Recensione Il caimano (2005)

Moretti ci mette dell'autobiografico, ma lo fa con sobrietà e classe, disseminando il percorso esistenziale del protagonista di sottolineature di rara struggenza e sincerità, riuscendo perfino a commuovere senza cadere nella retorica o nella banalità.

L'ultimo dei caimani (?)

Lasciamo perdere Berlusconi, lasciamo perdere i girotondi e parliamo di cinema. Parliamo de Il Caimano. Come si può scindere la sostanza politica e la rilevanza contenutistica da un film indissolubilmente politico, ci si chiederà? Parlare di cinema significa non parlare di politica? Assolutamente no! Semplicemente, nel nuovo film di Nanni Moretti l'urgenza politica - rivendicata, necessaria e caratteristica dell'autore - è valida, forte, lucida e rigorosa, ma passa in secondo piano rispetto alla sorprendente fattura qualitativa del suo attesissimo ritorno dietro la macchina da presa. Ed eccoci quindi costretti a fronteggiare un paradosso assoluto: in un Paese come il nostro dove il cinema purtroppo da tempo ha rinunciato a raccontare la scomodità del quotidiano, le malefatte economiche, il malgoverno e la deriva culturale che ci attanaglia (mentre gli americani cattivi, giova ricordarlo, permettono che la star George Clooney punti il dito prima sul maccartismo per poi mettere il suo faccione ingrassato nel durissimo Syriana), quando abbiamo tra le mani un prodotto che la indaga, questa nostra contemporaneità, ed anche con una profondità inusuale, ci sentiamo di spostare l'attenzione sul valore eminentemente cinematografico più che sul contenuto politico.

Chi sia Moretti, da dove provenga e cosa ama raccontarci d'altronde lo sappiamo un po' tutti. Piuttosto a sorprendere è la speranza che in lui ha riposto molto nostro cinema (registi come Virzì, Sorrentino e Mazzacurati scelgono in pratica la delega politica con i loro divertenti camei) come d'altronde quella metà del Paese che - sollecitata dal Moretti personaggio pubblico - lo investe di significati pre-elettorali . Fortunatamente, il regista pare non curarsene eccessivamente, decidendo di raccontare con acume e malinconia una storia che galleggia mirabilmente in quella feconda cesura tra pubblico e privato, secondo le coordinate che da sempre contraddistinguono il suo cinema. Sono i risultati a sorprendere; in primis la maturità stilistica dell'uomo Moretti, la godibilità della messinscena, la piacevolezza della confezione.

Il caimano, quindi, prima che un film su Berlusconi o sulla nostra Italietta sbandata e forcaiola è il racconto di un piccolo uomo in crisi: un produttore di cinema bis italiano che scomparso dalle scene cerca di riemergere dal grigiore del suo privato imbarcandosi nel film sul nostro Presidente del Consiglio. Peccato però che Bruno (questo il nome del personaggio interpretato convincentemente da Silvio Orlando) sia solo un arruffone simpaticamente qualunquista in cerca di riabilitazione, più che un produttore impegnato. La sceneggiatura, propostagli da una giovane ragazza di sinistra incontrata alla rassegna sui suoi vecchi film, lui non l'ha proprio letta, o meglio l'ha solo sommariamente sfogliata, ma visto che i soldi non ci sono più, la moglie vuole lasciarlo e non è proprio tempo di sequel per il suo Maciste contro Freud, perché non accettare la sfida? E soprattutto chi interpreterà il ruolo del protagonista, il caimano?

Nel cinema il dosaggio degli elementi è tutto. Gioco forza che il grande pregio de Il caimano sta nel proficuo equilibrio tra le tre dimensioni esplicitate nella pellicola: quella politica, quella cinematografica e quella privata. È quest'ultima però che sorprende nettamente per la notevole intensità e potenza che la contraddistingue. Corpus così autonomo da radicalizzare il contrasto con l'elemento politico, fino a sovrastarlo. Moretti ci mette dell'autobiografico, è ovvio, ma lo fa con sobrietà e classe, disseminando con grande consapevolezza il percorso esistenziale del protagonista di sottolineature di rara struggenza e sincerità, riuscendo perfino a commuovere senza cader nella retorica o nella banalità. La sua è una regia sicura ed elegante che non necessita del suo personaggio per accentrare l'attenzione. Affidando a Orlando il ruolo di suo alter ego sui generis, Moretti si ritaglia solo un piccolo spazio, poco invadente ma molto significativo. È sua infatti la conclusione fugacemente e significativamente fantapolitica, nei panni di un caimano che cambia ancora pelle dopo la rinuncia vile di un Michele Placido dalla lodevole autoironia caricaturale. Un caimano ormai sopraffatto da se stesso e dalla sua stessa irrappresentabilità.