Il signor Moretti per anni è stato uno dei pochi registi in grado di raccontarci la nostra Italia con encomiabile intelligenza e spirito critico. Il signor Moretti ha un grave lacuna da farsi perdonare: ha smesso di raccontarcela la quotidianità di questo paese, le sue trame politiche, le sue contraddizioni culturali, semplicemente perchè non ha più fatto film! Niente di grave, non saremo noi ad imbracciare un fucile per obbligare un regista a fare un film, nè ad imporgli di parlare di quello che noi vorremmo fosse il suo centro argomentativo. Questo è solo un rilievo appassionato. Finalmente comunque, dopo la parentesi drammatico-autoriale de La stanza del figlio, Moretti torna a raccontare la nostra società, attraverso Il caimano, film di cui vi daremo conto nei prossimi giorni. Nel frattempo rievochiamo alcune tappe del suo cinema.
Sdraiarsi su un lettino e raccontare di spettacoli in cantine romane, partite di pallanuoto continuamente interrotte, acqua, "Isole", annegare in un lettino raccontare. Addentrarsi e scardinare i molteplici paradossi che sembra vivere l'intera filmo(bio)grafia di Nanni Moretti. Riconoscibili come film sull'Io, le opere del cineasta di Brunico fanno parte di un cinema che si presenta allo stesso tempo come il più intertestuale possibile: con la medesima continuità e ossessività esso si confronta infatti tanto con il rischio della cultura quanto con l'immagine riflessa del suo stesso Ego. Tendenza all'unità e ritorno alla dispersione e frammentazione (e/o viceversa) sembrano così le direttive guida entro le quali si muove il suo cinema.
Professore di matematica e serial killer convivono nel medesimo corpo e quell'entità unica che sembra essere la personalità vive ormai nella frantumazione selvaggia dello specchio. Deflagrazioni, scissioni, moltiplicazioni del soggetto in deviazioni spaziotemporali continue, sotto forma di fantasmi parallelamente partenti e ritornanti. Apparizioni. Tracce nell'aria di palombelle rosse: nel set mentale della piscina esplodono schegge impazzite di immagini del passato (del futuro?) e della fantasia, non contestualizzabili, forse inconciliabili. Tracce vita nelle soglie anonime di Roma: dissociazioni dichiarate e reiterate nell'acquario di Ecce bombo, in un mondo che ha perso le coordinate, disperso anch'esso. Raddoppiamenti dolorosi del Sé e destrutturazione del soggetto che concorrono nell'inesausta ricerca della ricomposizione dell'Uno, tra il simbolico spazio del set e l'immaginario onirico.
Scissioni e difficili ricomposizioni si avvertono altresì a livello testuale-narrativo (lo stesso utilizzo del capitolo in Caro diario indica qualcosa che perpetuamente ricomincia: non si ha nodo, peripezia, scioglimento, catastrofe, catarsi) ed extratestuale: oltre alla già difficile definizione già citata del Moretti personaggio, autore e narratore e alla frequente mescolanza o sovrapposizione delle tre istanze, salta agli occhi la (auto)rappresentazione del suo alter ego Michele Apicella (almeno fino a Caro diario, quando, citando Anna di Lattuada, Moretti avverte lo slittamento su uno stesso personaggio, davvero mai identico a sé stesso).
Proprio con Caro diario Moretti assume sfacciatamente il proprio corpo come corpo cinema abbandonando gli abiti stessi del personaggio: termini come "storia", "caratteri" e "intreccio" sembrano sfaldarsi e paia si debba giungere a un autobiografismo estremo nel terzo dei tre episodi (Medici), nel quale viene recuperato in differita il percorso della malattia personale.
