Jeunet e la Tautou su "Una lunga domenica di passioni"

Il regista francese sbarca a Roma in compagnia della sua Amèlie per presentare la loro seconda collaborazione cinematografica.

Forte di oltre quaranta milioni di dollari incassati da Novembre in poi nella sola Francia, e soprattutto delle recenti dodici candidature ai Cèsar francesi, Jean-Pierre Jeunet, accompagnato da Audrey Tautou, è arrivato in Italia per presentare il suo Una lunga domenica di passioni.
L'incontro si è svolto presso l'Accademia di Francia, situata in un edificio di Villa Medici a Roma, in un ambiente bello quanto freddo, che ha costretto l'attrice francese a non poter rinunciare a sciarpa e cappotto.

Quali sono state le difficoltà nel realizzare questo film? La sua struttura ricorda una serie di cartoline dell'epoca, quanto è fedele al romanzo? Jeunet: Non ho avuto nessuna difficoltà e nessun problema, ho avuto totale libertà nella realizzazione del film. Ho avuto la possibilità di lavorare con un budget americano, ma con totale libertà nella stesura della sceneggiatura, nel casting, nel montaggio.
Per quanto riguarda la similitudine con le cartoline, è stata una scelta deliberata da parte mia, addirittura c'è un'inquadratura della Torre Eiffel che è tratta proprio da una cartolina dell'epoca. Ho scelto questa strada perché volevo che le persone avessero l'impressione di conoscere in qualche modo questo periodo e quindi le immagini che sono state trasmesse attraverso le cartoline dell'epoca possono risvegliare qualcosa di familiare nelle persone.

Si tratta di un film sulla prima guerra mondiale, quanto ha influito per la parte dedicata alla guerra un film come Orizzonti di gloria? Jeunet: Ci sono stati pochissimi film sulla prima guerra mondiale, ed è strano. Ce ne sono molti di più sulla seconda Guerra Mondiale, ce n'è anche italiano, però, Uomini contro di Francesco Rosi. Per quanto riguarda il film di Kubrick, io sono un fan di Kubrick però per questo film mi sembra troppo strano che siano attori americani ad impersonare personaggi francesi. Non mi sono ispirato tanto ad altri film quanto ad archivi dell'epoca, a materiale scritto, a racconti, a filmati e materiale fotografico.

Che valore dà a una raffigurazione cruda della guerra, in contrapposizione a un'immagine proposta dai media di una guerra diversa, più fredda e tecnologica, fatta di bombe intelligenti? Jeunet: Naturalmente tutte le guerre sono orribili e in questo si somigliano. La particolarità di questa guerra è di aver ucciso soprattutto dei soldati e non ha colpito molto i civili, anche se possiamo dire che molti civili erano i ragazzi strappati alla loro vita e gettati nelle trincee per combattere. Per di più non era una guerra contro un'ideologia, una guerra basata su niente, semplicemente una guerra di soldi, nata per gli interessi dei mercanti d'armi. Volevo far vedere non soltanto la violenza della guerra vera e propria, ma anche l'aspetto disumano delle condizioni di vita nelle trincee.

Signorina Tautou, che effetto fa tornare a lavorare con il regista che l'ha lanciata, dopo aver affrontato altre prove d'attrice? Che cosa è cambiato tra di voi? Tautou: Non è cambiato nulla nei rapporti tra noi nei i due film. C'è la stessa intesa tra noi, è altrettanto semplice lavorare insieme. Non abbiamo bisogno di parlarci, basta che ci guardiamo per capirci. E tutti e due abbiamo lo stesso amore per il nostro lavoro. L'unica differenza è il ruolo, più doloroso, dovevo stare più concentrata, quindi sono meno leggera e meno buffa di come sono stata con Amèlie.

Dovendo trovare una somiglianza con grandi attrici del passato, viene in mente la Giulietta Masina de La strada, per questi grandi occhi per il suo modo di giocare con lo sguardo. Tautou: Non saprei, comunque ne sono lusingata. Non ho l'impressione di giocare con lo sguardo, diciamo che guardo, ma non mi sembra di giocarci.

