo che merita di sicuro uno sguardo nel contesto di un'estate cinematografica decisamente ricca di uscite.