Garrone e Saviano con Gomorra a Cannes 2008

Un incontro stampa molto interessante per il film tratto dal bestseller di Roberto Saviano - protagonista, con Matteo Garrone, della conferenza.

Gomorra di Matteo Garrone è di gran lunga il film più visto al momento in Italia, e, oltre che al valore degli elementi in gioco, ha probabilmente avuto il suo peso anche l'esposizione mediatica assicuratagli dal passaggio in competizione al Festival di Cannes; ma il fenomeno di Gomorra va oltre quello di un libro popolare, e il regista e l'autore del saggio nonché co-sceneggiatore Roberto Saviano hanno cercato di sviscerarlo nell'interessante confererenza stampa tenutasi a Cannes dopo gli applausi incassati da un film che ha dimostrato di saper parlare anche al grande pubblico, così come il libro di Saviano.

Garrone, l'idea di realizzare il film è arrivata subito dopo l'uscita del libro di Saviano?

Matteo Garrone: L'Idea di fare un film è nata subito grazie alla grande potenza del libro e grazie alla possibilità di riscrivere un immaginario letterario associato alla camorra attraverso le immagini in movimento, attraverso il cinema.

Saviano ha collaborato alla sceneggiatura; in cosa è consistito il passaggio dal libro allo script?

Roberto Saviano: Si è trattato soprattutto di scegliere le storie, il libro era pieno di storie, grondava di vicende e la cosa più complicata è stata per noi scegliere le storie che potessero in qualche modo raccontare un territorio, raccontare in sintesi, per archetipi, la storia che l'intero libro andava ad affrescare. Io ho fondamentalmente aiutato altri sceneggiatori, perché il film è loro, il mio ruolo era quasi quello di un gendarme attento che l'anima del libro fosse rispettata. Ma il merito va sicuramente a loro per averla resa al meglio.

Il film in italia sta andando benissimo, se lo aspettava? E vuole commentare la polemica sui "panni sporchi di casa nostra" (la critica partita da un noto personaggio della scena politica sui film che parlano di imbarazzanti problemi selezionati per rappresentare il nostro paese a Cannes, n.d.R.)?

Roberto Saviano: Come per il libro, non mi aspettavo una simile risposta. Spesso quando una autore si accosta ad un argomento così particolare, si aspetta di allontanare il pubblico, ma per fortuna non è sempre così. In Italia - ma non credo soltanto in Italia - c'è fame di queste storie, si vogliono comprendere i meccanismi e si è un po' stanchi della visione da fiction della criminalità organizzata. So di queste polemiche, tra l'altro molto italiane, che ci vedono accusati di diffamare il nostro paese. Io ne sono accusato spessissimo quando vado all'estero, e gli istituti di cultura italiana non mi invitano mai per questo. In realtà, la prima impressione è andata esattamente nella direzione opposta. Raccontare significa fare un'operazione di verità, che va in quelche modo a mostrare un paese e le resistenze che ci sono in esso. Mi colpisce spesso vedere, all'estero, emigrati italiani orgogliosissimi di vedere la propria terra raccontata, anche nelle sue contraddizioni. Non capisco perché quando sono registi statunitensi o israeliani affontano le problematiche dei loro paesi il loro lavoro viene considerato necessario, mentre quendo lo fanno autori e cineasti italiani devono subire queste accuse. Io credo che proprio questo silenzio sulle contraddizioni del proprio paese significhi svilirlo, mentre raccontarlo è necessario. Io - e così credo Matteo e gli sceneggiatori - non mi sono posto il problema di denunciare, o urlare, volevamo soltanto raccontare ed è questo che abbiamo fatto e continueremo a fare.

Garrone, la regia è estremamente scarna. In che modo ha scelto di accostarsi al suo soggetto?

Matteo Garrone: Il film è un'esplorazione, una indagine di quei territori, e la scelta migliore mi è sembrata quella di farmi sentire il meno possibile, e quindi di proporre quella regia invisibile che era suggerita dallo stesso film. Qualsiasi tentativo di commento, qualsiasi episodio di protagonismo da parte mia sarebbe stato rigettato dal film. La stessa cosa è avvenuta con le musiche, abbiamo usato sempre le musiche che l'ambiente proponeva; penso che questa sia una regola che debba valere sempre, per qualsiasi film, ma in questo caso in particolare il film mi suggeriva un linguaggio estremamente semplice, e in questo ammetto di essere stato influenzato anche dal linguaggio di reportage di guerra e di documenti analoghi. Dovevo dare allo spettatore la sensazione di trovarsi lì per creare l'impatto emotivo e quasi fisico che era nelle mie intenzioni.

Qui a Cannes abbiamo registrato una curiosità enorme intorno al fenomeno Gomorra, quasi che parlasse in realtà a diverse realtà del mondo. Qual è la ragione di tanto interesse secondo voi?

Roberto Saviano: Non non ho mai voluto raccontare la camorra, ma parlare dell'Italia attraverso la camorra. Occorre forse aprire una parentesi: alla fine del film compaiono dei dati che in realtà ma sono parte integrante del film. Gli scrittori normalmente detestano i dati, ma io sono di diverso avviso: qui stiamo parlando di un'economia che fattura 150 miliardi di euro l'anno. Stiamo parlando di organizzazioni che, in meno di trent'anni, hanno fatto più vittime di quelle cadute nella striscia di Gaza. Gli anni di piombo hanno prodotto circa 600 morti, le mafie hanno ammazzato 10.000 persone. La Fiat Mondo fattura 50 miliarid di euro, qui parliamo di 150 miliardi solo in Italia che finiscono investiti in Scozia, in Germania, in Canada...
Parliamo di un'organizzazione dinamica, e costruendo la nostra storia e i nostri personaggi l'obiettivo non è mai stato di accartocciarci su noi stessi o sul territorio, ma far parlare il territorio come una feritoia attraverso la quale osservare e raccontare il nostro tempo. Nel mio libro ho tentato di raccontare il posto dove sono nato e cresciuto, un posto che ho odiato e amato, e quella che era l'economia del mio tempo, i modi di ragionare. I boss ragionano come i grandi imprenditori, i soldati di camorra cono personaggi che vivono nel business e che vivono con l'ossessione della morte ma si costruiscono una carriera come manager. Quindi in realtà il mio obiettivo era raccontare il mio tempo e il ruolo del potere all'interno di esso.

Maurizio Braucci (sceneggiatore, n.d.R.): Non è un caso che ben sei sceneggiatori abbiano lavorato a questo soggetto, similmente a quanto accadeva per i film del neorealismo italiano, che sono entrati nella storia del cinema mondiale. Per entrarci dovevano essere caratterizzati da uno sguardo in grado di riconoscere questioni universali. Per me è stato molto chiaro sin dal lavoro sulla sceneggiatura quello che poi Matteo è andato a verificare nei territori, che il tema che trattavamo era quello degli oppressi, dei perdenti, di coloro che vengono abbandonati a loro stessi come accade nelle periferie e nelle province di tutto il mondo in cui la ricchezza è nelle mani di pochi, temi di questi territori.
Se Gomorra verrà visto qui dalla stampa straniera com un film che parla di Napoli o anche dell'Italia, in qualche modo avremo fallito, perché in realtà abbiamo voluto parlare di una parte del mondo che paga un prezzo altissimo, viene criminalizzata e resta per lo più incompresa perché inquadrata in maniera generalista e manichea, quando invece le sue dinamiche vanno comprese, e le reponsabilità vanno affrontate.