Il docente e scrittore Steven J. Ross nel suo libro intitolato Hollywood Left and Right: How Movie Stars Shaped American politics, affronta da vicino un legame radicato nella società americana. Esiste un fil rouge che collega il mondo dello show business alla politica negli USA. Come due amanti che non sanno mai dirsi addio, Hollywood e la Casa Bianca si sono in qualche modo sempre cercati, studiati, ammirati. Finanche usati. Com'è logico che sia, due superpotenze della società americana hanno intessuto nel corso dell'ultimo secolo delle trame così fitte che non sempre è stato semplice distinguere dove iniziava l'una e finiva quell'altra.
Se in questi anni l'America ha avuto un presidente che proviene sì dal settore immobiliare ma che proprio grazie allo show business ha saputo incrementare e rinsaldare notevolmente il suo status mediatico, non è certamente una casualità. Il rapporto tra entertainment e politica ha origini antiche, che arrivano quasi agli albori della Settima Arte. In questo articolo proveremo - in pochi punti - a ricordare i concetti chiave e i personaggi più significativi che hanno caratterizzato questa relazione così rappresentativa per gli Stati Uniti d'America.
Il fu Charlie Chaplin
Il primo ad accorgersi della potenziale forza dirompente del cinema di legarsi fortemente al discorso politico è colui che di politica parlò realmente soltanto attraverso i suoi film. C'è una scena in un'opera di Charles Chaplin che rappresenta la sua importanza nel magnetico intreccio che lega cinema e politica. Il grande dittatore è probabilmente il suo film più coraggioso e la politica è ovviamente centrale, visto che parliamo di una narrazione che si è presa beffe del nazismo in tempo reale, a cinque anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Chaplin fu il primo grande oppositore della tirannia sul grande schermo, colui che di fatto riuscì a lanciare il primo grande messaggio di sfida a tutti quei governi autoritari e dispotici che sanno usare solo la prepotenza e l'arroganza, in primis ovviamente al Terzo Reich. La sua parodia del Führer trova il suo culmine nell'iconica sequenza in cui Adenoid Hinkel (Chaplin) palleggia divertito con un globo, come un bimbo in preda alla follia che si prende gioco delle sorti del mondo.
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Il falso mito tra destra e sinistra
Nell'immaginario popolare, soprattutto per chi bazzica poco i suddetti argomenti, i protagonisti di Hollywood sono quasi tutti personaggi legati all'area democratica, con una visione progressista e certamente meno conservativa, aggettivo spesso affibbiato genericamente, e proprio per questo in modo incompleto, ai repubblicani. E se è vero che la storia americana ha riscontrato una maggior percentuale di divi hollywoodiani legati al pensiero liberal, è altresì vero che ad oggi sono le figure hollywoodiane che si orientano a destra ad aver lasciato un segno maggiore nella storia politica a stelle e strisce. Come racconta Ross nel suo libro, spesso attori e registi ovviavano alla mancanza di tempo da dedicare all'ambito politico del Paese con un endorsement piuttosto netto nei confronti di argomenti sociali di rilevanza mondiale. Temi talmente ampi e variegati sui quali investire un proprio pensiero chiaro e netto, che permettesse loro di potersi dedicare ai propri progetti cinematografici. Come scopriremo in seguito, pur vantando tra le proprie fila elementi che si sono battuti per le grandi cause e tutt'ora svolgono un ruolo rilevante in tal senso, dall'altra parte della barricata, nei salotti che contano, sono soprattutto di destra i divi dell'entertainment americano che hanno marchiato a fuoco la politica americana. Il pioniere in tal senso è Louis B. Mayer, leggendario boss della Metro-Goldwyn-Mayer, che instaurò un solido legame con il Partito Repubblicano sin dagli anni '20. La MGM divenne una vera e propria accademia per giovani militanti repubblicani, desiderosi di aprirsi una strada nel futuro politico... a destra degli States. Ecco perché parlare di schieramenti politici in quel di Hollywood significa distinguere il ruolo del soggetto a cui si fa riferimento, che sia una ricca major californiana oppure una star del cinema, l'impegno mediatico ed economico nell'una o nell'altra direzione denota delle differenze significative.
