Girls: diciamo addio ad Hannah con un finale maturo ma spiazzante

Dopo sei stagioni la serie ideata e interpretata da Lena Dunham volge al termine con "Latching", un episodio che chiude il cerchio aperto con l'episodio pilota.

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Condividono una stessa scena e la stessa identica musica, il pilot del 2012 e l'ultimo episodio della sesta stagione con cui si conclude la fortunata serie televisiva della HBO, Girls. Giusto per sottolineare che tutto il resto, a parte questo, è cambiato, per le ragazze che in questi cinque anni ci hanno accompagnato in una delle più originali e riuscite esplorazioni dell'universo femminile di quattro donne fra i venti e i trent'anni, e di tutto ciò che le gravita attorno, in quel di New York. La telecamera risale lungo i perimetri dei corpi intrecciati di due ragazze addormentate su un letto e conferma il deja-vù quando mostra i volti di Hanna e Marnie. Stesso inizio, quindi, ma diversa reazione al risveglio.

Si fatica a ritrovare quell'atmosfera di naturalezza e di scontata condivisione con cui le due stesse ragazze si erano svegliate cinque anni prima nel loro appartamento newyorkese. Al suo posto, l'esclamazione di Hannah ("What the fuck!"), è piuttosto eloquente nel ribadire quanto si è perso, o comunque modificato, nel corso del tempo, del rapporto fra le due. Hannah è incinta di qualche mese, adesso, e Marnie si offre di aiutarla a crescere il bambino e di entrare a far parte di un'equazione che non prevede la presenza del padre, un istruttore di vela (l'attore Riz Ahmed) che colto alla sprovvista dalla notizia dell'imminente paternità ha fatto i suoi migliori e imbarazzati auguri e tanti saluti. Non senza aver però aver prima espresso la sua preferenza riguardo al nome del bambino, che infatti Hannah chiamerà Grover.

Maturità e maternità

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Una nuova casa, lontana dai ritmi compulsivi e sregolati di New York, un neonato da allattare, (con tutto il carico di difficoltà e frustrazioni annesse), una nuova vita per entrambe. A restare le stesse, però, sono le due ragazze. E infatti nervosismi e crisi non si fanno attendere, e sarà Marnie, novella guru della maternità che tanto aveva fatto per convincere l'amica a lasciarsi aiutare ( mossa più dall'urgenza di prendere a noleggio un nuovo scopo di vita che da puro altruismo), a chiamare di nascosto la madre di Hannah, Loreen (una bravissima Becky Ann Becker), in cerca di aiuto. E il confronto tra madre e figlia è uno dei momenti più centrati di un episodio che per altri aspetti può risultare meno convincente: antologico lo scambio di battute in cui Hannah, in perfetto stile lamentoso-egocentrato a cui ci ha abituato, accusa la madre di urlarle contro proprio quando è nel mezzo di una crisi emotiva. La risposta arriva secca e esasperata sotto forma di domanda retorica: "Sai chi altro è in crisi emotiva? Lo siamo tutti, Hannah, e per tutta la vita."

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In piena reazione adolescenziale Hannah sbatte la porta ed esce di casa, solo che, al termine di un vagabondaggio senza meta incontra una ragazza sconvolta e senza pantaloni che adolescente lo è davvero. Ed è questo l'espediente usato per testimoniare il cambio di rotta e la nuova forma di consapevolezza di Hannah: di fronte a una giovane (a cui cede con gesto quasi simbolico i suoi pantaloni) in lacrime perché costretta a non uscire di casa senza aver prima finito i compiti, sarà lei ad essere anagraficamente chiamata a vestire per la prima volta i panni maturi di chi ridimensiona la reazione spropositata e insensata di chi, invece, per età o propensione, ha come metro di valutazione nient'altro che il proprio ombelico. Al suo ritorno a casa, qualcosa, o molto, pare essere cambiato: quando il figlio comincia a piangere, Hannah, per la prima volta calma e convinta lo raggiunge, e finalmente riesce ad allattarlo.

