Gael Garcia Bernal: 'Hollywood catatonica, per fortuna lavoro ovunque'

Ecco l'incontro con l'artista messicano impegnato nel sociale. Attore, produttore, interprete, Gael è a Locarno per ritirare l'Exellence Award e per presentare il bellissimo 'No' di Pablo Larrain.

Gli occhi limpidi di Gael Garcia Bernal lasciano trapelare un sincero entusiasmo per la professione che lo ha reso celebre in tutto il mondo, ma anche un velo di timidezza. L'attore messicano, assurto al ruolo di star internazionale grazie a tanti ruoli fondamentali come quello del giovane Che Guevara ne I diari della motocicletta, è protagonista della nuova pellicola di Pablo Larrain, No, dedicata alla fine della dittatura di Pinochet. Stavolta l'attore è chiamato a interpretare un personaggio fictional, Rene Saavedra, creativo responsabile della campagna per il no che guidò gli oppositori del presidente cileno alla vittoria nel referendum indetto per sancirne la rielezione. Ma il bel Gael non è nuovo all'impegno sociale visto che insieme al collega e amico Diego Luna ha fondato una casa di produzione per dar visibilità a progetti e autori sudamericani di valore e ha interpretato tante pellicole difficili. Nel corso dell'incontro, però, l'attore appare assai diverso dal suo doppio cinematografico. Si schernisce, sorride molto e si emoziona di fronte al calore del pubblico di Locarno che lo accoglie con una platea strapiena, calorosa e composta in gran parte da giovanissimi.

Poche ore fa è stato ospite a Locarno Harry Belafonte. Come lui tu sei un altro artista noto per non amare i compromessi e per essere impegnato nel sociale. Quale è secondo te la responsabilità sociale di un artista impegnato?
Gael Garcia Bernal: Ovviamente ogni artista è responsabile del tipo di lavoro che fa, nel mio caso dei ruoli che interpreta. E' anche vero, però, che l'arte non può prendere il posto della politica. Un attore ha sempre una prospettiva estranea, deve creare empatia col personaggio che si trova a interpretare, deve integrarsi con tutti gli altri aspetti del film, ma alla fine di ogni lavoro deve rendere conto al pubblico.

Da produttore, quali sono i criteri di scelta dei progetti che sostieni?
Prima di tutto produco progetti in cui lavorerei in prima persona. Viviamo in un periodo in cui certi argomenti sono tabù, per esempio in Sud America, e io sono stimolato ad affrontare questi temi per dare delle risposte e far luce là dove finora c'è stata omertà.

Cosa ti ha spinto a interpretare il protagonista di No?
Il regista Pablo Larrain mi ha cercato. Io conoscevo il suo precedente film, Tony Manero, che mi era piaciuto moltissimo. Pablo mi ha fatto leggere la sceneggiatura, poi ci siamo ubriacati insieme, altra cosa molto importante visto che condividere una sbronza è come sposarsi senza anello. Così mi ha convinto. In generale la persona che mi "seduce" per recitare in un progetto è il regista.

No fa parte di una trilogia. Alla fine i buoni vincono? No è un'interessante riflessione sulla dittatura. La storia è molto complessa, non è tutto bianco o nero, ci sono delle sfumature e vi sono molti modi per tentare di cambiare le cose. Il mio interprete usa un metodo apparentemente debole, sceglie dei compromessi per uno scopo superiore, ma alla fine riesce ad aiutare la causa di coloro che lottano per la libertà.

