Il 2023 è l'anno della XXII edizione del Festival del Cinema di Porretta Terme, evento nato per continuare il percorso virtuoso della Mostra del cinema libero di Porretta Terme, l'antifestival degli anni '60, cercando parallelamente di allargare gli orizzonti cinematografici pur mantenendo lo stesso spirito anticonformista che lo ha sempre mosso. Grande cinema italiano, ma anche cinematografie più underground di matrice straniera, europea e non. Accanto al concorso "Fuori dal giro" il Festival ha dalla prima edizione dedicato uno spazio alla rassegna monografica dedicata ad importanti nomi della cinematografia italiana ed internazionale. Trovate il programma integrale qui.
Quest'anno, nell'edizione che va in scena dal 2 al 10 dicembre, tra gli Eventi Speciali c'è quello dedicato all'opera prima di uno dei più grandi cineasti europei contemporanei e, probabilmente, il miglior regista rumeno della storia recente. Un'occasione straordinaria quella di poter vedere su grande Occident, il debutto alla regia di un lungometraggio di Cristian Mungiu, vincitore della Palma d'oro al 60º Festival di Cannes con 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni.
Incredibile artista appartenente alla generazione rumena "postdicembrista", ovvero quella nata dopo la rivoluzione rumena che ha rovesciato la dittatura comunista nel Paese. Un cineasta brillante e un intellettuale impegnato politicamente che ha messo al servizio la sua straordinaria visione cinematografica di un'attività quasi militante. Siamo lieti di averlo potuto intervistare in quest'occasione, nella quale, partendo da Occident abbiamo parlato dell'evoluzione del suo cinema, di comunità, emigrazione, relazioni umane e globalizzazione.
Un debutto particolare
Per iniziare le vorrei chiedere qual è il suo rapporto con l'Italia e con il cinema italiano.
Mi sento molto vicino all'Italia, sia per la lingua che per la sensazione che gli italiani non siano poi così diversi dei rumeni in termini di energia, sentimenti e comportamento sociale. Mi sento molto vicino anche all'Italia anche per quanto riguarda le mie vacanze: è un Paese che io e la mia famiglia amiamo e dove abbiamo trascorso tante belle giornate insieme. Quest'estate l'Italia è stato il primo Paese straniero dove ho deciso di accompagnare il mio ultimo film, Animali Selvatici in un tour promozionale e sono stato molto felice di parlare con gli spettatori dopo le proiezioni. Coincidenza o no, Animali selvatici è stato il film non inglese di Cannes più visto della stagione. Sono cresciuto con il cinema italiano anche se c'era nessuna cineteca nella mia città natale. Il neorealismo italiano, ma anche i film successivi di Visconti, Antonioni o Fellini, costituivano argomenti frequenti nel nostro gruppo di amanti del cinema del giornale studentesco dove ho iniziato a scrivere.
Animali selvatici, Mungiu: "Racconto l'ipocrisia e i populismi del nostro tempo"
La particolarità narrativa della sua opera prima è quella di essere un film che racconta la stessa storia da tre punti di vista differenti. Una soluzione episodica che lei ha adottato, in modo diverso, in Racconti dell'età dell'oro. Come mai una scelta così non convenzionale per l'esordio? Cosa l'affascina di questo tipo di narrazione?
È passato un po' di tempo dall'ultima volta che ho realizzato quel film, ma fondamentalmente l'idea era che volevo che la storia fosse allo stesso tempo veritiera, sorprendente, toccante e divertente. Pensavo più da spettatore che da regista e prima di tutto volevo verificare la mia capacità di intrattenere gli spettatori e mantenerli concentrati parlando allo stesso tempo di qualcosa di più profondo. Era il mio primo lungometraggio dopo gli studi cinematografici e, come molti principianti, volevo dimostrare di poter padroneggiare cose piuttosto complicate. Più tardi ho imparato che la semplicità è ancora più complicata.
Occident è anche un film che si diverte a giocare con un registro linguistico molto ampio, che varia dal dramma al grottesco fino alla commedia satirica. Un tipo di approccio che lei ha ogni tanto adoperato anche in seguito, anche se in modo più delicato. Quali sono le opportunità di un linguaggio del genere?
In Racconti dell'età dell'oro, ad esempio, alcune situazioni sono grottesche perché così erano quei tempi. Preferisco le commedie che fanno ridere, non solo sorridere, e credo che esista un modo di parlare della vita usando l'umorismo, anche se la realtà che stai descrivendo può essere molto dura. Dopotutto, la vita non è comica o drammatica, lo è solo la nostra visione di essa e ogni storia ha il suo modo più appropriato di essere raccontata.
Una generazione in viaggio
Nel corso dei suoi sei film lei ha sempre affrontato la realtà della Romania, prima e soprattutto dopo la caduta del regime comunista alla fine degli anni '80. In Occident vediamo una generazione che vuole scappare dal Paese, in cerca di un posto nel mondo, quella generazione esiste ancora?
