Identità e libertà nel film di Chris Kraus

Il regista tedesco presenta alla stampa il suo terzo lungometraggio, incentrato sulla figura della poetessa Oda von Siering e sul suo incontro, appena quattordicenne, con un rivoluzionario che le insegnerà a raccontare, a pensare e a vivere.

Poll, terzo lungometraggio del regista tedesco Chris Kraus, nasce dalla scoperta fortuita di una parentela con la poetessa Oda von Siering, voce antifascista nella Germania a cavallo tra le due guerre e per questo ignorata sdegnosamente dalla famiglia ultra-conservatrice del regista. Kraus ripercorre gli avvenimenti cruciali dell'estate del 1914, quando la quattordicenne Oda, rimasta orfana di madre, ritorna in Estonia dal padre, eminente scienziato allontanato dal mondo accademico per le proprie teorie, nonché pratiche, estreme. A sovrapporsi alle difficoltà familiari, con la matrigna Milla e il resto dell'entourage paterno che sembra ignorare Oda, ci sono gli echi rivoluzionari che animano la popolazione estone, contesa tra i tedeschi, di cui l'altolocata famiglia von Siering è illustre esponente, e i russi che premono per conquistarne la posizione strategica sul Baltico. Attraverso l'incontro con un anarchico ferito, Oda troverà non soltanto una possibilità di evasione, ma anche un compagno e un amico, e imparerà cosa vuol dire crescere, cambiare e diventare padroni delle proprie scelte. Ciò che colpisce del film, oltre al connubio di risolutezza e poesia con cui il regista riesce a pilotare le contrastanti emozioni dello spettatore, è la bravura del cast, su tutti dell'esordiente Paula Beer, nel ruolo di Oda. Insieme a lei, anche il regista e gli altri attori protagonisti (Edgar Selge nel ruolo del padre Ebbo, Jeanette Hain in quello della matrigna e Tambet Tuisk in quello del rivoluzionario Schnapps) hanno presentato alla stampa il film, in concorso al festival nella sezione ufficiale.

Come vi siete preparati ad interpretare i vostri personaggi? Edgar Selge: Insieme al regista abbiamo parlato molto del mio personaggio, è stato come se ne avessi letto una biografia.
Jeanette Hain: Quando si recita un ruolo storico come questo è necessario immedesimarsi molto, pensare al tipo di persona che era quella che stai interpretando, e questo è stato possibile per noi perché abbiamo vissuto insieme per mesi, in un luogo fuori dal mondo. E' stata un'esperienza di grande intensità, anche perché da parte della regia c'è stato un lavoro straordinario.
Tambet Tuisk: Io sono l'unico che viene dal luogo in cui la storia si svolge, e che interpreto quindi non solo un personaggio, ma anche i desideri di tutto un popolo. La storia dell'Estonia e della contesa tra russi e tedeschi è una parte integrante molto importante della narrazione.
Paula Beer: Prima di tutto ne ho parlato con Chris, poi ho letto diverse poesie scritte da Oda e ovviamente la sceneggiatura. Inoltre ho scritto un diario dal punto di vista di Oda, per poter capire meglio sia lei che le sue scelte.

Aldilà della realtà storica del personaggio della protagonista, quante libertà sono state prese nel film? Chris Kraus: Il punto di partenza è stato qualcosa di vero, ma come in ogni costruzione drammatica l'elemento artificiale c'è. In questo caso era importante inventare qualcosa che coinvolgesse emotivamente lo spettatore: in questo momento, parlando di fatti reali, tra di noi è difficile ridere o piangere, mentre il plot di una storia deve essere rafforzato dall'emozionalità. La storia d'amore rappresenta il nucleo centrale di questo: è un elemento inventato, ma che non penalizza la storia vera. Per il contesto generale ho attinto dalla biografia di Oda, che ora è finita nel dimenticatoio ma che negli anni Cinquanta era invece molto nota. Ho scoperto per caso di essere suo parente nel 1987, quando studiavo letteratura tedesca. Io vengo da una famiglia di destra, molto conservatrice, ed era vietato parlare di lei per le sue simpatie comuniste. A me interessava capire come avesse creato la propria identità, con in più la difficoltà di mettersi contro la propria famiglia. Oltre all'elemento biografico, volevo raccontare però anche qualcosa che avesse significato per il mio paese. Io ho sempre bisogno di un punto di partenza personale, per Quattro minuti era stata una storia personale che nasceva da un confronto con una mia professoressa, mentre qui è stata una parente che non sapevo di avere. Nel corso degli anni, lavorando insieme, alla fine si crea qualcosa che è anche di più della somma di tutte le parti; ad esempio con Edgar abbiamo parlato tantissimo del suo personaggio. Il suo è forse il ruolo più complesso, non volevo che diventasse quello di un cattivo mefistofelico, ma che assumesse una dimensione quasi faustiana, come se il diavolo lo avesse tentato attraverso la scienza. E' un rischio rappresentare un personaggio del genere oggi, ma io ho voluto sottolinearne anche gli aspetti positivi, come l'amore per sua figlia. Parlare per noi è stato parte del progetto del film, anche per quel che riguarda la nostra bravissima scenografa, Silke Buhr, che ha creato un altro protagonista, la casa.

