Recensione La niña santa (2004)

Un sussurro, un lavoro in sospensione che stanca nell'immediato, ma si rivela a lungo termine ingravidando la mente dello spettatore di riflessioni più o meno consistenti.

Il sapore amaro della vita vera

Ad Amalia piace imparare a memoria le preghiere. Ogni giorno partecipa agli incontri di un gruppo parrocchiale della sua città insieme a una dozzina di altre adolescenti che intonano canti religiosi e passano ore ad interrogarsi sulla vocazione e su come fare per riconoscere la propria. Amalia partecipa in silenzio alle discussioni, mentre la sua amica Josefina le sussurra nell'orecchio di aver spiato i baci che la loro catechista cuce sulla bocca del suo innamorato. La vita vera, con i suoi segreti e le sue debolezze, si insinua nelle orecchie delle ragazzine, mentre le chiacchiere sulla chiamata di Dio diventano un brusio sempre più lontano.
Un giorno per strada le due si uniscono ad una piccola folla di curiosi che si è radunata attorno ad un suonatore. Alle spalle di Amalia c'è un uomo con gli occhiali che approfitta dell'occasione per strusciarsi contro il corpo della ragazza che resta immobile mentre sente una legione di pensieri peccaminosi invaderla lentamente e scioglierle il dubbio sulla sua vocazione, ben diversa da quella di cui si discute in chiesa.
Tornata all'albergo dove vive insieme alla madre Helena, una donna divorziata che dell'albergo è proprietaria, scopre che l'uomo che l'ha toccata è il dottor Jano, uno degli otorinolaringoiatri che partecipano ad un congresso ospitato in quei giorni in quella stessa struttura. Alle preghiere recitate con fervore si mescolano i pensieri impuri ed inconfessabili di una ragazzina che sente la vita sbocciare fuori ed esploderle dentro.
Ad invaghirsi di Jano, però, non è solo Amalia, ma la stessa Helena, la quale non perde occasione per tentarlo, con la prudenza necessaria di fronte ad un uomo sposato con figli, vittima di una morale che lo paralizza in equilibrio precario tra bene e male.

La donna è tentatrice, calcola il peso del male e fa sì che il mondo giri di conseguenza. Josefina non vuole avere rapporti prematrimoniali, ma suggerisce la scorciatoia della sodomia quale via più pura per il piacere. Helena sa che non sta bene desiderare l'uomo di un'altra, ma se si è in due a volersi bagnare nel peccato allora i sensi di colpa si fanno un po' più tollerabili. E Amalia. Tenera, innocente Lolita argentina, ammaestrata dai brividi che scuotono la pelle e imbavagliano le voci severe che l'educazione cattolica le ha lasciato dentro, che a confronto con le urla della passione diventano sterili, ma fastidiose quanto il ronzio continuo degli insetti; oggetto del desiderio insopportabile di un uomo spento, che preferisce essere parassita perché senza i denti di un leone; bimba santa il cui solo respiro è peccato, fatale peccato, e scandalosa carne tenera che induce in tentazione e spalanca le porte al male (Amen).

Dopo aver conquistato i favori della critica e l'ammirazione dei suoi colleghi, Pedro Almodovar in primis, grazie al suo film d'esordio La Ciénaga, Lucrecia Martel torna alla regia con La niña santa, l'incontro disorientante tra l'ansia della religione e il prurito della vita raccontato con gli indici spezzati e un pugno di semi sulla lingua. Ne viene fuori un sussurro, un lavoro in sospensione che stanca nell'immediato, ma si rivela a lungo termine ingravidando la mente dello spettatore di riflessioni più o meno consistenti. Dio è buono e misericordioso, ma perché non si fa mai vedere? Perché rischio una vita ultraterrena tra le fiamme dell'inferno se cedo ai piaceri della carne e desidero che il mio corpo sia riempito da quello di un'altra persona e non da Dio? E perché questo Dio rimane ignobilmente muto quando ci si perde nella vita reale, quando i terremoti dell'adolescenza danno il la ad una sinfonia di macerie che coprono sogni innocenti? Quesiti che naturalmente non trovano risposte in questo film che preferisce invece puntare l'attenzione sui rapporti tra esseri umani, sul dramma minimo delle difficoltà di comunicazione, sull'avventura del crescere e la scoperta delle pulsioni sessuali.

I corpi mutilati dalla regia della Martel danno voce al contorno, ma grandissima importanza viene conferita all'orecchio, sempre teso, come in un'eterna attesa, e quindi ai rumori (il ronzio degli insetti, l'eco dell'acqua mossa in piscina, le conversazioni rubate al ristorante) che fanno del suono il centro invisibile della pellicola. Un film estremamente musicale, nonostante la quasi totale assenza di colonna sonora. L'ambiente in cui si svolge la vicenda, l'hotel termale di proprietà di Helena, è caratterizzato da un evidente conflitto tra il benessere delle acque termali e il fastidio degli insetti e dei pidocchi sempre in agguato, da debellare con uno spray spruzzato senza sosta. I personaggi sono solo accennati, ritratti nel breve scorrere di un attimo, insieme santi e diavoli.

Peccato che il distacco assoluto che la regista vuole mantenere nei confronti dei temi trattati la faccia scivolare sulla buccia dell'incompiutezza, arrivando ad affidare il finale, come buona parte del cinema di oggi, ad una non-chiusura, che in questo caso però ha le sembianze di una beffa, perché troppo in anticipo, a indicare che non è importante ciò che è stato narrato, ma quel che è stato occultato.
Temi scottanti soffiati in una bolla di sapone che si perde nell'aria senza scegliere lo spazio dove scoppiare. Il tutto con la benedizione di Almodovar, che del film è produttore.