Emile Hirsch e Paul Rudd presentano Prince Avalanche alla Berlinale

Le due star americane hanno presentato, insieme al regista David Gordon Green, l'emozionante pellicola girata nelle foreste texane in cui Green è di casa.

Il cinema indipendente made in USA quest'anno sta dando il meglio di sé a Berlino. Dopo l'acclamato Before Midnight, presentato fuori concorso, direttamente dal Sundance arriva Prince Avalanche di David Gordon Green, un altro titolo che si posiziona in zona palmares. A nostro parere non stonerebbe un premio all'emozionante sceneggiatura firmata da Green né un Orso d'argento per la sfaccettata interpretazione fornita da Paul Rudd, attore versatile del quale finora apprezzato per lo più solo il lato comico/romantico. Prince Avalanche è il remake dell'islandese Either Way, trionfatore del Torino Film Festival nel 2011 dove è stato adocchiato dal regista Green il quale, dopo aver apprezzato le assonanze con la propria sensibilità artistica, ha deciso di firmarne un remake presentato oggi nella selezione ufficiale berlinese. Col regista sono ospiti della Berlinale i due interpreti del film, Paul Rudd ed Emile Hirsch.

Per Prince Avalanche hai creato un'estetica molto personale, uno stile visivo affascinante. Che tipo di ricerca c'è alla base delle immagini?
David Gordon Green: Come per tutti gli altri miei film, anche stavolta ho lavorato col solito direttore della fotografia, Tim Orr, ma a differenza delle altre volte stavolta abbiamo cercato di sperimentare. Volevamo dare il senso di una camera curiosa, mobile, che fluttuasse intorno agli attori per fornire il senso del loro vivere nella natura, così abbiamo cercato di trovare movimenti organici. Questo film, rispetto ai miei lavori precedenti, è meno costruito, più spontaneo.

Come ti sei relazionato con l'originale islandese? Come lo hai fatto tuo ricreando un ambiente molto americano?
David Gordon Green: Vicino a dove vivo, nelle foreste texane, avevo trovato una splendida location e volevo girarvi assolutamente un film, ma non sapevo quale. Ciò che avevo chiaro era che volevo girarlo velocemente, usando pochi attori, in modo semplice. Un po' come Gerry di Gus Van Sant. A un certo punto un mio amico, un art director di New York, mi ha parlato di Either Way. Dopo aver visto i primi dieci minuti di film a Torino sono rimasto folgorato e ho deciso di farne un remake. Stranamente quando ho rivisto il film per intero sapevo già cosa ne volevo fare io. Il film tocca delle corde personali che mi riguardano e che ho cercato di sviluppare alla mia maniera. Come nel caso dell'originale, ho mantenuto inalterata l'ambientazione anni '80, ma ciò che realmente mi ha affascinato è la bellezza dell'isolamento che traspare dalla storia.

Per voi attori com'è stato recitare due personaggi così vicini che hanno un rapporto praticamente esclusivo per tutta la durata del film?
Paul Rudd: Non conoscevo Emile prima di girare il film. Non ci eravamo mai incontrati, ma ci siamo divertiti molto. A volte riesci a entrare in sintonia con l'altro attore come il tuo personaggio e il suo. Non so se è un retaggio della tecnica della full immersion, ma a un certo punto tra me e Emile si è instaurato un legame quasi parentale. Mi sono sentito come una specie di fratello maggiore, obbligato a proteggerlo e a consigliarlo.

Emile Hirsch: A volte io e Paul ci siamo trovati a discutere, ma il tutto è stato molto piacevole. Concordo con lui sul fatto del metodo, non so se è stato proprio così nel nostro caso, ma non ci siamo sentiti obbligati a diventare amici. Io mi sono trovato davvero bene con lui e spero che mi perdoni perché in alcuni casi eravamo talmente in confidenza che ho lasciato emergere il mio lato peggiore.

Paul, siamo a Berlino perciò è inevitabile chiederti come mai il tuo personaggio ama così tanto la lingua tedesca.
Paul Rudd: Mi piace questa idea del personaggio che vuole imparare il tedesco per vivere in Germania. Questo va di pari passo col suo bisogno di trovare un posto in cui sentirsi realmente a suo agio. Anche la sua scelta di rifugiarsi nei boschi e di sfuggire alla società americana è motivata dal suo disagio interiore.

