I soliti sospetti: il finale che inganna e sorprende lo spettatore

La spiegazione del finale de I soliti sospetti, il film di Bryan Singer del 1995, vincitore di due premi Oscar tra i quali miglior sceneggiatura.

I soliti sospetti: Benicio del Toro, Gabriel Byrne e Stephen Baldwin durante il confronto
I soliti sospetti: Benicio del Toro, Gabriel Byrne e Stephen Baldwin durante il confronto

Venticinque anni fa assistevamo per la prima volta a uno di quei colpi di scena cinematografici talmente clamorosi e famosi da diventare parte della cultura pop (giusto per rimanere nei confini nazionali c'è una canzone di Caparezza che "spoilera" questo e molti altri film). Impossibile, oggigiorno, non conoscere la vera identità del misterioso Keyser Söze eppure I soliti sospetti non è uno di quei film con un finale che funziona solo alla prima visione e se non si conosce nulla del film. Tutt'altro. Anche ben sapendo la conclusione della vicenda, il film di Bryan Singer riesce a essere un thriller che tiene incollati allo schermo, merito del suo essere un racconto ingannevole, da ricostruire ogni volta, pieno di dettagli e ambiguità che lo rendono in qualche modo diverso a ogni visione. Considerata (meritatamente) una delle migliori sceneggiature mai scritte (lo sceneggiatore Christopher McQuarrie, qui vincitore dell'Oscar, ora è il regista della saga di Mission: Impossible) andiamo ad analizzare perché il finale de I soliti sospetti è capace ancora di ingannare e sorprendere lo spettatore anche dopo tutti questi anni.

Cosa succede nel finale

Succede Nel Finale
Una scena de I soliti sospetti

All'origine c'è questo boss di nome Keyser Söze, un uomo potente e misterioso, a cui un gruppo di cinque criminali hanno pestato i piedi senza volerlo rapinando alcuni gioielli. Per ripagare il debito, i cinque (diventati presto quattro dopo una dimostrazione di forza da parte di questo boss leggendario) dovranno assaltare una nave attraccata al posto di Los Angeles in cui pare sia presente una partita di droga dal valore di ben 91 milioni di dollari. Qualcosa non andrà per il verso giusto e, tra i nostri protagonisti, l'unico sopravvissuto sarà Roger Kint detto Verbal (Kevin Spacey, qui vincitore dell'Oscar al miglior attore), uno storpio zoppo che sembra avere qualche ritardo mentale. Durante un interrogatorio, Verbal avrà modo di raccontare tutta la storia ai poliziotti: la partita di droga non esisteva e il tutto era una messinscena per eliminare l'unico uomo in grado di testimoniare l'identità di Keyser Söze. L'interrogatorio si conclude con quella che, alla luce dei fatti e del racconto, sembra la verità: questo misterioso Söze doveva essere Dean Keaton (Gabriel Byrne), un ex poliziotto corrotto che aveva ideato tutta questa storia per sparire dalla circolazione. Lo stesso Verbal dice di aver visto un uomo uccidere Keaton, ma a causa dell'esplosione sulla nave il corpo non è stato trovato. Nonostante venga messo alle strette, Verbal, dopo aver pagato la sua cauzione, è libero di andare. La vicenda sembra conclusa finché un semplice dialogo tra i due poliziotti, all'apparenza banale, rileva una verità: il racconto di Verbal era tutta una finzione, improvvisata leggendo gli appunti appesi al muro, inventandosi nomi presi dai marchi delle tazze (l'avvocato Kobayashi prende il nome dal marchio della ditta di porcellana stampato sulle tazze del caffè). Keyser Söze è Verbal, confermato anche dall'identikit di un sopravvissuto arrivato via fax alla stazione di polizia troppo tardi. E come la figura di questo boss, leggendario e misterioso, anche Verbal smette di zoppicare e sparisce lontano a bordo di un'auto.

Un disordine sistematico

Disordine
Una scena de I soliti sospetti

"Sei un gran disordinato", dice l'agente Kujan al suo superiore. "Sì, ma è un disordine sistematico. Non ci capisci niente a guardarlo così, devi guardarlo da una certa distanza" risponde l'altro. È con questo dialogo all'apparenza banale che avviene l'epifania e la verità viene svelata. Basta una semplice prospettiva diversa, un altro punto di vista e la storia cambia, svelandosi. Non solo: lo stesso film ci invita a fare altrettanto, non durante la prima visione - ovviamente - che risulta una visione vergine e scevra di ogni malizia, ma per le successive. Qui sta il vero pregio de I soliti sospetti: non si basa unicamente, come il film vuole lasciarci intendere, sulla scoperta dell'identità di Keyser Söze, ma su come il personaggio di Verbal sia riuscito a ingannare gli altri personaggi del film (e noi con loro). A partire da dettagli extracinematografici (i più maliziosi vedranno le iniziali KS che corrispondono sia al nome del personaggio sia al nome dell'attore) sino a vere e proprie "chicche" nascoste (a inizio film l'inquadratura di un groviglio di corde si dissolve nel volto di Verbal, quasi a voler legare la complessità del piano e il groviglio narrativo con la mente criminale che lo concepisce, a suo modo un indizio fortissimo sul colpo di scena finale), riguardare I soliti sospetti, anche conoscendone la conclusione, mantiene inalterato il suo fascino. È sempre un piacere perdersi nel racconto di Verbal, composto da contaminazioni tra realtà e fantasia, incapaci di definire se il piano machiavellico sia perfetto o zoppicante come il suo narratore, se sia il frutto di un uomo che si crede un dio criminale o del diavolo leggendario che fa credere a tutti di non esistere davvero. Persino il titolo "I soliti sospetti" nasconde al suo interno questo gioco di revisioni: ogni volta che riguardiamo il film gli stessi personaggi, i nostri soliti sospetti, sembrano diversi.

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Il potere del racconto

The Usual Suspects 1995
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Verbal, un nome che al suo interno contiene la caratteristica principale del personaggio, un soprannome datogli perché parla troppo e, in effetti, tutto il film è il racconto della sua deposizione, del suo punto di vista, di una sua personale narrazione. Da qui il motivo per cui forse non tutto è preciso al millimetro e non tutti i dettagli sono curati allo stesso modo. Un film che è un inno alla figura del narratore, capace sì di un intelletto in grado di usare il caotico mondo reale per dar vita a racconti di finzione, ma anche legato a doppio filo (ancora i grovigli delle corde) alle reazioni dell'ascoltatore. Perché, come ben sappiamo, una storia può anche fare a meno di tutta una serie di dettagli se è capace, anche a semplice impatto, di intrattenere a dovere chi l'ascolta. Come Kujan, anche noi siamo ammaliati dalla lingua del diavolo, dalla finzione messa in scena da Verbal/Keyser Söze, dall'incedere ritmato del suo racconto. E anche noi, una volta scoperta la finzione non possiamo fare a meno di restare sorpresi: il diavolo ci ha fatto credere che non esiste e noi ci siamo cascati. Ci abbiamo creduto, così come crediamo alle storie di finzione quando sospendiamo l'incredulità. Keyser Söze è il perfetto narratore e noi siamo bambini pronti ad addormentarci: non importa quante volte abbiamo già ascoltato quella storia, ne resteremo sempre affascinati. Per poi chiudere gli occhi ed addormentarci mentre il narratore, come il diavolo, sparisce.

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