Recensione America Oggi (1993)

Tra cielo e terra Robert Altman racchiude la città e ce la consegna, senza orpelli e senza concessioni alle convenzioni del narrare artefatto, ma con l'efficacia unica della naturalezza del suo cinema.

Gente di Los Angeles

Short Cuts, le scorciatoie del titolo originale di America oggi sono quelle letterarie di Raymond Carver, e rimandano al suo rinomato "minimalismo" stilistico: i racconti di Carver, dai quali Robert Altman e il co-sceneggiatore Frank Barhydt traggono spunto per il capolavoro della maturità altmaniana, sono scarni, senza fronzoli, spesso enigmatici, eppure incredibilmente eloquenti e illuminanti. Altman raccoglie le epifanie umane svelate da Carver e ne fa un fitto e complesso arazzo di americanità, ma soprattutto di umanità senza tempo e senza passaporto. Complice, naturalmente, un cast formidabile che assicura spessore ai numerosi personaggi e agli altri elementi in gioco, quelli impalpabili eppure potentissimi: i desideri, le debolezze, le frustrazioni, e le quotidiane fatalità. Perché non è solo a Los Angeles che i matrimoni naufragano, i bambini muoiono tra le braccia di genitori impotenti, le incomprensioni minano i rapporti e trasformano le persone in un pericolo l'una per l'altra, e le ipocrisie e gli egoismi trionfano sulla generosità e la sensibilità.

Con uno sguardo distaccato ma complice, ironico ma empatico, severo ma compassionevole, senza mai calcare la mano (come hanno fatto invece i suoi pur blasonati epigoni, troppo spesso celebrali, didascalici o pretestuosi), Altman racconta una storia che ogni giorno si racconta da sé nelle strade di tutte le nostre affollate città, ma che non siamo in grado di percepire se non attraverso il filtro della sensibilità artistica. La storia di un pugno di ore nella vita di coppie e famiglie come tante che diviene esemplare quando l'autore l'abbraccia, racchiudendolo tra un volo di elicotteri e un drammatico sisma. Il veleno che cade dal cielo e costringe le persone a chiudersi negli angusti inferni di quattro mura, e il terremoto, evento tanto legato al mito di L.A., l'enorme metropoli laida e pericolosa eppure splendida e munifica: la città dei sogni cui Altman, uomo del mid-west e pioniere del cinema indipendente, è profondamente legato suo malgrado.

Dal cielo arriviamo dunque sulla città, e caliamo nelle case, nei jazz club, nei teatri, tra incontri in società e scontri domestici di cui, pur avvolti nell'atmosfera agosciosa e tragica, non possiamo che ridere. I personaggi - che non sono "protagonisti" - si tormentano e si deludono a vicenda; umiliati, stizziti, offesi, feriti si allontanano l'uno dall'altro, in attesa che qualcosa torni a unirli, e questo qualcosa arriva dalla profondità della terra: non è il giudizio del regista, il sisma purificatore, ma è l'elemento unificante, che, come la morte, rende tutti uguali e regala un unico momento rivelatore a chi festeggia la via inconsapevole del dolore che ha causato, a chi piange il sacrificio della grazia, a chi libera l'orrore che ha covato nel cuore per anni, a chi affronta il proprio torturatore senza il piacere della vendetta, a chi scopre la rovina della propria esistenza.

Tra cielo e terra Robert Altman racchiude Los Angeles e ce la consegna, senza orpelli e senza concessioni alle convenzioni del narrare artefatto, ma con l'efficacia unica della naturalezza del suo cinema, per quello che è un capolavoro di mimesi e allo stesso tempo una grandiosa, variegata, inquietante ed emozionante riflessione sulla vita contemporanea.

Movieplayer.it

5.0/5