Signor Jeunet, un altro tema importante trattato dal film è quello della condanna a morte dei militari per automutilazione. Questo tema ha fatto nascere polemiche in Francia? Perché ha deciso di trattarlo? Jeunet: Ci sono state molte polemiche in Francia per questo argomento. Occorre dire che qualche anno fa l'allora premier Jospin organizzò una cerimonia ufficiale per scusarsi nei riguardi dei nostri militari condannati a morte durante la Prima guerra mondiale. C'è una grande volontà di riscoprire questi drammi, c'è una grande apertura anche da parte dell'esercito e infatti per girare il film ho avuto grande collaborazione da parte delle forze armate, mi hanno portato a visitare i posti, e aiutato a ricostruire gli ambienti.

A proposito dell'ambientazione, lei ha fatto un lavoro immenso, ci può dire qualcosa su come avete ricostruito questa terra di nessuno tra la trincea francese e quella tedesca? Jeunet: Abbiamo utilizzato dei riferimenti storici per ricostruire le trincee, principalmente documentazioni scritte e immagini. Ma soprattutto abbiamo costruito un enorme plastico, grande sei metri, e abbiamo fatto moltissime riunioni prima di cominciare le riprese, per cercare di capire come sistemare le macchine da presa. Questo ci ha permesso di risolvere in anticipo molti problemi. Abbiamo usato una piccola camera e abbiamo girato dentro questo plastico. Ci siamo accorti, per esempio, che avremmo dovuto rinforzare bene intorno la trincea per evitare crolli durante le riprese. Tutto questo lavoro preliminare ci ha permesso di rispettare i tempi previsti nella fase successiva.

Può ricostruirci la polemica sulla nazionalità del film? Jeunet: Ci sono ancora polemiche in corso in Francia, ma questo è un film francese, non potrebbe essere più francese di così. Purtroppo le grandi case produttrici si sono sentite un po' attaccate sul loro terreno da un nuovo concorrente, come la Warner. Per questo si sono servite di piccole scappatoie legali e hanno chiesto di non riconoscere la nazionalità francese a questo film. Secondo me questa polemica è assolutamente stupida, perché in fondo questo film ha fatto lavorare seicento tecnici francesi e un enorme troupe; è tutto francese, non lo abbiamo girato altrove. Questo avviene perché queste persone non hanno a cuore gli interessi del cinema francese, ma solo i loro interessi commerciali. Siamo in un mondo altamente capitalista in cui ognuno fa soltanto il proprio interesse commerciale. Spero che la questione si risolva, anche perché tutta l'opinione pubblica è d'accordo nel riconoscere il film come francese.

Lei prima ha detto di essersi preso una grossa libertà rispetto al testo, in che modo? Jeunet: Il film secondo me è molto fedele al romanzo, per esempio tutto quello che è racconto fuori campo ne è il testo praticamente esatto, un po' come capitava nel film Jules et Jim. Infatti poco tempo fa la vedova dello scrittore ha detto che il marito sarebbe stato molto fiero del film. Per un altro verso, il romanzo ha una struttura epistolare, quindi ho dovuto effettuare un adattamento che mi ha consentito di dare il mio contributo, che è quello che mi interessava fare, non un adattamento letterale del testo. Potevo dare il mio tocco personale adattando quella parte.

Il film è pieno di idee inserite da lei, la parte immaginativa è importantissima Jeunet: Sì, ho aggiunto molte cose, per esempio tutti gli omicidi di Tina Lombardi non c'erano nella storia, le piccole superstizioni di Mathilde, oppure la scena in cui corre per cercare di arrivare alla fine della strada prima dell'auto. Tutte queste cose sono il mio contributo, lo devo fare altrimenti mi annoierei a fare un adattamento. L'ho sempre fatto, anche in Alien: la clonazione ho apportato qualcosa di mio ad ogni scena, è il mio modo di lavorare.

