Richard Gere a Giffoni: “Amo l’Italia”

Accompagnato da suo figlio e un suo amico, il divo si è raccontato al pubblico e alla stampa della 44esima edizione di Giffoni e accennato qualcosa del suo prossimo film, nel quale interpreta un senzatetto.

Al 44° Giffoni Film Festival Richard Gere si è concesso come raramente accade. Ha portato all'evento suo figlio e il suo migliore amico per farli confrontare con i ragazzi della giuria (3500, da tutto il mondo) e costruire insieme un mondo migliore. In pace con il mondo e sereno verso le sue scelte (anche quelle sbagliate, come ammette candidamente), snocciola consigli di vita alle nuove generazioni perché - come confessa alla stampa - dopotutto sono legate allo stile d'attore. Privato e pubblico in lui convivono senza contrasti né strappi e lo racconta senza troppi giri di parole.

Nel frattempo sfata qualche mito: "Non so perché ma ogni volta che vengo in Europa mi accorgo che qui esiste un'idea di Hollywood come di un mostro vorace. Invece no: è solo un posto dove si fanno i film e non è niente di che. Quello che dovremmo esorcizzare sono i demoni personali". In effetti le recenti scelte professionali includono proprio una presa di coscienza come essere umano, motivo per cui nella prossima pellicola, Time Out of Mind, diventa un senzatetto. "Ho il copione da otto anni - ha detto - e da allora cerco di capire come restituire realismo e onestà a quest'uomo che si ritrova a vivere come un barbone".

Richard Gere homeless in Time Out of Mind
Richard Gere homeless in Time Out of Mind

Eroi positivi

A chi fa notare che colleziona ruoli positivi risponde con semplicità: "Non posso separare il mio stile di vita dalla professione. Recitare per me è un lavoro: straordinario quanto si vuole, ma pur sempre un lavoro. Comunque non ho mai girato qualcosa a cui non rispondessi a livello interiore, per il quale nutrissi una motivazione profonda. Se poi sia venuta fuori nel film o no è un altro discorso, non abbiamo il controllo totale sugli esiti dei nostri sforzi e sì, ho anche fatto valutazioni sbagliate". Non si tratta solo di scegliere il "copione giusto", ma di abbracciare l'idea che veicola: "All'inizio della carriera pensi solo ad essere un buon attore, a rimanere il più creativo possibile nelle scelte. Ad un certo punto cambia tutto e arriva la fama. Capisci che non ti basta più essere bravo, la gente chiede altro, ti ascolta quando parli (anche quando non dovrebbe farlo) e quello che dici ha un impatto sul pubblico. Non si tratta più di autorealizzazione, ma di un processo in continua evoluzione che non finisce mai. Nelle interviste la stampa ti chiede un parere sulle cose e devi farti trovare preparato a rispondere a queste domande: da artista ti trasformi in comunicatore".

Il futuro del cinema

Richard Gere a Giffoni 2014 con suo figlio e il miglior amico del ragazzo
Richard Gere a Giffoni 2014 con suo figlio e il miglior amico del ragazzo
Cosa riserva l'industria cinematografica, allora? "Quando ho messo piede nello show business 26 anni fa - spiega Richard Gere - erano le grandi case di produzioni (MGM, Paramount, Warner, Universal) a realizzare i film di un certo tipo, capaci di connettere lo spettatore con le emozioni. Oggi se ne occupano le case indipendenti perché gli studios sono concentrati sugli action movies o sui fantasy: vogliono un appeal che sia trasversale per varie fasce di pubblico. I budget per progetti che potremmo chiamare intimisti sono drasticamente ridotti. Time out of Mind lo abbiamo girato in 21 giorni, che confrontati ai 50 che servivano in passato per riprese del genere fanno capire bene il polso della situazione. Non me ne sto lamentando, a me la riduzione dei tempi piace perché ti tiene sempre in movimento ma devi essere bravo a star dietro a questi ritmi, pronto e preparato in ogni momento".

Nelle proprie corde

Richard Gere e Julia Roberts in una scena di Pretty Woman
Richard Gere e Julia Roberts in una scena di Pretty Woman

Danzare tra vari generi, comunque, non è da tutti: "Per natura sono portato ai ruoli drammatici. Ecco perché ricordo nitidamente le mie perplessità in Pretty Woman. Garry Marshall, il regista, non è solo un tipo divertente ma un ottimo scrittore di comedy, come dimostra il fatto che scrive persino le battute ai presidenti, oltre che serial e film di successo. Mi sforzavo di mantenere i toni leggeri che pensavo mi fossero richiesti dalla parte, lui se n'è accorto, è venuto da me e mi ha detto: "Richard, stai calmo, prova ad essere naturale. Allora ho capito: può cambiare il materiale, ma l'approccio dell'attore resta uguale. Ha la responsabilità di essere credibile e autentico: guai a sembrare affettato o forzato. Fare commedia è una cosa seria".