C'era un volta 24, c'era una volta Jack Bauer. L'America tremava ancora, sbigottita dall'evidenza che un pugno di uomini con un taglierino potesse infilzare il cuore del Paese. La paura annichilisce, e ogni metodo sembrava lecito per difendersi dal terrorismo, per non sentirsi più vulnerabili. Tra gli sceneggiatori delle missioni dell'eroe Bauer c'era Howard Gordon, oggi showrunner di Homeland. Il terrorismo, piaga che fino a pochi anni prima, negli Stati Uniti, non ci si poteva neanche azzardare a discutere, diventa un argomento di cui si possono discernere le cause, non più accecati dalla paura.
La pluripremiata (ha sbancato Emmy e Golden Globe) Homeland di Gordon scansiona la psiche di Brody, soldato per anni prigioniero degli iraqeni che torna in patria acclamato da eroe, ma potrebbe essere un terrorista persuaso che l'America non sia l'inviolata paladina della Giustizia per cui ha combattuto. La prima stagione della serie è andata in onda su Fox, che da mercoledì 30 gennaio ospita le puntate inedite della seconda: Howard Gordon ha approfondito con la stampa presente al 52° Festival della Televisione di Monte-carlo le implicazioni della prima finale di stagione, anticipando l'evoluzione in programma.
Perché fare una serie come Homeland adesso? Homeland è ispirata a uno show israeliano, Hatufim, in cui due soldati vengono liberati dopo una lunga negoziazione e si insinua il dubbio che possano essere diventati traditori. L'approccio è quello del dramma personale e familiare vissuto attraverso le vicende dei due soldati. Si parla del prezzo della guerra. Ovviamente è legato alla specificità del caso israeliano per cui non avrebbe funzionato per il pubblico americano, al quale serviva un ritmo causa-effetto più veloce.
In Homeland l'attenzione si concentra su un soldato solo...Sì, per gli americani il tema del soldato che torna dalla guerra in Iraq ha grande ascendente, proprio perché finora nessuno aveva portato in televisione un personaggio come questo. C'era un grosso vuoto che noi abbiamo deciso di colmare, era questo lo spunto che ci interessava adottare della serie israeliana. E poi c'è l'insinuazione che questo soldato possa essere stato convertito durante gli anni di prigionia. Cosa implica quest'eventualità? Cosa significa? Abbiamo posto delle questioni interessanti e dall'evoluzione promettente dal punto di vista del processo creativo e poi ci abbiamo costruito intorno una storia complessa.
E qui entra in scena Carrie Mathison.
Esatto, se Brody è stato convertito a qualcuno deve essere venuto il dubbio, e questo qualcuno è Carrie Mathison, un'agente della CIA mentalmente disturbata che non riesce a farsi credere da nessuno.
C'è un mini arco narrativo nella prima stagione di Homeland che riguarda la separazione tra Saul e la sua donna. Perché?
Perché era importante per noi affermare che una missione come quella di Saul e Carrie si paga a un prezzo molto alto. Chi fa un lavoro come il loro non può avere una vita normale, non può avere una relazione sentimentale, non può abbandonarsi all'amore, non può costruire rapporti come gli altri. Carrie e Saul sono uniti in questo destino: le persone che ci proteggono pagano con la solitudine i loro servigi.
Esatto, volevamo un finale di stagione che avesse un'impronta classica da thriller, e volevamo assolutamente che coincidesse con il momento più basso della fase depressiva della malattia di Carrie. Ci siamo resi conto, man mano che la stagione procedeva, quanto fosse necessario che il suo tracollo psicologico avvenisse in concomitanza con l'avvicinarsi della data dell'attentato. Carrie diventa la Cassandra della serie, un personaggio inascoltato che a posteriori è portatrice di una verità evidente, che prima non lo era affatto.
Lo avevate stabilito fin da subito che Brody sarebbe sopravvissuto?
Diciamo di sì. Sapevamo da subito che Brody l'avrebbe scampata, quello che non sapevamo ancora, all'inizio della stagione, era come sviluppare la storia che avrebbe condotto a quel punto e come saremmo arrivati alla situazione del finale. Da una parte c'è il desiderio di mettere giù una mappa precisa degli eventi per svilupparli nitidamente, dall'altra preferivamo disegnare questa mappa a matita piuttosto che a penna. È questo l'aspetto più intrigante del nostro lavoro.
Un esempio?
Per esempio avevamo già stabilito che Brody e Carrie avrebbero condiviso il weekend nello chalet, ma all'inizio l'idea era che l'interrogatorio avrebbe avuto luogo in una casa per la protezione testimoni. A un certo punto ci è venuta un'idea molto più intrigante. Ci siamo chiesti se lei lo interroga perché vuole sapere la verità o più intimamente perché tiene a lui; non si viene mai a sapere con certezza la risposta a questa domanda, così la serie diventa ancora più interessante. La risposta è a metà tra un'opzione e l'altra e questo aumenta la tensione tra i personaggi.
Anticiperò solo che la carriera politica di Brody è super lanciata, mentre Carrie non lavora neanche più alla CIA. Si è messa a insegnare, ma la sua carriera come agente non è conclusa, perché c'è una fonte informata di fatti importanti che vuole parlare solo ed esclusivamente con lei.
La seconda stagione parte con una chiara premessa: Brody è ancora una minaccia, ma la sua fede in Abu Nazir vacilla. È corretto?
Sì, in Brody comincia a insinuarsi il dubbio che Abu Nazir lo abbia plagiato: è riuscito a riunirsi alla sua famiglia, in qualche modo le cose con moglie e figli vanno, la carriera politica vola alto, ma è difficile uccidere un'idea una volta che ti è entrata dentro. Brody si interroga se quello che ha creduto è giusto o sbagliato. Fin dove è pronto ad arrivare per il suo Paese? Perché Brody è convinto di fare tutto quello che fa per salvare gli Stati Uniti, per salvare i suoi abitanti dalle menzogne dei suoi leader.
A seguire una clip dalla stagione 2 di Brody candidato alla vicepreseidenza.