Occident parlava di questo desiderio di emigrare ed essere libero e felice dal punto di vista di chi decide di restare a casa e di provare a cambiare in meglio le cose nel proprio Paese. Questo non è solo un sentimento rumeno, me riguarda ogni Paese in cui le persone sono scontente della situazione e sentono che è oltre il loro potere cambiarla. Per questo proiettano il futuro altrove, spesso idealizzando il luogo. Più avanti nei miei film ho parlato di nuovo di questa generazione delusa e depressa. In Un padre, una figlia né coloro che sono rimasti a casa né coloro che se ne sono andati sentono che le loro aspirazioni per il futuro e la loro vita siano state soddisfatte. Il fenomeno è ancora presente e 30 anni dopo troppi rumeni pensano la stessa cosa: il Paese non sta progredendo abbastanza velocemente e per raggiungere il livello di civiltà, ricchezza, libertà e felicità a cui aspirano hanno migliori possibilità all'estero.
Uno dei soggetti che torna spesso e volentieri nella sua filmografia è la comunità, l'importanza delle relazioni umane, in cui si può trovare anche una speranza o, quantomeno, una comprensione. Come se la vicinanza, la fratellanza, fosse un fattore necessario nella vita di una persona. Perché questa scelta?
Cerco semplicemente di osservare il mondo intorno a me nel modo più onesto e obiettivo possibile, per quanto l'obiettività possa essere parte del processo. Anche in modo non giudicante. Non idealizzo ciò che vedo e non credo che le persone siano sempre creature meravigliose. A volte lo sono, a volte possono essere molto cattive, crudeli, ingenue, istintive e irrazionale. Nel complesso, la situazione ideale si presenta quando le persone mostrano empatia verso gli altri rispettando anche un certo senso etico, ma temo che ciò non accada abbastanza spesso.
I pericoli della globalizzazione, anche per il cinema
Un'altra delle cose interessantissime che lei affronta, è il difficile rapporto tra l'anima locale rumena, anche dal punto di vista folkloristico (penso anche alla canzone presente in Animali Selvatici) e un mondo che vuole sempre più abbattere i confini, a volte anche "invadendo" lo spazio nazionale. Lo si vede in Occident come in tanti altri film. Cosa pensa di questo incontro/scontro? Perché è così centrale?
Il mondo è diventato molto globalizzato, le persone viaggiano molto più liberamente e più velocemente rispetto a secoli fa e sentono di avere il diritto di spostarsi ovunque la loro vita possa essere più appagante. Una prospettiva che è stata incoraggiata, storicamente parlando, dopo la diffusione della democrazia occidentale e che è corretta da un punto di vista umanistico. Tuttavia, nessuno ha previsto gli effetti collaterali di questa globalizzazione poiché quando grandi gruppi di persone si spostano portano con sé le proprie convinzioni sulla vita che potrebbero entrare in collisione con quelle della popolazione che viveva lì in precedenza. In linea di principio nessuno vuole i conflitti, ma allo stesso tempo le persone non sono mai ragionevoli e spesso desiderano che le cose restino come prima e che siano gli altri a cambiare, non loro stessi. Ecco perché i conflitti diventano inevitabili.
Un padre, una figlia: Cristian Mungiu ci racconta come il suo cinema imita la vita
Il rapporto tra il cinema e la realtà è ricco e concede molti punti di vista differenti. Lei non si è mai tirato indietro, partendo dal reale ma sempre adottando una posizione forte e riconoscibile. Qual è il rapporto tra il suo cinema e la realtà?
Credo che dovremmo lottare per preservare la diversità nella nostra narrazione. Non posso raccontare le storie di un contadino piemontese, costaricano o nepalese, per esempio, o di un diciassettenne e nemmeno di un altro regista rumeno con una visione diversa della vita e del cinema, ma in qualche modo il cinema è fatto di tutti questi punti di vista contemporaneamente. Oggi il cinema, per come lo conoscevamo, è in pericolo. C'è un grande rischio di conformismo, di standardizzazione, di "modelli" pieni di "contenuti", privi della personalità del cineasta. Le estremità, i punti di vista radicali, le posizioni non standardizzate tendono ad essere eliminate da un mondo in cui il cinema è visto sempre più semplicemente come una merce, mirata a intrattenere ogni volta che abbiamo del tempo da riempire.
Ultima domanda: prima della comunità c'è la coppia, spesso composta da uomo e donna. Occident inizia con due binari paralleli, ma che non si incrociano. Cosa la affascina di questo punto di partenza per cominciare a raccontare le sue storie?
Siamo soli nei momenti più cruciali della nostra vita, non importa quanto fatichiamo a relazionarci con gli altri, a sentire che apparteniamo a qualcosa di più grande di noi stessi. A volte le nostre vite si incrociano e si confondono con altre e spesso la nostra direzione originaria viene alterata da questo scontro. Non possiamo sapere quale sarebbe stata la traccia ideale per il nostro destino, ma la vita è affascinante soprattutto per questa libertà di scegliere una strada diversa ogni secondo.