Dalla realtà urbana a quella scolastica con Asse Mediano

Presentato a Roma il documentario diretto da Michele Mossa, che mostra i dietro le quinte del film Tajabone, che racconta i ragazzi delle scuole di Cagliari e le loro realtà.

Un debutto movimentato per Asse Mediano al Festival di Roma. L'incontro di presentazione alla stampa e a un folto gruppo di ragazzi delle scuole medie è stato interrotto dai fragorosi manifestanti contro crisi e governo, che hanno bloccato per quasi un'ora il festival mettendo in difficoltà le forze dell'ordine. L'incontro si è svolto in un'atmosfera di rilassato confronto tra Michele Mossa e Salvatore Mereu - rispettivamente regista e sceneggiatore - e gli studenti finché il primo piano dell'Auditorium non è stato raggiunto dalle proteste all'esterno, che hanno coperto con i loro inni le voci degli addetti ai lavori.
Presentato nella sezione Alice nella città, evento fuori concorso in anteprima assoluta il 5 novembre, il film documentario racconta quello che è successo mentre Mereu e la sua troupe giravano Tajabone, passato tutt'altro che inosservato alla 67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2010) nella sezione Controcampo Italiano. Il film di Salvatore Mereu ci portava all'interno della scuola media di Sant'Elia, una difficile realtà cagliaritana, descritta attraverso gli occhi del regista e lo sguardo degli studenti con piglio realistico e originale. Con Asse Mediano, un'opera autentica che s'inserisce nel progetto universitario della città sarda, ora possiamo capirne bene anche i retroscena. Il film, che mostra come il territorio scolastico sia sempre più un ambito positivo, s'inserisce al festival in quella che possiamo considerare una trilogia, formata da Waiting for Superman, che ci racconta il fallimento della scuola pubblica americana, e Un sasso nello stagno, che raccoglie il testamento pedagogico di Rodari.
Il regista e alcuni dei piccoli protagonisti del film ci hanno parlato della loro esperienza sul "set", vissuto per un anno intero in completa simbiosi tra l'imbarazzo iniziale per le telecamere e la confidenza graduale che ha permesso al regista di entrare anche nelle case dei ragazzi, consegnandocene un racconto interessante e totalmente sincero. Il progetto, che prende simbolicamente il titolo dalla sopraelevata che congiunge le periferie della città, è un lavoro che il regista stesso definisce "di antropologia educativa", ma non resterà un momento isolato: già si parla infatti dell'ipotesi di continuarlo in questa direzione insieme ad alcuni registi romani e in collaborazione con la sezione Alice.

Signor Mossa come nasce il progetto di Asse Mediano e quando è iniziata la collaborazione con Salvatore Mereu?

Michele Mossa: Sono stato lusingato dalla chiamata di Salvatore quasi un anno fa, nel novembre 2009, quando sono salito a bordo di un progetto voluto dalla cattedra di Cinema dell'Università di Cagliari, curato da Mereu e Floris. A lui è venuto in mente di raccontare i dietro le quinte di un percorso che si preannunciava molto intenso. Ho accettato immediatamente e poi ci siamo immersi nel progetto. Ci sono stati molti momenti pieni di entusiasmo!

Qual è il senso del progetto? Salvatore Mereu: Quello che ci ha spinto a realizzarlo è stata la voglia di raccontare questi ragazzi, all'inizio titubanti nei confronti della nostra proposta, che gli avrebbe rubato gran parte del tempo libero. Abbiamo capito subito che la grammatica filmica era noiosa per loro, ma quando abbiamo iniziato a ragionare sulle storie ed è emersa l'importanza del loro contributo, dopo un iniziale equivoco sulle possibilità concrete di realizzazione, hanno capito che il materiale più interessante poteva venire proprio da loro. Siamo partiti dagli elementi più semplici che regolano un raccontano: le idee da sviluppare. Abbiamo regalato loro una possibilità perché le idee erano tante.

