Anton Corbijn: "Philip Seymour Hoffman? Non avevo capito quanto la sua vita fosse vicina ai suoi personaggi"

Il nostro incontro con il maestro della luce dall'anima rock omaggiato dal Lucca Film Festival e Europa Cinema.

Quale è il segreto dell'uomo che ha immortalato le più grandi icone del rock in celebri scatti? A vederlo, Anton Corbijn sembra un tipo schivo, che tende a minimizzare i propri meriti lasciando intendere come molti dei suoi successi professionali siano accaduti per caso. Niente di più lontano dalla verità. Questo olandese altissimo dallo sguardo ceruleo e dall'ironia affilata, che potrebbe passare per inglese se a tradirlo non fosse l'inconfondibile pronuncia strascicata, è un lavoratore instancabile che attualmente si divide tra l'Olanda, Los Angeles e il Sud Africa, dove sta girando uno spot.

Anton Corbijn al Lucca Film Festival ed Europa Cinema
Anton Corbijn al Lucca Film Festival ed Europa Cinema

Non contento di aver immortalato nei suoi ritratti in bianco e nero Joy Division, Rolling Stones, Coldplay, Nirvana, Kraftwerk, Tom Waits, David Bowie, Björk, Rem, Metallica, Naomi Campbell, U2 e Nick Cave, nel 1983 Anton Corbijn ha spiccato il salto diventando regista di videoclip e ben presto si è imposto come uno degli autori più richiesti per l'iconico stile visivo e per le idee anticonformiste. "Negli anni '80 i video erano un fenomeno nuovo. Ho deciso di esplorare questo medium perché ritenevo che ci fosse molta musica fantastica a cui video orrendi non rendevano giustizia" si schernisce Corbijn. "Sono stati gli stessi artisti che avevo fotografato a chiedermi di dirigere i loro video". Un'ulteriore evoluzione della sua carriera è arrivata nel 2007 quando ha esordito nel lungometraggio dirigendo Control, biopic dedicato alla vita del compianto Ian Curtis, leader dei Joy Division. A questo felice esordio sono seguiti lo spy thriller The American, il cupo La Spia - A Most Wanted Man e il recente Life, che racconta l'amicizia tra James Dean e il fotografo Dennis Stock.

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L'anima di Ian Curtis vive in Control

Sam Riley in un'immagine di Control
Sam Riley in un'immagine di Control

Parlando dell'attività registica, Anton Corbijn sottolinea ripetutamente il forte legame con Ian Curtis che l'ha spinto a girare Control da zero. Un progetto perseguito ostinatamente tanto da decidere di vendere la sua casa inglese e fare ritorno in Olanda per finanziare il film. "Ma ne è valsa la pena". E pensare che Corbijn aveva lasciato l'Olanda per trasferirsi a Londra e vivere la passione per la musica fotografando i cantanti. "In realtà non ero così giovane, avevo 24 anni" precisa il fotografo. "Se vuoi fare qualcosa, il modo lo trovi. Ero ingenuo, avevo l'energia per scoprire cosa volevo fare nella vita e all'epoca, a Londra, con musica e fotografia si riusciva a campare. Ho attraversato momenti difficili, ma le topaie di Londra in cui dormivo non erano peggio della mia casa olandese".

Sam Riley in una scena del film biografico Control
Sam Riley in una scena del film biografico Control

A livello visivo, in Control riecheggia l'elegante bianco e nero, marchio di fabbrica dei ritratti di Corbijn, ma lui ci tiene a chiarire: "In verità il film non è stato girato in bianco e nero, avevamo visto altri film e il risultato non ci piaceva. Così abbiamo girato a colori e poi desaturato, questo processo ha permesso di ottenere un'immagine più intensa rispetto al bianco e nero tradizionale. Quando scatto non illumino mai la scena, uso solo luce naturale. In questo caso volevo che il pubblico si concentrasse sul contenuto del film e non sull'estetica sgranata". Il regista fa luce anche su alcuni piccoli trucchi usati per realizzare un ritratto di Ian Curtis il più possibile realistico e vicino al cantante con cui aveva collaborato fruttuosamente: "L'esterno che vedete era quello di casa sua, la sua vedova mi ha dato l'autorizzazione per usare la loro casa, ma l'interno era troppo piccolo per far muovere una cinepresa, così abbiamo ricostruito gli ambienti in studio il 50% più grandi, usando mura semoventi. Ho scelto di usare pochi movimenti di macchina, di fare un film fermo. Volevo restituire l'epoca, l'estetica e la tecnologia di un'era. In più era il mio primo film, ero un fotografo che voleva mettere dei concetti in video e l'ho fatto in maniera pionieristica".

