C'era una volta l'horror orientale

Tris di pellicole - Bedevilled, Paranormal Activity 2: Tokyo Night e Seru - per una Horror Night non esattamente entusiasmante. Il più convincente dei tre film proposti, in ogni caso, è proprio quello di Jang Cheol-so.

Siamo consapevoli che un titolo come quello che abbiamo scelto per questo articolo possa risultare azzardato, forse eccessivamente categorico, e siamo i primi ad augurarci, in un futuro, di poter essere smentiti nell'affermazione che questo sottintende; e magari di poter assistere a una nuova golden age dell'horror made in Asia, filone che, fino a pochi anni fa, portava stimoli, idee e spettatori a un genere che da parte nostra abbiamo sempre amato, in tutte le sue varianti. Resta il fatto che la Horror Night (che quest'anno ha sostituito il tradizionale Horror Day) dedicata dal Far East Film Festival alla paura proveniente dall'estremo oriente si è caratterizzata per una qualità davvero bassa, ed è lecito chiedersi, a questo proposito, se non sarebbe stato più saggio rinunciare del tutto a questo spazio (come fu già nel 2004) piuttosto che selezionare pellicole di un livello, dobbiamo dirlo, poco appropriato per la manifestazione friulana. Dei tre film presentati (il coreano Bedevilled, il giapponese Paranormal Activity 2: Tokyo Night e il malese Seru) solo il primo, pur imperfetto, raggiunge la sufficienza e mostra motivi di interesse, mentre i due successivi non rappresentano altro che un compendio, piuttosto irritante, dei più vieti stereotipi del genere tanto nella sua variante orientale quanto in quella occidentale. Ma vediamo di andare con ordine.

Il film coreano diretto da Jang Cheol-so narra la storia di Hae-Won, funzionaria di una banca di Seoul che, dopo esser stata testimone di un tentato omicidio e non aver avuto il coraggio di testimoniare contro i colpevoli, cade in depressione e decide di passare qualche giorno sull'isola in cui è cresciuta, richiamata dalle lettere di Bok-nam, sua amica di infanzia. Una volta sull'isola, la giovane trova una realtà sconvolgente, fatta di arretratezza, violenza e soprusi, di cui a fare principalmente le spese è proprio Bok-nam, intrappolata in un matrimonio con un uomo orribile e sadico. La tragedia, di cui la protagonista sarà diretta testimone, è prevedibilmente dietro l'angolo.
Jang, già aiuto regista di Kim Ki-duk, dirige un film che si caratterizza nella sua fase iniziale per uno spietato realismo, e per una descrizione puntuale, sporca e a tinte forti, di un ambiente malato e spietatamente patriarcale, con una comunità che si autoassolve e arriva a coprire le più crudeli nefandezze. Il clima regnante sull'isola, così ben descritto nella prima parte, passa però in secondo piano successivamente, quando Bok-nam decide di ribellarsi ai soprusi e il film scivola verso un horror che flirta con l'exploitation, con trovate narrative poco in linea col resto del film che ne compromettono seriamente l'unità di tono. Il cambio di registro è gestito con poca convinzione, e la pellicola a tratti, più che sconvolgere, finisce per suscitare il singolare entusiasmo che gli appassionati della variante più trash del genere tributano alle esplosioni di truculenza più eccessive e meno credibili. Da premiare comunque le intenzioni e l'abilità del regista nel gestire la prima parte del film, effettivamente vibrante e molto efficace.
Le cose peggiorano, e di molto, quando inizia il secondo film della serata, quel Paranormal Activity 2: Tokyo Night che rappresenta un sequel "spurio" dell'originale Paranormal Activity e ne riprende pedissequamente, e con ancora meno convinzione, tutti gli ingredienti e i meccanismi per creare paura. Protagonista ne è la ventisettenne Haruka, tornata in Giappone dopo un viaggio negli Stati Uniti nel corso del quale si è fratturata entrambe le gambe, ospitata dal fratello Koichi nella residenza di famiglia. Qui, iniziano a verificarsi eventi inquietanti come strani rumori e inspiegabili spostamenti di oggetti, e naturalmente Koichi decide di filmare il tutto.
Come il prototipo statunitense, il film è girato come un lungo documentario, con le riprese delle varie videocamere sparse nella casa a mostrare gli eventi che terrorizzano i due protagonisti, puntando sulla moltiplicazione dei punti di vista (ora ad essere ripresa non è più solo la stanza della ragazza) ma mantenendo sostanzialmente inalterata la struttura di base dell'originale (e del relativo sequel statunitense). Se già i due suddetti film non esaltavano, puntando a una concezione della paura che di fatto prescindeva dalla tecnica cinematografica per sfruttare il presunto realismo delle immagini, il regista Toshikazu Nagae riesce a fare di peggio: suscitando a più riprese irrefrenabili risate che hanno scosso come raramente era successo la platea del Teatro Nuovo di Udine, e che donano almeno al film quella involontaria patina di so bad it's good che lo salva, se non altro, dalla noia.
Noia che invece affiora, inesorabile, nel conclusivo Seru, film malese diretto dai due registi Ming Woo e Pierre Andre, parte di una new wave orrorifica che negli ultimi anni ha attirato molti spettatori nelle sale cinematografiche locali. Il film è anch'esso un finto documentario, che mostra il lavoro di una troupe cinematografica malese intenta a girare un horror all'interno della foresta pluviale, e che si trova a dover fare i conti con strani, e sempre più inquietanti, fenomeni di possessione. Il film, mostrato allo spettatore attraverso le videocamere deputate a girare il making of dell'horror in questione, ha i suoi evidenti referenti nello statunitense The Blair Witch Project e nella stessa serie dei Paranormal Activity: ma i due registi scelgono, anche in questo caso, di dimenticare completamente di star girando (in realtà) un'opera dedicata ad un pubblico, frammentano e rendono oltremodo confusa l'azione, mostrano anche i momenti più truculenti con una tale piattezza e assenza di impatto da suscitare una profusione di sbadigli (non derivati, soltanto, dalla collocazione del film nella proiezione di mezzanotte). Gli sviluppi della trama, oltretutto, risultano presto più che prevedibili, e vengono successivamente e puntualmente confermati.

Si può dire, se vogliamo tracciare un "bilancio" di questa ben poco terrificante Horror Night, che, se un titolo come l'iniziale Bedevilled avrebbe trovato, fino a qualche anno fa, una tranquilla collocazione nella fascia mattutina o pomeridiana del più corposo Horror Day, le due pellicole successive non avrebbero probabilmente neanche avuto diritto di cittadinanza nel programma del festival friulano, data la loro qualità obiettivamente bassa. Non basta il richiamo ad una saga di successo come quella di Paranormal Activity (successo tra l'altro - ma questo è il parere di chi scrive - costruito a tavolino e del tutto prescindente dalla qualità artistica) a giustificare l'inserimento di un film in un cartellone comunque, nel suo complesso, ricco anche quest'anno di proposte interessanti. Questa Horror Night insomma, lo ripetiamo, sarebbe proprio stato il caso per quest'anno di tralasciarla. Da parte nostra, da spettatori affezionati tanto del genere quanto dello stesso Far East, ci mettiamo in paziente attesa di una prossima selezione orrorifica (giornaliera o notturna, poco importa) che sia degna del suo nome e della sua fama.