Recensione L'anno scorso a Marienbad (1961)

Ci sono incontri che segnano una vita. Incontri che non si potranno più dimenticare. E ci sono ricordi da sognare o, eventualmente, da inseguire. Il gioco della memoria secondo Resnais.

Il sogno dei ricordi

E' un gorgo spazio-temporale senza alcun punto di fuga quello che ci propone Alain Resnais con L'anno scorso a Marienbad, un film che s'insinua su più strati collegati tra loro in un continuum dall'aspetto quanto mai ellittico e sfuggente. Impossibile delineare una qualsivoglia spiegazione della trama che, semplicemente, non si snoda, ripiegata com'è su stessa, in una implosione perenne del senso logico e della continuità narrativa. L'anno scorso a Marienbad è, infatti, anche una grande dimostrazione sul modo di fare cinema e di cortocircuitarlo, in ossequio ai dettami più consolidati della Nouvelle Vague (pur non dimenticando la coeva trilogia di Michelangelo Antonioni).

I lunghi e morbidi carrelli con cui la macchina da presa sembra disincrostare dalle ricche decorazioni dell'hotel i residui di un ricordo o di un sogno, si alternano a dialoghi spesso "disturbati" e resi incomprensibili anche per il sovrastante impiego di un tema organistico, intento a celebrare un lugubre rituale fatto di estenuata eleganza (con il prezioso contributo degli abiti disegnati da Coco Chanel). Ma qui non si tratta solo di destabilizzare la sintassi cinematografica più classica, perché l'articolazione del film deve molto a questi continui scavalcamenti di campo. I personaggi che popolano l'hotel non sono altro che fantasmi, lontani parenti degli "amici" del Jack Torrance di Shining, presenze visibili ma statiche, prive come sono di vita propria. I tre protagonisti, già dai nomi (X, A e M), sono più mobili dei loro simili, ma nello stesso senso di una qualsiasi delle variabili matematiche costrette ad assumere un determinato valore per non compromettere il risultato finale, condannato se non altro a reiterare lo stesso valore all'infinito. La voce off di X (Giorgio Albertazzi), evocante brandelli di un passato onnipresente (o inesistente?), potrebbe indicare già dall'inizio del film le giuste coordinate spazio-temporali a beneficio d'immagini che si collocano in una dimensione diegetica sempre diversa e multiforme. Un vero e proprio universo della memoria dove il prima, il durante e il dopo non esistono o convivono in stretta simbiosi. L'anno scorso a Marienbad è, insomma, il trionfo della persistenza del visibile su ogni altra cosa, ricordi e sogni inclusi.

Forse la concessione più evidente ad una chiarezza espositiva più enunciata è data proprio da due episodi: quello in cui M spara ad A (l'insondabile Delphine Seyrig), e quello in cui X cade dal balcone. Solo che si tratta di frammenti talmente rapidi, talmente "subliminali", talmente immaginati (probabilmente), da rappresentare un semplice excursus per ricoprire un ruolo veramente decisivo nel film. O, almeno, ci piace pensarla così, per non infrangere, in definitiva, la magia di un film che ad ogni visione non può finire di stupire.