Cristina Comencini a Venezia: 'I festival non accettano l'emozione'

A cinque anni dalla candidatura all'Oscar per La bestia nel cuore, presentato proprio a Venezia nel 2005 e tre anni dopo Bianco e Nero, la regista capitolina con 'Quando la notte' torna a confrontarsi con il lato oscuro dei sentimenti e di una maternità non rassicurante.

Non si aspettava certo un'accoglienza del genere Cristina Comencini, di scena oggi al Festival di Venezia per la presentazione del suo ultimo lavoro, Quando la notte. Secondo film italiano in concorso, l'opera, tratta dall'omonimo romanzo scritto dalla stessa regista, ha sollevato alcune perplessità durante la proiezione stampa, che si è conclusa con risate, applausi ironici e qualche fischio. E dire che la storia, il rapporto tormentato e appassionato tra Marina - donna in profonda crisi dopo la sua prima maternità, a tal punto da ferire quasi mortalmente il figlioletto Marco - e Manfred, guida alpina lasciato dalla moglie e abbandonato dalla madre in giovanissima età, poco avrebbe dovuto concedere alla comicità. Accompagnata dal cast al completo con i testa i protagonisti, Claudia Pandolfi e Filippo Timi, (ma erano presenti anche Michela Cescon, Thomas Trabacchi e Denis Fasolo e la sceneggiatrice Doriana Leondeff) l'autrice ha respinto con garbo e fermezza le critiche, preferendo soffermarsi sulla sfida che ha rappresentato l'adattamento cinematografico di un libro costruito sui monologhi interiori dei due personaggi principali.

Signora Comencini, partiamo proprio da questo aspetto e dalla reazione dei critici che in sala hanno fischiato il film. Forse perché la forza di certe battute si è 'esaurita' nel passaggio dalla pagina scritta al grande schermo...
Cristina Comencini: Ho lavorato molto tra libri, cinema e teatro e non sono d'accordo con questa critica. Nel film c'è sintesi dell'immagine. Le battute sono davvero pochissime e quelle poche sono emozionanti. Forse non sempre nei festival l'emozione è accettata, ci vuole coraggio ad emozionarsi.
Doriana Leondeff: Massimo rispetto per la reazione degli spettatori. Certo, sarebbe stato più semplice fare dei dialoghi naturalistici, ma abbiamo scelto di lasciare ridurre all'osso le battute, tenendo quelle più secche ed efficaci. Mi sono trovata a lavorare su un romanzo molto bello e non ho voluto trasporre la trama, ma riproporre quei sentimenti attraverso il cinema, lasciando parlare le immagini.
Uno dei temi portanti del film è la maternità che la protagonista, Marina, vive in maniera non rassicurante...
Cristina Comencini: Le donne sanno quanto possa essere difficile la maternità, ma non lo hanno mai raccontato. Tutti invece parlano di istinto materno e dietro a questo concetto si tende a nascondere una miriade di cose. Perché il rapporto con un figlio è ambivalente, c'è la limitazione della libertà, ma allo stesso tempo c'è l'acquisizione del rapporto con un'altra persona. E' un legame che talvolta strozza le donne, è un sentimento forte e per questo complicato. Mi piace raccontare l'ambivalenza dei sentimenti e la fatica che i due protagonisti fanno per emergere dai conflitti e dalle solitudini. Ma nel film non c'è solo questo, perché il bambino è anche dell'uomo. In effetti volevo metter l'uomo al centro del rapporto tra madre e bambino, visto che lui li salva entrambi. Non credo che l'uomo capisca cosa affronti la donna nella maternità. Deve farsi avanti come padre e come essere umano che divide la madre dal bambino.
Claudia Pandolfi: E' stata un'esperienza travolgente e lo dico da mamma, perché anche io ho provato questo sentimento quando è nato mio figlio. Mi chiedevo dove fosse finito l'istinto materno di cui tutti mi parlavano, cercando di tranquillizzarmi. La verità è che nessuno ti insegna ad essere genitore e di fronte ai propri limiti l'esperienza si fa ancora più dura. Questo per me è stato un film intimo. Ci sono momenti in cui una madre si sente persa, parlarne con altre donne è bello. Non accade mai, tutti ti dicono che sei perfetta e invece non si è mai preparati.

L'ambientazione tra le montagne, il dramma di una madre che non riesce a reggere il rapporto con suo figlio, sono elementi che ricordano il caso di Cogne. Aveva davvero intenzione di fare questo riferimento?
Cristina Comencini: Se c'è stato me ne sono accorta dopo, perché banalmente sono partita dalla classica frase che tutti i pediatri dicono alle mamme e cioè se il bambino sta male, portatelo un mese in montagna, come se la montagna dovesse sanare tutti i raffredori perenni dei figli. Mi sono chiesta cosa ci fosse dietro a questa normalissima usanza. In realtà in montagna la solitudine ti costringe a scoprire i problemi che hai. Nessuno può sapere cosa si prova davvero a passare una giornata di pioggia chiusi in casa con tuo figlio che non può uscire perché è ammalato. Ogni volta che riesci a fare qualcosa, come andare in bagno, senza ammazzare il bambino ti senti un'eroina. Quanto a Cogne, non so. Forse nell'insonscio questa cosa ci stava, ma non ne avevo coscienza.

Il film è anche un confronto tra due madri, Marina, appunto, e Bianca, la cognata di Manfred, una donna che a differenza dell'altra sembra aver trovato un suo equilibrio nel rapporto con i figli...
Michela Cescon: Questo grazie al rapporto con il compagno di vita. C'è una battuta di Bianca che a ripeterla oggi mi mette ancora i brividi e cioè, "se non ci fosse stato mio marito non sarei riuscita a fare tre figli". Ecco, il marito è stato l'unico a capire che non era affatto scontato che lei rimanesse lì, senza aprire la porta e andarsene per sempre. Io ho amato molto il film e ovviamente il mio personaggio, Bianca, soprattutto nel momento dell'incontro con Marina.
Claudia Pandolfi: Nonostante le differenze delle loro storie personali, in quella scena Marina e Bianca hanno molte cose in comune, soprattutto il senso di inadeguatezza. Marina si trova completamente sola, senza che nessuno le dica la verità in faccia, come invece fa Manfred. Bianca e il marito non hanno bisogno di mettere maschere, sono autentici.

A proposito di coppie, possiamo dire che la coppia artistica Timi-Pandolfi è decisamente atipica, quanto è stato difficile per voi lavorare ai rispettivi personaggi?
Filippo Timi: Altro che atipica, io Claudia me la sposerei subito, peccato che sia già occupata. Non conoscevo Claudia ma abbiamo fatto il provino insieme e c'è stata subito una grande appartenenza. Ci accomunano la stessa ruvidezza e lo stesso scalpitìo emotivo. O ci prende insieme o prende altri le ho detto quando abbiamo finito. Direi proprio che difficoltà non ne ho proprio incontrate, a parte i miei soliti problemi con la balbuzie. Un giorno non riuscivo a dire la frase in ospedale e dopo tre ore giustamente Claudia si è arrabbiata.
Claudia Pandolfi: Claudia e Filippo sono molto in simbiosi.