Caro Evan Hansen, la recensione: una lettera d’amicizia all’outsider che è in ognuno di noi

La nostra recensione di Caro Evan Hansen, il film musical di Stephen Chbosky con Ben Platt presentato alla Festa di Roma e al cinema dal 2 dicembre con Universal Pictures, che tratta con delicatezza e ironia le tematiche della depressione e del bullismo giovanili.

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Caro Evan Hansen: Ben Platt insieme a Kaitlyn Dever in una scena del film

È con qualche lacrimuccia, anche se è passata qualche ora dalla proiezione, che ci apprestiamo a scrivere la nostra recensione di Caro Evan Hansen, il film musical di Stephen Chbosky con Ben Platt presentato alla Festa del Cinema di Roma e al cinema dal 2 dicembre con Universal Pictures. Tratto dall'omonimo musical di Broadway di successo, scritto e musicato da Steven Levenson e Pasek & Paul, dopo Noi siamo infinito e Wonder Chbosky azzarda con un altro adattamento difficile che tratta di temi molto delicati come il bullismo e il suicidio giovanile.

Diciassette

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Caro Evan Hansen: Ben Platt e Nik Dodani in una scena del film

Tredici erano le ragioni per cui Hannah si toglieva la vita nella serie omonima di Netflix, in Caro Evan Hansen diciassette sono gli anni che il protagonista ha mentre sente di essere invisibile, a scuola come a casa, e che nessuno riesca ad accorgersi davvero di lui e soprattutto a pensare che abbia qualcosa di interessante da dire. Il suo terapista gli suggerisce come esercizio di scrivere una lettera a se stesso in cui si dà forza per affrontare la giornata, le persone, la scuola. Quella lettera farà una fine molto diversa e inaspettata dagli intenti iniziali e darà via a sviluppi inaspettati lungo il film e che diverrà quasi un manifesto di un certo tipo di condizione: l'ansia e la depressione adolescenziali. Un tema di cui, anche da adulti, si parla ancora troppo poco, risulta ancora un argomento di cui vergognarsi, come se il chiedere aiuto non fosse la mossa più importante e il primo passo per stare bene, con se stessi prima ancora che con gli altri. Proprio come la serie di Netflix, il film tratta queste tematiche con rispetto e tatto, e Stephen Chbosky aveva già dimostrato di riuscire a muoversi nel delicato equilibrio che sta nel mezzo senza finire nel patetismo in Wonder. Qui si sfiora troppe volte la soglia, e Noi siamo infinito rimane il film più compiuto del regista di Pittsburgh, forse perché tratto da un suo stesso romanzo, finora.

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Diventare Evan Hansen

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Caro Evan Hansen: Ben Platt in una scena

Ben Platt diventa Evan Hansen, un tutt'uno col personaggio, che già aveva interpretato sul palco a Broadway nel 2016, aggiudicandosi un Tony. Fin dai piccoli gesti incerti, dai continui tremolii nelle mani e nella voce, che la regia di Chbosky coglie attraverso i dettagli, soprattutto degli occhi, "specchio dell'anima" e della verità che i personaggi vorrebbero cantare. Il film, pur con un cast che comprende nomi come Amy Adams e Julianne Moore, nei panni di due madri diverse e ugualmente determinate, è un musical che potremmo definire intimista, non sceglie grandi scenografie e numeri musicali spettacolari e colorati (ma i colori non mancano nella vita di Evan, un segnale dalla fotografia del film) ma predilige performance meno eclatanti (ma non per questo meno sentite o che arrivano meno allo spettatore) e brani musicali quasi parlati. Lo stesso Evan Hansen canta i propri sentimenti e sensazioni che altrimenti non riuscirebbe a esprimere con le parole per la sua fobia sociale. L'attenzione di Chbosky è ancora una volta più per i giovani interpreti che per i "veterani", perché dato l'argomento è importante puntare il focus su di loro.

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Caro Evan Hansen: Ben Platt e Amandla Stenberg in in una scena del film

Durante la prima performance la musica sembra addirittura quasi sovrastare le sue parole, proprio a rappresentare il suo non essere ascoltato, sentito, capito, compreso. Tutti gli attori offrono un'interpretazione sincera e commovente dei personaggi - dal Nik Dodani che ritroviamo da Atypical con un personaggio molto simile, alla giovane Kaitlyn Dever, già vista in un ruolo complesso in Unbelievable - e seppur in questa delicata e pericolosa oscillazione tra alcuni cliché, le tematiche adolescenziali vengono trattate con il massimo rispetto, con una buona dose di umorismo mai becero e con grande tatto e cuore. Tanto che una lacrimuccia o gli occhi lucidi non potranno scapparvi a fine visione. Nonostante una lunghezza forse eccessiva e un ritmo che a volte fa più male che bene nel fermarsi a riflettere, pur considerando il personaggio e il tema trattato, con alcune sequenze meno fluide. Ed è soprattutto importante che film come questi vengano mostrati nelle scuole e tra gli spettatori più giovani, perché in un modo o nell'altro va eliminato il tabù di determinati argomenti e l'essenzialità, il bisogno di discuterne apertamente, senza vergogna, di mostrare, di dire piuttosto che nascondere la polvere sotto il tappeto. Per Evan Hansen e per tutti noi.

Conclusioni

Concludiamo la recensione di Caro Evan Hansen senza dirvi nulla sugli sviluppi della trama, che preferiamo scopriate da soli, ma assicurando che saprà arrivare al cuore degli spettatori, almeno quelli non allergici ai musical, e con protagonisti che sapranno conquistarvi se lo avevano già fatto quelli di Noi siamo infinito e Wonder. Un interprete in parte e un cast che lo accompagna in questa denuncia di un sistema scolastico e di una società che ancora si vergogna troppo di parlare di certi argomenti, e che preferisce girare la testa dall’altra parte piuttosto che semplicemente rimanere ad ascoltare.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.0/5

Perché ci piace

  • Ben Platt incarna benissimo tutte le difficoltà e le fobie del personaggio che interpreta.
  • La messa in scena intimista scelta per questo tipo di racconto musicale.
  • Il rispetto, il tatto e la delicatezza con cui vengono trattati i temi del bullismo, dell’ansia e della depressione giovanile.
  • L’equilibrio sottilissimo e l’ironia in cui si muove Stephen Chbosky…

Cosa non va

  • …che a volte rischia di cadere nel patetismo.
  • Il ritmo e la durata eccessive non aiutano l’economia narrativa del film.
  • Non è sicuramente adatto a chi non ama i musical.