Magic City: Non è tutto oro quel che luccica

Al via il 9 aprile su Sky Atlantic Magic City, period dalla confezione impeccabile con uno spettacolare Jeffrey Dean Morgan ma poca storia.

Il sole è caldo e abbagliante nel cielo sempre limpido di Magic City - il period gangster di StarZ che dal 9 aprile completa la seconda serata del neonato canale pay Sky Atlantic - e illumina perennemente l'hotel più lussuoso ed esclusivo di Miami, il Miramar. Ambientata alla fine degli anni Cinquanta, la breve serie parte avvantaggiata dalla presenza di un protagonista, l'imprenditore proprietario di albergo e annesso stabilimento Ike Evans, dalla bellezza retrò e dall'allure di Jeffrey Dean Morgan. Elegante e ambizioso, Ike ha portato glamour e lusso in un luogo prima circondato dalle paludi, riempiendolo di ospiti sofisticati e donne bellissime, tra le quali spicca la sua secondo moglie, l'ex show girl Vera, che per lui si è convertita all'ebraismo. Evans sembra avere conquistato il successo in modo imperituro, ma le circostanze lo obbligano a stringere una pericolosissima alleanza con il mafioso locale Ben Diamond, individuo subdolo e sadico su cui il volto sogghignante di Danny Huston aderisce perfettamente. Il quadro si completa con la moglie trofeo di Ben, la sensuale Lily, i figli di primo letto di Ike - l'imprudente e temerario Stevie, lo studente di legge Daniel e la preadolescente Lauren -, la cameriera Mercedes - per cui l'Evans minore ha una cotta - e la escort Judy.

Una ricostruzione eccezionale
La prima stagione, composta di otto episodi (la serie è stata rinnovata una sola volta e conta in totale 16 puntate) si addentra nella spirale sempre più soffocante e destabilizzante in cui Ike finisce dopo il patto con Diamond - di fatto il nuovo padrone del Miramar - mentre suo figlio Stevie si imbarca in una relazione segreta e potenzialmente fatale con Lily. Magic City è una delle serie più sofisticate, eleganti, patinate e glamour della televisione recente: il lusso del Miramar, il bordo piscina popolato da donne dalle silhouette sinuose, il bar nell'ombra con la fanciulla che nuota da dietro l'oblò, le cadillac enormi, i vestiti da sera preziosi, e tutto ciò che contribuisce alla ricostruzione del periodo fa parte di una confezione ben impacchettata. Mirabile la scelta cast: Morgan (il Denny Duquette di Grey's Anatomy e Papà Winchester di Supernatural) sembra veramente un uomo di altri tempi, il volto malinconico e i lineamenti decisi eppure delicati ingannano le spettatore tanto da illuderlo di ammirare una star dell'età d'oro di Hollywood, e lo stesso vale per le protagoniste femminili. La statuaria ex bond girl Olga Kurylenko e la splendida australiana Jessica Marais (era la spietata Mord-sith Denna di La spada della verità) - qui in versione mora, è una sirena dalle curve perfette che evoca Ava Gardner - sono tra le donne più belle mai apparse sul piccolo schermo, e come Morgan vantano l'aspetto ideale per rappresentare uomini e donne degli anni Cinquanta.
Il cast ideale

Insieme il cast fa impallidire analoghi period (Mad Men, naturalmente, escluso) dove fanciulle palestrate e ipertoniche - le cui misure sono lontanissime dall'osannato 90-60-90 - si spacciano per hostess della Pan Am o peggio ancora.. per Marilyn Monroe. Magic City si avvale di attori che non hanno solamente il look giusto, ma sono anche di grande bravura: per una volta Huston dà prova di essere perfettamente in parte per il ruolo affidatogli, quello spaventoso e repellente del mafioso Diamond, mentre al trio sopracitato e formato da Jeffrey Dean morgan, Olga Kurylenko e Jessica Marais corrisponde un livello di recitazione molto al di sopra della media televisiva - nonostante la bidimensionalità dei personaggi poco approfonditi dagli autori - che avrebbe meritato qualche riconoscimento ufficiale e non solo di critica. É facile lasciarsi sedurre da una serie ambientata in un periodo così ammaliante e reso con stile, eppure lo show impone una scelta consapevole dello spettatore che accetta di privilegiare la forma al contenuto.
Una trama debole
 Magic City, infatti, mira troppo in alto, il suo creatore Mitch Glazer è, come il protagonista Ike Evans, troppo ambizioso e attento al dettaglio e non presta abbastanza attenzione al quadro generale; il risultato è uno show dove villain sordidi, antieroi pieno di debolezze, comprimari destinati alla mattanza vengono soffocati da dialoghi vacui e una sceneggiatura annacquata, dove le ombre sono tanto oscure da eclissare anche il sole accecante di Miami e la voluttuosa nostalgia di un periodo meravigliosamente accattivante - che probabilmente non conoscerà eguali - oblitera la sostanza della storia. Il punto debole è proprio la trama, priva di spessore e guizzi narrativi, appiattita da uno svolgimento inaccurato, banale e prevedibile; per quanto tutto il resto - dalla confezione luccicante e patinata alla recitazione vivida ed emozionante - sia coinvolgente e affascinante, nulla può sopperire alle lacune narrative. Magic City ha chiuso i battenti dopo solo due brevi stagioni privando attori e pubblico di un prodotto esteticamente splendido ma senz'anima, per cui possiamo biasimare solo gli autori. Un'occasione malamente sprecata.