Lei è uno dei registi europei che mantiene un tocco molto personale e francese. Che rapporto ha con la realtà e la fantasia? Lei prende dall'una e dall'altra, sembra ci sia un equilibrio molto particolare. Jeunet: Il realismo mi annoia, non mi interessa. Se per fare un film bisogno far vedere quello che succede fuori dalla finestra, tanto vale farne un documentario. Anche il mondo totalmente immaginario non mi esalta. Per quanto riguarda questo film, l'aspetto della guerra era talmente forte che non c'era niente da aggiungere, quindi è un po' l'eccezione nel mio lavoro.
Mi piace molto usare l'immaginazione e la fantasia perché secondo me un artista deve prima di tutto dare una sua particolare e personale visione del mondo.

Signora Tautou, data l'intesa tra voi, il signor Jeunet le ha suggerito qualcosa con lo sguardo su come affrontare il Codice? Tautou: No, ma non posso fare commenti su questo aspetto. Se il progetto andrà in porto ci sarà certamente tempo per parlarne.

Interpretare una persona che zoppica le ha dato dei problemi? Tautou: No, non è stato un gran problema dal punto di vista fisico, perché ho lavorato molto, ho incontrato dei medici che mi hanno spiegato il tipo di handicap che comporta la polio, ho incontrato una persona che ha avuto la polio che mi ha insegnato come muovermi. Inoltre avevo una sorta di protesi che mi bloccava la gamba e quindi mi facilitava il lavoro. Forse è stato più un aiuto che un problema per me.

Non è facile la scena in cui parla a Manech al cimitero, con quell'aria da illuminata. Tautou: Altre persone effettivamente hanno parlato di aria da illuminata, in quella scena. Io in realtà ho semplicemente cercato di parlare con Manech come se fosse stato lì ad ascoltarmi, come si possono fare delle confidenze, o pronunciare delle preghiere.

Riguardo le superstizioni, signora Tautou, le è mai capitato di comportarsi come il personaggio del film nella vita? Tautou: Quando ero più giovane mi è sicuramente successo. Penso che siano molte di più le persone che l'hanno fatto rispetto a quelle che non hanno mai fatto una cosa del genere.

Signor Jeunet, perché ha deciso di inserire questo aspetto delle superstizioni di Mathilde nel film? Jeunet: Con Amèlie avevamo un po' giocato con i proverbi e qui ho deciso di farlo con le superstizioni. Sono particolari che arricchiscono la storia e mi piacciono molto, ho un libricino pieno di appunti di questo tipo.

In una sua conferenza in Francia lei ha detto di essere morto nel 14/18, quindi si sente un sopravvissuto. E' una cosa molto bella, come se lei così potesse capire un soldato morto durante la guerra. Jeunet: Diciamo che era uno scherzo, perché io non credo nemmeno nella reincarnazione. Però era il solo modo per spiegare questa specie di ossessione che ho sempre avuto per la Prima guerra mondiale, che mi ha portato a scavare in profondità.
Un altro aspetto che mi interessava molto è quello della pena di morte. Per questo ho voluto girare la scena che riproduce esattamente la pena come veniva applicata in quel periodo.

Lei non è un regista particolarmente francese, né americano. Lei ha una fantasia che potremmo definire mediterranea. Qual è il suo regista italiano preferito? Jeunet: Quando ero alla premiazione dei Golden Globes sedevo a tavola con altri registi di altri paesi, tra cui Walter Salles, Alejandro Amenabar, e tutti eravamo d'accordo sulla necessità di mantenere la propria identità culturale, senza cercare di copiare il cinema americano.
Il mio regista italiano preferito è ovviamente Fellini.

Non ha mai pensato di girare un film in Italia? Jeunet: La grande sfida è di trovare una buona storia. Io su ogni film lavoro per tre anni, se c'è una buona storia ambientata in Italia, perché no.