Paola Barbato debutta come autrice TV con Nel nome del male

Quattro chiacchiere con Paola Barbato, sceneggiatrice di Dylan Dog, scrittrice con due romanzi all'attivo ed ora autrice televisiva per Sky con 'Nel nome del male', in onda il 2 e 3 Giugno prossimi.

Se è vero che Dylan Dog è indissolubilmente legato al nome del suo ideatore, Tiziano Sclavi, negli ultimi anni è il nome di Paola Barbato ad essere stato accostato al fumetto edito da Sergio Bonelli più di qualunque altro sceneggiatore, nonostante il suo debutto ai testi dell'Indagatore dell'Incubo sia avvenuto relativamente tardi nella vita della serie, soltanto nel 1999 quando la sua pubblicazione andava avanti da ben tredici anni. Una importanza confermata dal riscontro dei lettori e dalla sua presenza come autrice di numeri chiave della serie, come può essere ad esempio l'atteso numero 200 pubblicato nel 2003.
Nel frattempo la Barbato ha avuto il tempo di pubblicare due ottimi romanzi, Bilico e Mani nude, rispettivamente nel 2006 e nel 2008 per Rizzoli, un albo monografico per la collana Romanzi a fumetti Bonelli intitolato Sighma, ed una fiction per Sky di imminente messa in onda, il 2 e 3 Giugno.

Nel nome del male, questo il titolo della miniserie in due puntate diretta da Alex Infascelli, la vede autrice del soggetto e co-sceneggiatrice insieme a Salvatore De Mola con la collaborazione dello stesso regista. La storia sembra in linea con i toni cupi dei suoi noir e prende spunto dal fenomeno delle sette sataniche per raccontare il percorso di un padre alla ricerca del figlio scomparso, un ruolo per il quale è stato scelto Fabrizio Bentivoglio, qui al suo esordio in una produzione televisiva.
In attesa di poter guardare la miniserie, abbiamo posto alcune domande all'autrice su questa nuova avventura professionale.

Con Nel nome del male è arrivata a cimentarsi anche in campo televisivo. Ha riscontrato delle differenze sostanziali nello scrivere un prodotto televisivo piuttosto che un fumetto o un romanzo?

Naturalmente sì. Quando si sceneggia un fumetto si coprono diversi ruoli, tra i quali quello di attore (facendo recitare i personaggi e visualizzando le loro espressioni) e regista. Si deve essere anche scenografo, quanto meno nelle descrizioni delle vignette per i disegnatori. Scrivere per un romanzo, poi, fa tracimare un ruolo nell'altro, sino alla più totale autonomia, a partire dallo schema narrativo per finire sull'atmosfera. Scrivere per il cinema semplifica molto. Bisogna creare una struttura, un solido telaio che rimarrà alla base dell'opera, ma poi la costruzione va al regista, allo scenografo, alla fotografia, alle musiche, agli attori. E' un ruolo base ma perfettamente delimitato e delineato. Necessita di cura ma è in qualche modo più semplice.

Come è nata la sua collaborazione con Sky e con il regista Infascelli?

Sono due cose diverse. Per il soggetto sono stata contattata dalla FilmMaster, la casa produttrice della fiction, tramite Giancarlo Guastini, una delle anime del progetto. Mi è stato chiesto di scrivere una storia da proporre a Sky. Nell'arco di un anno di lavoro quella storia è molto cambiata, proprio perchè dalla mia idea base ci sono stati molteplici sviluppi, richiesti a volte dalla FilmMaster, a volte da Sky e in gran parte da Alex, che già avevo conosciuto precedentemente. Alex è il terzo sceneggiatore della fiction, insieme a me e a Salvatore De Mola, l'ottimo professionista che mi ha insegnato la tecnica di scrittura per il cinema e la televisione.

Per la miniserie ha lavorato a quattro mani con Salvatore De Mola e con la collaborazione di Alex Infascelli, ma partendo da un suo soggetto. Quanto della sua idea di partenza è rimasta nella versione definitiva? Ha dovuto accettare dei compromessi per adeguarsi al mezzo televisivo o è stata libera di impostare la storia come l'aveva immaginata?

Naturalmente ci sono stati dei compromessi, era la prima volta che scivevo per un medium non cartaceo, e della storia iniziale rimane solo la traccia di base. Molto è stato aggiunto, tolto, cambiato, diverse le esigenze emerse da molte parti. Ma questo lavoro, sceneggiare per il cinema e la televisione, è di natura corale, non è un mestiere per solisti, e di questo ero pienamente consapevole. Non ho mai considerato Nel nome del male la "mia" fiction, ma una fiction a cui avevo partecipato.

