Faye Dunaway a Locarno: 'Ora faccio la regista'

Una diva a tutto tondo. La star di Chinatown e Quinto potere sfida la terza età cambiando mestiere. A Locarno ci racconta la sua sfida con la regia.

Una diva d'altri tempi, affascinante e misteriosa al tempo stesso, ma anche loquace e calorosa. A tratti un fiume in piena di aneddotti e ricordi capace di perdere il filo dei proprio discorsi attribuendo la colpa all'età che avanza. Faye Dunaway, icona degli anni '70, di strada di ne ha fatta. La ragazza di campagna cresciuta tra i prati della Florida ha appreso il fascino dell'arte recitativa all'Università e da allora non ha più smesso passando dal teatro al cinema e alla televisione per approdare recentemente dietro la macchina da presa per un progetto di cui parla con grande entusiasmo. Ma le prime parole dell'attrice, ospite al 66° Festival di Locarno, sono rivolte ai suoi ammiratori. "La connessione più pura è quella tra l'artista e i fan. I critici interpretano, mentre i fan ricevono ciò che gli viene trasmesso con entusiasmo".

Con una carriera strepitosa come la tua è difficile scegliere da dove partire, ma tra i tuoi primi maestri c'è Elia Kazan.
Faye Dunaway: Elia mi ha insegnato a lavorare e a pensare. Lee Strasberg, Kazan e Marlon Brando hanno rivoluzionato il cinema americano. Ho lavorato con lui in una delle mie prime pièce, poi mi ha diretto ne Il compromesso. Elia lavorava in modo estremamente organico. Era un artista molto sensibile e io lo adoravo a livello personale. So che è stato a lungo biasimato dai colleghi per il suo comportamento politico, ma io non sono in grado di giudicare questo aspetto. Posso solo dire personalmente eravamo molto legati. Ma ho appreso molto anche da Marlon Brando, che ha dato tantissimo all'arte della recitazione. Per me è stato un maestro e gli sono profondamente grata.

Uno dei personaggi da te interpretati che resteranno per sempre nella storia del cinema è Bonnie Parker, protagonista di Gangster Story.
Io ero Bonnie. Avevamo molto in comune. Sono cresciuta in una modesta comunità nel Sud della Florida, dove si corre e ci si affanna senza andare da nessuna parte. Quello che lei ha tentato di fare è sfuggire al proprio destino. Per raggiungere il suo scopo ha fatto delle scelte sbagliate, ma sono comunque molto legata a questo personaggio.

Al tuo fianco, nel film, c'era Warren Beatty.
Warren era un uomo molto affascinante, oltre che un bravissimo attore, ma la cosa che lo rende davvero seduttivo è l'intelligenza. Mi è piaciuto molto lavorare con lui e con Arthur Penn, un grande regista che mi ha permesso di capire a fondo la sceneggiatura, di comprendere tutta la complessità del mio personaggio.

Il look di Bonnie era un elemento essenziale del film.
Devo ringraziare il reparto costumi per i bellissimi abiti che mi è stato permesso di sfoggiare sul set. Quando ho indossato i costumi mi sono sentita giusta per il film. E' tutto merito della costumista Theadora Van Runkle, una vera artista.

Nel 1967 è stata la volta di Evelyn Mulwray, la protagonista di Chinatown
Mentre Bonnie è una dura, Evelyn è uno dei personaggi più ragili che abbia mai interpretato. Ha un segreto che la ossessiona, un passato oscuro di cui si vergogna. All'epoca mi sono concentrata sulle nevrosi del personaggio, rendendo visibili fragilità di cui Evelyn non era neppure cosciente. Non è stato difficile perché il personaggio era già nella sceneggiatura. Io ero una ragazza di campagna e il film mi ha reso una donna sofisticata, ma interiormente avevo compreso perfettamente il malessere del mio personaggio perché tutti custodiamo segreti di cui faremmo volentieri a meno.

Evelyn è un personaggio che vive in un'atmosfera di struggente lentezza. La Diana Christensen di Quinto potere, invece, ha un ritmo molto diverso Chinatown è un noir e risponde alle regole del genere. Quinto potere, invece, riproduce la velocità del pensiero televisivo dove devi sempre inventare nuove idee altrimenti perdi la tua audience. Sidney Lumet voleva riproporre questo universo frenetico spingendoci a prounciare dialoghi pieni di ritmo. Quando sono arrivata sul set dovevo essere già perfetta e avere il controllo delle battute, ma per fortuna la sceneggiatura del film era ottima.

Il film è stato molto profetico.
Esattamente. E' successo tutto quello che Sidney aveva predetto. La mia Diana è una donna incapace di amare, di avere relazioni vere al di fuori dell'effimero universo televisivo. Il nostro è un film sulla crisi dei rapporti sociali, sulla frenesia della modernità.

Dopo aver interpretato tanti ruoli straordinari, ora ti stai dedicando alla regia. Puoi parlarci del progetto su Maria Callas a cui stai lavorando da tempo?
Ho recitato per un anno a teatro una pièce ispirata alle lezioni americane tenute da Maria Callas. E' un personaggio che ammiro enormemente. Ho accettato di interpretarlo solo a patto che mi venisse concessa la possibilità di comprare i diritti, non per avere il controllo assoluto, ma per scegliere il giusto team. Lo studio ha bloccato tutto. A volte prendono decisioni terribili, perciò ho acquisito i diritti con i miei soldi. Maria Callas è stata per l'opera ciò che Fellini è stato per il cinema. Ha cambiato un'arte e voglio che abbia giustizia. La sua vita è stata tragica, ma è riuscita a veicolare il suo enorme talento nella sua opera.

La regia sembra davvero appassionarti.
Ho studiato Bergman e David Fincher. Ho visto Zodiac ventidue volte. Adoro l'arte visiva e ora voglio occuparmi di regia, ma voglio anche poter lavorare con persone che comprendano le mie idee.

Interpretando un personaggio come Bonnie Parker, non hai mai temuto l'eccesso di violenza presente nel film?
Mai. La violenza è stata molto ben diretta. E' parte della vita e a volte siamo costretti a confrontarci anche con questa realtà. Spesso le persone dimenticano che nella rappresentazione della violenza c'è anche un aspetto artistico, per esempio nello slow motion finale in cui viene mostrata la morte di Bonnie e Clyde. Stiamo parlando di criminali, di persone depresse, di una situazione particolare e di un uso della violenza grafico. Credo che l'intelligenza di Arthur Penn e la sua visione abbiano permesso al pubblico di comprendere il vero intento del film.

Come è stato lavorato a fianco di Marlon Brando?
Divino. Era una persona così vitale a livello emotivo, un artista originale. Ha inventato l'arte della recitazione per la mia generazione e quella precedente. Era una persona divertente e ogni giorno inventava una trovata nuova per arricchire il suo personaggio.

Hai dei rimpianti? C'è qualche personaggio che avresti sognato interpretare, ma ti è sfuggito?
Per fortuna no. Ho sempre seguito il mio istinto. Non avrei mai potuto rifiutare ruoli come Bonnie o il personaggio di Chinatown. Sono stata molto fortunata.

Un consiglio per le giovani attrici?
La ripetizione è la cosa più istruttiva, quindi studiare il più possibile e fate teatro.