Il film è una coproduzione austriaca. Ci sono anche attori o location austriaci? Chris Kraus: Gli attori sono quasi tutti tedeschi, questo perché il nostro coproduttore ci ha lasciato la massima libertà, anche di scegliere di non girare in Austria o con un protagonista austriaco: l'importante era partecipare al progetto. In Austria abbiamo effettuato tutta la parte della postproduzione, ma non abbiamo avuto vincoli per quel che riguarda le ambientazioni o gli attori. Ci hanno detto che amavano questo film e che l'avrebbero supportato in ogni caso, e per noi è stato molto importante avere questa fiducia.

Anche qui, come in Quattro minuti, hai lanciato una giovane attrice. Come hai fatto questa scelta? Chris Kraus: Si, qui abbiamo di nuovo una protagonista giovane, che non avevamo trovato nemmeno dopo 2500 provini. Poi ci siamo spostati con i casting nelle scuole, e lei è stata notata quasi per caso, mentre era in cortile. La mia scelta è nata dal cuore, è stata una questione di pancia, poi l'abbiamo "torturata" in vari provini e cercato una lingua comune, ma non si poteva essere sicuri prima che avrebbe fatto una prestazione così eccezionale. Anche nel caso di Quattro minuti è stata una sensazione, poi la protagonista era come un aspirapolvere psicologico, assorbiva tutti i consigli e le suggestioni che le offrivamo. Qui, Paula non aveva una formazione, ma il risultato è stato eccezionale comunque: non era mai stata davanti a una cinepresa, era lontana da casa per la prima volta, e in più spesso i giovani tendono a non mantenere la concentrazione per tutto il tempo delle riprese. Lei invece migliorava di giorno in giorno; ma non lodiamola troppo, è una ragazza con i piedi per terra.

Paula, dopo questo film pensi che continuerai la carriera di attrice? Paula Beer: Si, senz'altro, vorrei continuare a recitare.

La casa del film è realmente esistita o si tratta di uno degli aspetti sognanti, pieni di grazia con cui la narratrice Oda, ormai anziana, sembra aver mitigato la realtà crudele di quegli anni? Chris Kraus: Questo per me è un complimento più che una domanda, ha detto delle cose come avrei voluto dirle io. Quella non era una casa di sogno, anzi era quasi un incubo, ma certamente non era fantastica. L'approccio è stato quello di ricostruire un'epoca, e per farlo avevamo cercato una casa dovunque in Europa, ma senza trovarla. Alla fine siamo arrivati su questa spiaggia sul Baltico e ci siamo detti: o la facciamo qui, o non facciamo niente, ma dobbiamo fare qualcosa di incredibile. La casa è anch'essa una protagonista, e ci siamo ispirati al progetto di un governatore dell'Alaska di 150 anni fa, il cui riferimento era Palladio. Questo equilibrio tra aspetti negativi e grazia avviene davvero nella vita, questa mobilità, questa disgregazione sono sempre presenti nell'arte, e noi abbiamo tentato di prendere sul serio questo equilibrio tra ricordo, che con il tempo diventa sempre più bello, e immedesimazione in quel periodo, che era realmente crudele. Questo è il ritmo della vita.
Jeanette Hain: Volevo aggiungere che, stando in quella casa, se ne poteva sentire quasi il battito del cuore. Non vedevo l'ora di arrivarci, e nei primi tempi dopo che ce ne siamo andati, ne avevo davvero nostalgia. Volevo assolutamente vedere il film per respirare di nuovo quell'atmosfera, quella patina di storia in cui eravamo immersi durante la lavorazione.
Chris Kraus: Per una produzione tedesca non è usuale che tutti gli attori rimangano sul set per tutto il tempo della lavorazione, e anche per questo tra noi si è creato un ambiente familiare, isolato da tutto, che abbiamo usato all'interno del film.

Quali sono i suoi progetti futuri? Chris Kraus: Io volevo fare questo film e l'ho fatto, ora vorrei uscire da questo periodo anche un po' triste con altre cose, ma di cui ora non posso parlare.

Crede che questo film servirà anche a promuovere la figura artistica della poetessa Oda, magari attraverso delle ristampe? Chris Kraus: Il suo è stato il destino di tutti coloro che lavorano nell'arte, ma nella sua vita è stata dimenticata anche per altre due ragioni. Innanzi tutto era un'antifascista, e per questo è stata screditata moralmente prima della guerra, e poi negli anni Cinquanta anche da coloro che erano emigrati, cosa che lei non aveva fatto. Inoltre oggi la composizione lirica non esiste praticamente più come categoria letteraria, e quindi non credo che le sue opere verranno mai ristampate, ormai ha avuto la sua parte. Noi non volevamo rivitalizzare la sua opera ma parlare di come è nato un periodo, che è stato in pratica l'inizio dell'era moderna, dell'eugenetica, del fanatismo scientifico. Voglio solo aggiungere che, dopo due anni, sono felicissimo di essere di nuovo qui a Roma, e che spero di passare anche oggi, come è stato ieri, un'altra bella serata.