Escape from Pretoria, la recensione: su Prime Video un teso thriller da una drammatica storia vera

La recensione di Escape from Pretoria, film dove Daniel Radcliffe veste i panni di Tim Jenkin, prigioniero politico nel Sudafrica dell'apartheid, pronto a tutto pur di evadere da un'ingiusta condanna.

Escape from Pretoria, la recensione: su Prime Video un teso thriller da una drammatica storia vera

Nel 1978, Tim Jenkin e Stephen Lee, due giovani sudafricani bianchi, stanno prendendo parte a missioni anti-apartheid quando vengono colti in fragrante e portati a processo. Il giudizio nei loro confronti, da parte di una giuria espressamente razzista, è severo: Jenkin è condannato a dodici anni e Lee a otto.

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Fuga da Pretoria: Daniel Radcliffe, Daniel Webber in una scena

Come vi raccontiamo nella recensione di Escape from Pretoria, i due vengono mandati a scontare la loro pena nel carcere di Pretoria, dove incontrano Denis Goldberg, un anziano prigioniero politico che deve affrontare quattro ergastoli per precedenti attività contro il governo. Lì da ormai lungo tempo, li introduce ai meccanismi del carcere ma li scoraggia dal tentare di fuggire, giacché le conseguenze nei loro confronti qualora fossero scoperti sarebbero inimmaginabili. Ma con il passare dei giorni Jenkin è sempre più convinto a provare la fuga e organizza un piano folle e visionario, che prevede di realizzare una copia esatta per tutte le porte che li separano dalla libertà. Giorno dopo giorno, quella nato come un sogno si trasforma in qualcosa di dannatamente realistico e fattibile...

Fuga per la vittoria

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Fuga da Pretoria: Daniel Radcliffe, Daniel Webber in una sequenza

Soprannominati i Mandela bianchi in uno dei dialoghi, i personaggi di Jenkin e Lee sono diventati un simbolo e il film altro non è che l'adattamento sul grande schermo della versione già raccontata nel libro biografico del primo, Inside Out: Escape from Pretoria Prison, nel quale lo sfortunato protagonista della vicenda ripercorre quei lunghi giorni trascorsi dietro le sbarre soltanto per aver difeso un ideale, in una società prossima al cambiamento e alla giusta rivincita della popolazione di colore. I cento minuti di visione sono ricalcati sui grandi cult del filone, con il prison-movie di stampo classico che rivive nel crescendo tensivo che vede i malcapitati prigionieri mettere in atto quello schema per fuggire dall'inferno, con al solito i secondini quanto mai cinici e spietati e il minimo errore che rischia di compromettere il lavoro di mesi e mesi.

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Polso di genere

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Fuga da Pretoria: Daniel Radcliffe, Daniel Webber in un momento del film

Se la carica drammatica ne esce paradossalmente depotenziata, in quanto si offre un quadro globale e una carrellata di personaggi secondari che sembrano più accessori all'anima di genere del racconto, la suspense è su livelli costanti dall'inizio alla fine, con il pericolo di essere scoperti che appare reale e tangibile pressoché in ogni scena e spinge il pubblico a tifare per le sorti dei carcerati. Tra chiavi realizzate in legno e improbabili nascondigli, con l'ausilio di guardie non sempre sveglie, la realizzazione di questo piano studiano nei minimi dettagli avvince e convince, lasciando però in secondo piano il contesto sociale e storico nel quale è ambientata la vicenda. Il Sudafrica e il drammatico tema dell'apartheid rimangono infatti sempre in sottofondo, con le scritte in sovrimpressione a informarci del destino non soltanto delle figure principali ma anche dei mutamenti radicali poi in atto nel Paese, una storia che lo spettatore conosce già ampiamente.

Fino all'ultimo secondo

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Fuga da Pretoria: Daniel Radcliffe in un primo piano

Ottimo ed eterogeneo al punto giusto il cast capitanato da un barbuto Daniel Radcliffe, che ormai si è definitivamente separato dall'aura/maledizione di Harry Potter e ha inanellato in carriera una serie di interpretazioni di rilievo, con il suo Tim Jenkin che diventa l'effettivo alpha e omega del racconto, pur circondato da comprimari degnamente complementari. La regia di Francis Annan è attenta e precisa e gestisce al meglio quell'unica ambientazione che caratterizza la pressoché totalità del minutaggio, a farsi prigione opprimente in attesa di quell'ipotetica libertà che sembra sempre più a portata di mano, ma che per essere raggiunta deve affrontare insidie e pericoli, in un contesto dove sbagliare poteva significare conseguenze gravi quando non mortali.

Conclusioni

Prigionieri di coscienza si definiscono Tim Jenkin e Stephen Lee, condannati per aver lottato contro l'apartheid in terra sudafricana ma per nulla restii a trascorrere le loro lunghissime condanne nel carcere che dovrebbe ospitarli per i prossimi anni. Un piano folle e ingegnoso, in cerca di quella libertà agognata, nella speranza nel frattempo che il Paese viva un profondo cambiamento sociale. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Escape from Pretoria, ci troviamo davanti a un prison-movie teso e avvincente, che sacrifica la drammaticità del contesto in favore di una messa in scena ad alto tasso di suspense, con un cast eterogeneo e centrato guidato da un efficace Daniel Radcliffe.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • Tensione ad alti livelli dall'inizio alla fine.
  • Daniel Radcliffe guida un ottimo cast.
  • Regia attenta e precisa nei dettagli, che non spreca una scena ed evita tempi morti.

Cosa non va

  • Manca per scelta un effettivo ampliamento del complesso e drammatico contesto socio-politico, tolti vaghi riferimenti qua e là.
  • La caratterizzazione di alcune figure secondarie è grossolana.