Quale è stata la principale difficoltà durante la lavorazione del film?
David Gordon Green: Non ci sono state difficoltà. Ho fatto molti film e dietro la macchina da presa mi sento molto a mio agio. Mi sento a disagio davanti alla stampa, ma il resto non mi preoccupa. In questo caso è venuto tutto molto naturalmente. La bellezza di questo specifico progetto è l'intimità, è il fatto di trovarmi a lavorare sul set solo con una decina di persone, immersi nella natura. Non potevo non godere della gioia dell'opportunità di fare questo film. E' stata un'esperienza unica.

Il film si apre con un incendio. Questo elemento non è presente in Either Way.
David Gordon Green: Infatti è una mia scelta. Nutro una fascinazione verso la distruzione. Dietro la tragedia vedo la bellezza della possibilità di ricostruire, di ripartire da capo. La donna che scava tra i resti della sua casa distrutta dal fuoco non era presente nel film originale e non era neanche nel copione. L'abbiamo incontrata per caso durante la preparazione del film. Lei aveva davvero sperimentato la devastazione della sua casa e abbiamo deciso di inserirla perché ero affascinato dal potere quasi soprannaturale della sua disperata ricerca. Questo è solo un esempio per capire la libertà alla base di questo progetto.

Paul Rudd: E' stato impossibile non essere influenzati dall'ambiente e dalle situazioni che avevamo intorno. Per giorni abbiamo campeggiato in un grande parco naturale in cui sono state girate le folli scene presenti nel film.

Quindi quale è il senso della presenza della donna misteriosa che scava nella cenere?
David Gordon Green: La sua è una presenza quasi fantasmatica. La sua relazione con il camionista è qualcosa di transitorio, di cui non capiamo bene la natura. Lei potrebbe esistere, ma anche essere solo una visione frutto dell'immaginazione.

Emile, dopo aver interpretato un film come Into the Wild hai accettato questo ruolo in Prince Avalanche perché era un ritorno alla natura?
Emile Hirsch: In effetti mi piace girare in mezzo alla natura, ma ciò che mi ha realmente attirato in questo progetto era la possibilità di interpretare un personaggio che non ama realmente i boschi, non è in forma e si sente fuori posto. C'è qualcosa di divertente e liberatorio in tutto ciò. Io amo i luoghi selvaggi, sono cresciuto in un piccolo paese, ma ormai sono diventato cittadino visto che risiedo a Los Angeles quindi riesco a unire il lato cittadino e quello più selvaggio. Dopo aver interpretato Into the Wild molte persone sono venute da me dicendo 'Ehi Emile, ho lasciato il lavoro e ho deciso di girare il mondo, di vivere a contatto con la natura.' Dopo otto mesi sono tornati dicendomi 'Per colpa tua ho lasciato il lavoro, se potessi ti prenderei a calci'. Colgo l'occasione per scusarmi pubblicamente con loro.

In un film così libero c'è stato spazio per l'improvvisazione?
Paul Rudd: C'è meno improvvisazione rispetto ad altre cose che ho fatto. Il modo in cui il mio personaggio parla in realtà è molto studiato.

Emile Hirsch: Ma l'avete vista la parte in cui ballo? Lì improvviso sfruttando il mio talento naturale. Sono un grande ballerino di break dance.

David Gordon Green: No, quella parte è stata tagliata per non spaventare il pubblico.

La musica ha un ruolo chiave nella pellicola. Puoi raccontarci le scelte alla base della soundtrack?
David Gordon Green: Buona domanda. Ho deciso di coinvolgere nel progetto la mia band preferita, gli Explosions in the Sky. Loro si sono trasferiti in ad Austin, in Texas, poco lontano da casa mia così hanno seguito la preparazione del film fin dal principio. Insieme a loro ho collaborato con David Wingo con cui sono amico da molti anni. Gli Explosions sono venuti a visitare la location e devo dire che il film non sarebbe esistito senza la sensibilità del batterista della band perché queste musiche non sarei riuscito a dare il tono giusto al film.