Ed è appunto qui che approdiamo a un altro nodo che concerne l'Ego e la sua costellazione di separazioni, quella tra il Moretti pubblico e quello privato. In questo senso Caro diario e Aprile sono due film che non raccontano propriamente ma si propongono di mostrare (in quest'ottica va citato anche La sconfitta, in cui assistiamo a un operazione di montaggio parallelo tra vita quotidiana e vita pubblica). Società e politica vengono concepite come parti mescolantesi all'interno dello stesso mondo; dimensione politica e dimensione privata si fanno parallele e si contemperano nell'universo dell'intellettuale che si arma a soldato civile.
Le ceneri di Pasolini anticipano forse i girotondi pubblici degli ultimi anni che vedono protagonista il cineasta di Brunico? Pare difficile pronunciarsi su questo punto. Di certo quest'incursione nel "realismo" del cinema morettiano subisce l'influenza di Kiarostami, ma, come bene sottolinea Flavio De Bernardinis, Moretti sa che "non si tratta più di tradurre la lingua della realtà nella lingua del film" perché "il cinema esprime la realtà con la realtà". I luoghi possono ora parlare, la rappresentazione pare prescindere dal simbolico. In questo Moretti sembra superare Pasolini o perlomeno affiancarlo perchè "solo il cinema consegna alla realtà il privilegio esprimere sé stessa". Film fatti di "dati", Caro diario e Aprile, risolvono a questo punto il dissidio pasoliniano tra dato empirico ed effetto di linguaggio propugnando un cinema diaristico, liberando apparentemente la scrittura, sminuzzando le scene, sciogliendo la struttura del testo.
Altro termine (dopo l'Ego) cruciale per entrare nella filmografia morettiana è quello della cultura. Esso è da intendere sia come patrimonio di testi con i quali confrontarsi (film, libri, musica e quant'altro si possa pensare), sia come "fare" ed essere cultura, esercitare la professione intellettuale nell'Italia tra gli ultimi decenni del Novecento e i primi anni del Ventunesimo secolo.
Se la presunta unità dell'Io è sempre sottoposta a dura prova da un andamento schizoide, la stessa cultura sembra vivere una sorta di movimento inverso: da una molteplicità di riferimenti, citazioni e allusioni "dati" nella filmografia morettiana pare si debba giungere a una qualche unitarietà.
Va ricordato poi che lo stesso Moretti è alla costante ricerca della ricomposizione del processo artistico-produttivo cinematografico (al pari del bambino col rocchetto, il quale tenta di ricomporre in modo fantasmatico il rapporto tra sé e la madre e sé e il mondo): egli è attore, regista, produttore, esercente, organizzatore di festival in cui si premiano attori e film. In questo senso si pone forse non solo come semplice deus ex machina cinemae, ma firma (polo d'attrazione, marchio?) in grado di catalizzare la totalità intorno a sé e di farsi esso stesso circostanza di enunciazione ponendo sé agli occhi degli altri come garante del bello e del buono del suo fare del cinema, o, meglio ancora, del suo essere corpo-cinema (ma non più uomo-lupo, dopo Sogni d'oro).
Le miriadi di rimandi intertestuali (da I promessi sposi di Come parli frate? a By this river di La stanza del figlio) sono frammenti impazziti della memoria collettiva e personale che sembrano così trovare un punto focale di convivenza all'interno del medium cinema e, più in generale, nell'industria culturale.
Una ma composta da infiniti ritagli di giornale è l'enorme pagina sotto la quale Moretti stesso si "seppellisce" in Aprile; un enorme mostro (Bianca?) che tutto richiama a sé.
Ed è proprio Aprile a raccogliere le due istanze (forze uguali e contrarie, ma forse solo in apparenza opposte) che in queste righe ho cercato di accennare, e a scatenarle al punto di mettere in crisi lo statuto finzionale del testo (ancor più che in Caro diario), "ricostruendo" episodi della biografia del regista e, nello stesso momento, tentando di "ricostruire" (non proprio ancora nel senso di "riaggiustare", come farà il cineasta nel suo ormai celebre discorso davanti ai dirigenti dell'Ulivo in una piazza romana) la situazione politica e sociale dell'Italia dopo la vittoria di Berlusconi nel 1994.