Come vivi il successo?
Io ho un approccio particolare al lavoro. Non avrei mai pensato di fare film. Quando ero im Messico e studiavo teatro ho cominciato a recitare al cinema perché un regista mi ha visto sul palco e mi ha voluto per Amores Perros. Quel regista era Alejandro González Iñárritu. Io ero felice, ma all'epoca non sapevo niente di cinema. Mi piaceva andare al cinema da spettatore, ma non credevo che sarei mai stato capace di recitare in un film. Prima che uscisse Amores Perros ho ricevuto la sceneggiatura di Y tu mama tambien e mi sono reso conto che era bellissima, perciò ho continuato a lavorare cinema. Mi piace questa vita, mi piace viaggiare, conoscere persone e posti nuovi, mi piace imparare sempre. Il fatto di essere di madrelingua spagnola mi permette di variare molti ruoli. Posso interpretare un argentino, un cileno, un boliviano senza problemi. Negli USA ho un po' meno scelta, ma mi sento comunque un privilegiato. Nell'avere successo ovviamente ci sono delle responsabilità, ma mi piace essere sempre diverso e fare sempre cose diverse.

Credi che Hollywood comprenda il tuo bisogno di varietà?
Le prospettive dell'industria sono catatoniche perciò cerco sempre nuove realtà. A Hollywood esiste una dicotomia: ci sono film di Hollywood e film stranieri. Io non sono mai andato a vedere un film 'straniero', perché per me sono tutti film. Per fortuna ci troviamo a lavorare in un mercato internazionale. Non ho niente contro pellicole come Men in Black 3, anzi, spesso mi divertono, però aspiro alla varietà.

Reciteresti in Men in Black 4?
Si, potrei fare l'alieno. Un alieno straniero.

E un film di Bollywood lo faresti?
Certo. Posso anche ballare!

Sei interessato a continuare a dirigere film?
Assolutamente sì. E' un mestiere che mi diverte moltissimo e presto tornerò dietro la macchina da presa.

Come è stato collaborare con Alberto Granado per I diari della motocicletta?
Alberto era uno dei migliori amici del Che. Mi manca molto perché è morto l'anno scorso. Per me è stato come un padre. Era un argentino idealista, una persona eccezionale e mi ha aiutato moltissimo, E' stato uno dei fondatori della scuola biochimica di Cuba. Mentre mi preparavo mi ha detto: "Non cercare di imitarci, usa la tua voce, racconta la tua storia perché tu hai l'abilità per fare il tuo film". Quel lavoro è stato una delle esperienze più incredibili della mia vita.

Che cosa sapevi di Pinochet prima di interpretare il film di Larrain? No è un film parzialmente fictional perché il mio personaggio, nella realtà, non è mai esistito. Il fine del film è riproporre l'atmosfera del Cile all'epoca del referendum (la storia è ambientata nel 1988) omaggiando tutti quei cileni che hanno rischiato il loro lavoro e la loro vita per deporre Pinochet.

Per un madrelingua spagnolo come te è difficile recitare in una lingua straniera come l'inglese?
L'inglese è una lingua di inflessione, mentre in spagnolo per cambiare il significato devi cambiare l'ordine delle parole. Recitare è giocare con le parole, ma non solo. Basta vedere cosa ha fatto Jean Dujardin in The Artist, arrivando a vincere addirittura l'Oscar. Ovviamente quando recito in inglese mi trovo più in difficoltà, nella mia lingua mi è più facile lavorare sulle sfumature e sull'intensità, ma se prendo un esempio come Benicio Del Toro in Traffic e analizzo il suo accento non parla come i trafficanti che operano al confine. Il cinema, però, è fiction. L'importante è riuscire a trasmettere sentimenti ed emozioni, non è sempre necessario ripodurre la realtà alla perfezione.

Un altro film che hai interpretato, piuttosto impressionante, è Even the Rain.
No e Even the Rain, in un certo senso, solo collegati perché narrano due pezzi di storia recente. Il primo è ambientato nel 1988, il secondo nella Bolivia del 2000, durante la Guerra dell'Acqua di Cochabamba. Questo è il ruolo che dovrebbe avere il cinema, informare il pubblico su situazioni poco note, ma che appartengono alla nostra storia.

E' vero che pratichi la boxe?
La boxe è uno sport meraviglioso, è lo sport nazionale messicano, io lo adoro perché è uno sport molto speciale. La boxe mi rilassa e mi piacerebbe anche interpretare o produrre un film su questo sport, magari in futuro.