Progetti come questo possono aiutare i ragazzi? Michele Mossa: Abbiamo avuto la fiducia delle famiglie dei ragazzi, che non è poco. Questi corsi servono come input per cominciare a costruire qualcosa e io credo che i ragazzi abbiano capito cosa significava quest'opportunità.

Ci sono state delle difficoltà nel convincerli a mostrarsi senza veli davanti alle telecamere? Salvatore Mereu: Direi che è accaduto un vero e proprio miracolo perché da estranei siamo entrati nelle loro vite. E' stato difficile non far sentire loro la presenza della macchina, soprattutto all'inizio. Il documentario non voleva ragionare sui volumi, ma recepire quello che si sentiva e credo che ci siamo riusciti.

Dalle immagini si capisce perfettamente quali fossero le emozioni, com'erano i rapporti familiari... Com'è stata per i ragazzi protagonisti quest'esperienza?
Andrea Ahmetovic, uno dei protagonisti: Io pensavo di essere entrato nel mondo del cinema, che avrei iniziato a fare film invece ho capito di essere un Pinco Pallino qualsiasi. La mia storia parlava di un videogioco, che volevo ricreare, ma non era possibile perché troppo difficile!
Angelica Argiolas: All'inizio, quando abbiamo iniziato le riprese ci chiedevamo chi fosse Michele. Poi abbiamo parlato con lui e la telecamera è scomparsa tanto da lasciarci andare... Lui riprendeva le nostre vite tutti i giorni a scuola. Parlavamo con lui anche dei problemi familiari e del quartiere, ricordo che i nostri amici lo guardavano male.

Avete avuto dei film di riferimento nel cinema a misura di bambini? Michele Mossa: Quando abbiamo iniziato a pensare al progetto, avevamo dei modelli cinematografici e il più importante per noi era Diario di un maestro di Sergio Atzeni, tratto dal racconto di Bernardini. Abbiamo frequentato le mediateche sarde per documentarci, ma io mi ero ripromesso di non seguire un modello in maniera pedissequa...
Salvatore Mereu: La storia di Bernardini non era tanto diversa dalla nostra. Il film che ha dato consapevolezza ai ragazzi è stato La classe, che gli abbiamo mostrato. Mi vengono in mente anche i film di Truffaut e i primi film di Kiarostami...

E' stato difficile riprendere i dietro le quinte di Tajabone?

Michele Mossa: Il nostro intento non era solo quello di fare un film nel film ma raccontare questi ragazzi anche da un'altra angolazione. Direi che il lavoro è stato fatto al 50% da noi e al 50% da loro, che hanno ridimensionato la macchina da presa... Non è stato solo un backstage!
Salvatore Mereu: E' ingeneroso parlare come di backstage di questo film perché il documentario riesce a raccontare molto di più di un film di finzione, in cui c'è la mediazione di un racconto. Qui invece non ci sono barriere e la vita corre... anche senza freni.

Potendo tornare indietro di un anno, fareste scelte diverse? Salvatore Mereu: Rifaremmo tutto allo stesso modo... Bisogna sempre conservare la curiosità magari per ripetere esperienze del genere negli anni a venire. E' un lavoro d'inchiesta e quindi va salvaguardato in quanto sfida con lo spettatore...
Michele Mossa: La sensazione in corso d'opera era di vivere qualcosa d'importante. Abbiamo sollevato questioni importanti anche sulla mia città, Cagliari, che ho potuto raccontare attraverso i ragazzi.

Il film è già stato mostrato nelle scuole? Come credete che verrà accolto? Michele Mossa: Non ancora, l'anteprima sarà qui al festival, poi a Cagliari. Mi piacerebbe che partecipassero anche gli insegnanti, ma non so come verrà accolto da loro: non è detto che venga recepito bene, ho questa sensazione.

Questo progetto potrebbe avere un seguito? Salvatore Mereu: Oggi sulla carta è ancora in vita un progetto. Il motivo per cui mi sono spostato a Cagliari, che non è la mia città, era anche quello di scoprire qualcosa che è lontano da me. Forse potremo realizzare un film di finzione in cui qualcuno dei ragazzi potrà partecipare, ma è prematuro parlarne.