Jane Fonda e la politica dei cambiamenti
Nel periodo nazifascista il primo vero sussulto fu guidato da Edward G. Robinson, che creò la Hollywood Anti-Nazi League, pagandone tuttavia le conseguenze in termini di carriera con l'avvento del Maccartismo; il celebre periodo storico che visse di un'ossessionante 'caccia al comunista', funzionò da deterrente a qualsiasi esponente di Hollywood che tentasse in qualche modo di esprimersi in prima linea su tematiche politiche e sociali. Dagli anni '60 in poi la situazione cambiò. Due erano le figure preponderanti, capaci di prendersi la scena con forza, richiamando a sé il popolo e in particolare i ceti più disagiati. Entrambi rappresentativi di due categorie discriminate. Da un lato Harry Belafonte, amico del compianto Bob Kennedy e presenza di rilievo al fianco dell'astro nascente dei movimenti per i diritti civili Martin Luther King. Un attivista riciclato all'arte, così si è sempre definito Belafonte, uno dei primi afroamericani a sfruttare il suo successo per aumentare il suo peso all'interno delle dinamiche sociali e politiche degli USA. Dall'altro lato ecco Jane Fonda. Membro di una delle famiglie più influenti della storia americana, tanto da intitolare una città con il proprio nome - Fonda, nello stato di New York - Jane Fonda è l'attivismo femminile americano per eccellenza, simbolo di un pensiero liberale e femminista, come lei stessa l'ha definito, che si alimenta con il calore e la voglia di cambiamento della gente comune. Anche nel 2020 Jane Fonda rimane in prima linea nella sua opera di sensibilizzazione popolare, a costo di farsi ogni volta arrestare mentre manifesta nel corso dei Fridays For Future promossi da Greta Thunberg.
Dallo schermo alla poltrona
Nel maggio 2019, durante una visita a Roma, a George Clooney venne chiesto conto di un suo possibile ingresso in politica. Una domanda piuttosto scontata nei confronti di una delle star che proprio attraverso il cinema ha veicolato il suo interesse per la politica. Soprattutto in Good Night, and Good Luck, con il quale Clooney, regista e interprete, decise di raccontare i soprusi del senatore Joe McCarthy, da cui nacque l'epoca maccartista. La risposta negativa di Clooney al quesito sulla sua eventuale entrata nella scena politica è ininfluente. Ciò che conta è che un attore come George Clooney e in passato star del calibro di James Stewart e John Wayne, hanno cercato di esprimere il proprio impegno politico attraverso il lavoro, i film e i personaggi che hanno contraddistinto la loro carriera, senza mettere in primo piano lo status di divi privilegiati. Condizione che ha invece contraddistinto star dello show business riciclatesi alla poltrona politica proprio in quanto rappresentanti dell'entertainment americano. Schwarzenegger sponsorizzava la sua immagine di star del cinema a discapito di comizi elettorali articolati e approfonditi. E l'attuale presidente degli Stati Uniti d'America ha sfruttato soprattutto il suo appeal mediatico, da consumato uomo di spettacolo, inteso come esibizione del suo marchio più importante: la sua immagine. Porre dinanzi a tutto il proprio valore iconico nell'immaginario popolare per sopperire alla mancanza di esperienza. Un percorso che si differenzia da un altro storico esponente del partito repubblicano. Ex attore di discreto livello, Ronald Reagan si costruì una base politica solida, partecipando attivamente al sindacato degli attori, segnalando presunti comunisti tra i colleghi nientemeno che all'FBI. L'anti-comunismo sarà così forte da fargli cambiare bandiera; il giovane Reagan passò dai democratici di Roosevelt al Partito Repubblicano, dove ormai si sentiva a casa. E con il quale, a 69 anni, venne eletto alla Casa Bianca in luogo del presidente uscente, Jimmy Carter, penalizzato da una complicata vicenda di ostaggi in Iran. E, ironia della sorte, proprio a causa dell'Iran finirà il mandato di Reagan, per uno scandalo di traffico d'armi inerente al golpe in Nicaragua. Ronald Reagan rimane tutt'oggi il personaggio più prestigioso che ha legato Hollywood a Washington. Fu in grado di trovare una mediazione con l'Unione Sovietica, calmando le acque dopo decenni di tensioni. S'insediò in un periodo di profonda crisi, in un Paese storicamente patriottico ma avverso al potere governativo. Un'ostilità suggellata dalla celebre frase del neo-presidente:"Il governo è il problema, non la soluzione".
Il legame nel 2020
Nel corso dei decenni i media hanno assunto un ruolo sempre più rilevante nella vita politica statunitense, basti pensare al lavoro di Roger Ailes e Rupert Murdoch con Fox News, che contribuì ad alzare il livello di aggressività mediatica sulla scena politica a discapito di una tiepida CNN, sin troppo istituzionale e sbilanciata a sinistra, come racconta Francesco Costa nel suo libro Questa è l'America. Ad oggi per un partito l'endorsement di una star di Hollywood è certamente importante ma non concretamente così rilevante né determinante per spostare effettivamente gli equilibri di voto da una parte o dall'altra. La tv e il cinema, dal canto loro, hanno contribuito a raccontare in varie occasioni la politica americana e il mondo dell'entertainment. In particolare Aaron Sorkin, uno dei più grandi drammaturghi contemporanei, e creatore di show accurati e avvincenti del calibro di West Wing e The Newsroom, nei quali intrattenimento e politica s'intrecciano a più riprese.
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