La colonna sonora di Collateral

Dai ritmi latino-americani alla techno, dal jazz al rock, dal sinfonismo all'hip hop: la Los Angeles di Michael Mann non poteva essere più trendy e cool di così.

Per una Los Angeles ritratta nella sua nascosta glacialità (grazie alla macchina da presa digitale ed alle indiscutibili capacità di Michael Mann), la colonna sonora non poteva essere più cool. Anche quando i ritmi latino-americani di Green Car Motel, Calexico o anche di Miles Davis s'impossessano del vostro impianto stereo, l'atmosfera resta rarefatta, malinconica, fino alla condensazione estrema raggiunta con l'Aria sulla quarta corda di Bachsuonata, con un senso di estenuata eleganza, dai Klazz Brothers & Cuba Percussion.

La colonna sonora di Collateral è l'espressione più coerente dell'eclettismo di Mann, già ampiamente dimostrato con le straordinarie proposte musicali di Heat - la sfida. La città degli angeli non presenta per il regista americano nulla di superficiale e di vitale secondo l'immaginario comune. E il commento sonoro alla Los Angeles di Collateral si accoda a questa lettura, riflettendo il crogiuolo etnico della città californiana in modo da svilirne l'emotività più superficiale. La varietà di composizioni scelte da Mann sembrano susseguirsi con lucida razionalità e, nonostante le palesi differenze di stile, si amalgamano molto bene fra loro, costituendo un ottimo contrappunto alla spietata corsa di Vincent. Oltre alla cospicua presenza di brani già pubblicati su altri album, la presenza di rinomati "soundtrackers" come James Newton Howard, Antonio Pinto e Tom Rothrock, garantisce un manipolo di composizioni originali di assoluto rilievo. Briefcase di Rothrock, collocata in apertura di CD, favorisce la partenza verso l'incertezza di una notte californiana dove il calore e la spensieratezza sono ospiti indesiderati. Il ritmo motorio sofferente, frammentato e compulsivo di Briefcase viene sostituito da Rothrock con le leggere screziature hard-blues (in stile Miami Vice per capirci) di Rollin' Crumblin. James Newton Howard se la cava con quattro brani che non sono soltanto di semplice mestiere (come qualcuno ha scritto): lo sfrenato machinisme di Vincent Hops Train, il senso d'incombenza di Max Steals Briefcase e l'immediatezza rockettara di Finale non sono brani di maniera, anche se non si raggiunge certo i livelli delle partiture composte dal nostro per M. Night Shyamalan.

L'unica concessione dell'album alla fisicità avviene con la sorprendente Ready Steady Go di Paul Oakenfold (dove ritmi techno da discoteca vengono scodellati tramite sferzate elettroniche gelide ed estranianti) e all'interessante connubio rap-soul di The Seed (a firma di The Roots & Cody ChesnuTT). La variegata natura dei brani scelti da Michael Mann è ulteriormente testimoniata dalla presenza anche del grunge degli Audioslave (che resteranno alla storia, se non altro, per essere stati gli unici americani ad aver suonato a Cuba) e il disco-soul ibrido ed elegante della Groove Armada. Ma è la conclusione, affidata a Requiem di Antonio Pinto, a ripristinare il senso di gelida fatalità che spira lungo tutto il film (e che nel finale raggiunge sicuramente il suo drammatico climax).