Amicizie precarie

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Con una scena di maternità, quindi, si chiude il cerchio e prende commiato quella che è stata una delle più intelligenti e imprevedibili serie al femminile degli ultimi anni, frutto della penna fortemente autobiografica (per averne conferma date un'occhiata al libro che ha scritto) e del genio anticonvenzionale di Lena Dunham in coppia con Judd Apatow, altra punta di diamante fra gli sceneggiatori/produttori del genere (vedi Love, formidabile show che porta la sua firma).

In questo senso, non è che mancassero i precedenti: Sex and the City aveva già fatto scuola, peraltro con la stessa prepotente città di New York a fare da coprotagonista. Molti e scontati sono i debiti e le analogie con la prima, ma ed essere interessanti sono le differenze fra le due serie: e non tanto per la cornice glamour e patinata con cui gioca Sex and The City a confronto con l'universo hipster delle Girls della Dunham (chè alla fine, sempre di ambienti benestanti si tratta, cambia solo il livello di ostentazione), e neanche per la diversa fascia anagrafica dei due gruppi di amiche, che trova le più mature risolte (almeno) in ambito professionale e le più giovani che tentennano, si baloccano e abbandonano con alterna convinzione le incalcolabili possibilità che offre una città come New York.

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Ad essere davvero diverso è il rapporto che le lega: l'amicizia fra le quattro di Girls è oscillante e precaria esattamente come il resto della loro vita, mentre per la Bradshaw e compagne è un perno saldo e qualitativamente stabile, esonerato da quei continui tira e molla e dalle messe in discussione che sconquassano invece le relazioni sentimentali. Ma soprattutto Hannah, Marnie, Jessa e Soshanna, sono, a tratti, insopportabili.

Voce di una generazione

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Hanna Horvat è una che di fronte a due strade, una giusta - o quantomeno ragionevole - e una sbagliata, sceglie la terza, quella insensata. Che spesso comincia con un gradino, che lei non vede e nel quale inciampa, finendo a terra senza grazia, ma con una sicurezza invidiabile.
È una che non è compressa nella sagoma di un fisico filiforme eppure si sfila i vestiti appena può, che vuole diventare scrittrice e si ripropone di diventare, come dice ai genitori nella puntata pilot della serie, "La voce della mia generazione. O almeno UNA voce di UNA generazione".

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Affetta da più o meno saltuarie forme ossessive compulsive, sprovvista di filtri sociali e dotata di un'intelligenza imprevedibile che segue percorsi tutti suoi che spesso non vanno oltre il suo campo di interesse. Un eloquio inarrestabile e un tono di voce petulante. Questo, e molto altro, il personaggio in cui si regala la Dunham, mettendoci faccia, corpo, e esperienze personali. Senza sforzarsi di piacere a tutti, o anche solo a qualcuno.

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Accanto a lei, Marnie, l'amica bella e vacua con aspirazioni da cantante, Jessa, aria da donna letale e espressione annoiata di chi ha già provato tutto, e Shoshanna, un cartone animato affetto da logorrea che però, nell'episodio che precede il finale, durante la festa per il suo fidanzamento sarà quella che darà chiara voce all'ovvio, ovvero che ormai non esiste più nessun gruppo di amiche da aggiustare e nessun rapporto da recuperare: ognuna prosegua per la sua strada, quindi.

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Ad maiora, cara Lena

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E in effetti, forse, sarebbe stato un finale più in sintonia con lo spirito della serie, che in gruppo comincia e in gruppo si suppone debba concludersi, anche se è vero che alcuni dei migliori episodi di questa (ma anche delle passate) stagioni sono invece proprio quelli che si concentrano su un singolo personaggio, Hannah (i cosiddetti bottle episodes). Basti pensare ad American Bitch , in cui la Dunham (in coppia con un eccezionale Matthew Rhys, special guest della puntata), sfoggia al massimo il suo talento di scrittrice, oltre che di attrice.

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Una voce lo è davvero, Lena Dunham, di sicuro non l'unica della sua generazione, ma è una voce che si ha voglia di ascoltare. Il dispiacere per la fine di una serie come questa è naturale, e ci sta tutto. Ma in questo caso è ancora più forte la curiosità di vedere come e a cosa sceglierà di dedicarsi da adesso in poi la sua autrice. Vorrà pur dire qualcosa.