Ghosts of Beirut, la recensione: i fantasmi di un terrorista libanese

La recensione di Ghosts of Beirut: uno spy drama asciutto, onesto, intenso per raccontare la storia vera della cattura del pericoloso terrorista Imad Mughniyeh, avvenuta nel 2018. In streaming su Paramount+.

Ghosts of Beirut, la recensione: i fantasmi di un terrorista libanese

Non possiamo non sentire delle chiare Homeland vibes mentre scriviamo la recensione di Ghosts of Beirut, la nuova miniserie spionistico-politica dal 27 luglio su Paramount+ con i suoi quattro episodi. Un racconto schietto e (s)leale su una storia vera realmente accaduta subito prima della pandemia. Ovvero l'inseguimento e la cattura di uno dei più pericolosi terroristi di tutto il mondo, Imad Mughniyeh: un modo per far riflettere su un tema sempre terribilmente attuale come quello dell'estremismo religioso ma anche in modo più ampio sull'influenza delle persone sugli altri e su cosa queste sono disposte a fare in nome di qualcosa in cui credono, non necessariamente solo la religione.

Homeland a Beirut

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Ghosts of Beirut: una scena

Creata da Avi Issacharoff e Lior Raz, un giornalista israeliano e un attore e sceneggiatore che già avevano dato vita davanti e dietro la macchina da presa a Fauda, e diretta da Greg Barker, già dietro molte war stories, Ghosts of Beirut vuole mettere in scena l'origin story di un villain, il ventunenne Imad diventato poi uomo, un fantomatico terrorista libanese che riuscì a sfuggire alla cattura della CIA e del Mossad per ben due decenni. Una caccia all'uomo rigorosa e decennale, messa in scena con un'attenzione registica e di fotografia (nei toni del grigio e del verde acido) molto puntuali, senza fronzoli, anche nei dialoghi asciutti e diretti. Hisham Suleiman ha il difficile e delicato compito di ritrarre il terrorista al centro della storia, mentre assistiamo ovviamente al lavoro della controparte per scovarlo, raggiungerlo e catturarlo. Da un lato il Mossad rappresentato dall'agente Teddy (Iddo Goldberg, che piacere ritrovarlo in tv), dall'altro la CIA nella persona dell'agente Lena (Dina Shihabi), ognuno coi propri fantasmi familiari e personali ("Non voglio sentire applausi o urla di gioia se lo prendiamo" è una citazione sintomatica che rende chiaro il tono dello show). Ma ci sono anche i fantasmi di Imad e del suo passato, che ci viene raccontato a poco a poco agli spettatori, per provare ad indagare sul suo fanatismo ed estremismo religioso.

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Realismo terroristico

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Ghosts of Beirut: una scena

C'è grande realismo nella costruzione narrativa di Ghosts of Beirut, che rispetto ad altre spy e political stories non si perde in chiacchiere (infatti dura solamente quattro episodi) e anche nei momenti di tensione va dritta al punto, pur mantenendo una certa tensione e un ritmo compassato. Per ottenere questo risultato la parte prettamente fiction è inframezzata da interviste in stile documentario a veri rappresentanti della CIA e del Mossad su quanto successe in quegli anni. Questo perché non sono esattamente chiari l'andamento degli eventi e l'epilogo che portò a fermare il pericoloso integralista, dato che tutt'oggi viene negata una loro collaborazione in tal senso. Il coinvolgimento di Mughniyeh negli attacchi della Hezbollah tra il 1980 e il 1990, di cui abbiamo un terribile e fragoroso assaggio nelle prime puntate, è ciò da cui parte e a cui arriva la miniserie. Ad impreziosire il cast, volti noti del cinema e della serialità come Dermot Mulroney (oramai totalmente rilanciato in tv, lo stiamo vedendo parallelamente come Presidente Usa in Secret Invasion) e Garret Dillahunt, ad interpretare alcuni alti membri del governo e dell'agenzia statunitense decisi a fare piazza pulita.

Fantasmi del passato

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Ghosts of Beirut: una scena

I fantasmi del titolo non solo quelli che popolano le strade di Beirut dopo gli attacchi, ma anche quelli che tormentano Imad così come gli altri personaggi. Con Homeland lo show ha anche un altro elemento in comune- soprattutto le primissime stagioni con la possibile conversione e conseguente possibile doppio gioco di Nicholas Brody: provare a mostrare come viene messa in atto l'influenza e il convincimento da parte di Imad su quelli che diventeranno attentatori in suo nome. La religione non è l'unico motore (riguarda anche il personaggio di Teddy, ebreo, ma c'è una fede generale e trasversale su cui riflettere. È la parte della serie che, a livello di scrittura e di insistenza sui primi piani e campo e controcampo dei dialoghi, genera maggiore inquietudine nello spettatore, poiché ci mostra il reclutamento e l'indottrinamento. Un argomento sentito sicuramente maggiormente negli Stati Uniti dopo l'11 settembre ma che allo stesso tempo ci riguarda tutti. Uno spaccato davvero rustico e preciso della storia recente che in fondo caratterizza inevitabilmente anche il nostro presente.

Conclusioni

Alla fine della recensione di Ghosts of Beirut rimaniamo sulla stessa lunghezza d'onda, ovvero quella della schiettezza e crudezza di quanto raccontato, per una miniserie che vuole provare a ragionare su quanto a volte una singola persona possa influenzarne tante altre, e sulle conseguenze che ciò può avere sul resto del mondo. Il cast funziona sia nel ruolo delicato del terrorista protagonista sia in quello degli agenti che vogliono fermarlo a tutti i costi.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.7/5

Perché ci piace

  • I fantasmi che attraversano tutti i personaggi, compreso Imad.
  • La scelta di un ritratto e un racconto onesto e senza fronzoli, a tratti documentaristico.
  • La tematica del reclutamento e dell’indottrinamento.

Cosa non va

  • Il ritmo compassato.
  • Proprio l’essere così asciutto potrebbe non piacere a tutti.