Quando un anno fa circa è stata presentata al Roma Fiction Fest, il titolo della miniserie era "L'ombra di Satana". Il cambio nel titolo rispecchia una evoluzione della storia avvenuta nel corso della produzione?

Niente di così complesso, era solo il titolo provvisorio usato in lavorazione. C'erano ancora molte cose in fase di evoluzione, e il titolo non era la priorità.

Come mai la scelta di parlare del fenomeno delle sette sataniche?

E' una tematica che si tende a trattare solo quando qualche fatto di cronaca ce la sbatte in faccia, come se nelle restanti giornate non facesse parte della vita di migliaia di persone. E' un fenomeno reale, complesso, dalle molte sfaccettature. Poteva essere interessante cercare di raccontarlo non sulla scia di un clamore, ma proprio partendo dal silenzio che lo avvolge.

La storia è ambientata in una piccola comunità. Ci racconta qualcosa in più sull'ambientazione della storia?

Mi sono rifatta alla mia esperienza. Ho vissuto in provincia tutta la vita e ho avuto modo di toccare con mano l'amplificazione naturale che si tende a dare a ciò che sopperisce una mancanza. Se non ci sono avvenimenti di grande portata anche la più piccola fiera diventa L'EVENTO. Questo vale sia in positivo che in negativo. Le città offrono molti sbocchi, si possono coltivare più interessi, tentare fin troppe vie di fuga dalla quotidianità. Nella provincia spesso queste vie bisogna costruirsele. Ho immaginato non tanto la facilità che una setta ha di svilupparsi in una comunità ristretta, rispetto ad una realtà più ampia, quanto le reazioni che questo fatto potrebbe suscitare nella comunità stessa. Rifiuto, sdegno, avvicinamento, allontanamento, negazione, condanna... Le reazioni sono amplificate e i protagonisti improvvisamente sono oggetto di un'attenzione continua. Sul piano umano al di là della tragedia personale mi sono concentrata su come di riflesso questa tragedia incida sulla comunità.

Cosa ne pensa del casting della miniserie, è stata soddisfatta della scelta di Fabrizio Bentivoglio e degli altri attori chiamati ad interpretare i personaggi della sua storia?

Fabrizio Bentivoglio è un attore che adoro, e sapere che aveva accettato il ruolo mi ha resa molto felice. Conoscevo anche Michela Cescon, avevo amato molto la sua interpretazione in Quando sei nato non puoi più nasconderti. Vitaliano Trevisan è stato la scoperta più bella. Il pesonaggio di Riccardo Tramer, da lui interpretato, è quello che ho sentito più mio e i cui dialoghi sono rimasti aderenti alle prime stesure della sceneggiatura. Un personaggio difficile, con molte sfumature, rese perfettamente da questo straordinario attore.

Rimanendo in argomento casting, ma passando ad un'opera che la vede comunque protagonista da diversi anni: è in lavorazione un film dedicato a Dylan Dog dal titolo Dead of Night, ma si tratta di una produzione USA e con attori americani. Che ne pensa di Brandon Routh, l'attore di Superman Returns scelto per il ruolo di protagonista?

Uno splendido giovanotto. Che con Dylan Dog non ha nulla a che spartire. Ma io vedrò il film come se non ci fosse un legame tra le due cose. Spero che riesca bene e che sia un successo.

Nel suo film ideale su Dylan Dog, quali attori immagina nei ruoli principali?

Troverei adatto, ora che Rupert Everett ha una certa età, Adrien Brody nel ruolo di Dylan. Per gli altri fatico a immaginare volti. Forse preferirei dei perfetti sconosciuti.

Quanto ai suoi due romanzi, Bilico e Mani nude, ci sono possibilità che diventino film o delle fiction tv nel prossimo futuro?

Diciamo 50% entrambi. Le possibilità ci sono, dipende tutto dalla volontà. Io mi auguro che anche solo uno dei due veda la luce sotto una nuova foma...

Sceneggiatrice di fumetti, autrice di romanzi ed ora scrittrice per la televisione. Qual è la vera Paola Barbato? A quale campo si sente maggiormente legata e quali sono i suoi progetti per il futuro?

Sono una scrittrice, sono sempre stata una scrittrice. Continuerò a scrivere Dylan Dog finché mi chiederanno di farlo, e mi cimenterò in tutte le altre forme di scrittura che man mano che mi si presenteranno, visto che sono molto curiosa. Ma se dovessi scegliere direi scrivere, scrivere tutta la vita.