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"Kurt Cobain? La persona più dolce con cui abbia mai lavorato"

Kurt Cobain nel video di Anton Corbijn Heart Shaped Box
Kurt Cobain nel video di Anton Corbijn Heart Shaped Box

La carriera di Anton Corbijn è costellata di incontri con straordinari artisti dall'animo tormentato, accomunati da una prematura scomparsa. La voce del fotografo si riempie d'affetto nel ricordare il leader dei Nirvana Kurt Cobain, "la persona più dolce con cui abbia mai lavorato". Corbijn è autore del coloratissimo video di Heart Shaped Box. "Il 90% delle idee appartiene a Kurt. E' l'unica volta che abbiamo lavorato in quel modo. Lui voleva un video dai colori vividi, così abbiamo girato a colori, desaturato in bianco e nero e poi pitturato fotogramma per fotogramma a mano. Ci abbiamo impiegato mesi, ma il risultato è strabiliante". Per paura di non raggiungere quella stessa qualità, Corbijn ha rifiutato l'invito di Kurt Cobain di dirigere il video di Pennyroyal Tea. "Temevo di deludere lui e me, ma forse è l'errore più grande che abbia fatto. Dopo poco tempo Kurt se n'è andato".

Philip Seymour Hoffman in una scena de La Spia - A Most Wanted Man
Philip Seymour Hoffman in una scena de La Spia - A Most Wanted Man

E' fresca nella memoria la scomparsa di Philip Seymour Hoffman, uno dei più grandi attori della sua generazione che Anton Corbijn ha diretto in La spia. "Quando mi è capitata tra le mani la storia di John Le Carré sono stato felice di poterla dirigere. Philip Seymour Hoffman ha accettato la mia proposta e abbiamo lavorato insieme sul personaggio. Volevo che sembrasse stropicciato, appesantito, un uomo che non riesce a liberarsi dei suoi vizi, che dopo il lavoro se ne sta da solo a bere. Non avevo capito quanto la sua vita reale fosse vicina al personaggio. Ma era un attore fantastico e un'anima bella".

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Tra U2 e Depeche Mode, la scoperta della pittura

Il celebre scatto di Anton Corbijn per The Joshua tree degli u2
Il celebre scatto di Anton Corbijn per The Joshua tree degli u2

Tra i ricordi di un'esistenza trascorsa a fianco di star uniche e una dimensione quotidiana più a misura d'uomo ("a breve mi trasferirò ad Amsterdam per conciliare lavoro e privato"), oggi Anton Corbijn si divide tra numerosi progetti: un libro fotografico, intitolato I vivi e i morti, di autoritratti degli anni '2000, un nuovo film basato sul libro di Gilbert King Devil in the Grove, dedicato al leader del movimento per i diritti civili Thurgood Marshall, un documentario sulla fine del lungo tour dei Depeche Mode e un film sugli U2 e il trentesimo anniversario di The Joshua Tree, in fase di montaggio.

Anton Corbijn con Dave Gaham dei Depeche Mode
Anton Corbijn con Dave Gaham dei Depeche Mode

Quando gli chiediamo se sia più facile lavorare con Dave Gaham o Bono Vox, Corbin sorride e confessa: "Bono è un maniaco del controllo. I Depeche Mode sono meno focalizzati sul diventare una grande band. In realtà lo sono, ma non si preoccupano della fama. Quando lavoro con gli U2 facciamo decine di incontri, con i Depeche Mode ci comunichiamo le idee per email. Ma non ho preferenze, lavoro bene con entrambi. Mi piace essere stimolato nella ricerca di nuovi percorsi creativi". L'ossessione per l'esplorazione di nuovi mondi artistici ha portato Anton Corbijn a dedicarsi alla pittura "anche se sono senza speranza. La mia ossessione deriva dalla consapevolezza di non riuscire a migliorare". A farne le spese, purtroppo, è il cinema, che procede a rilento. "Il problema è che dovrei leggere le sceneggiature che mi arrivano, ma mi manca il tempo. Dovrei rinunciare alla fotografia, ma non sono ancora pronto".