Black Mirror 4: Arkangel, inferno d'amore

L'autenticità drammatica di questa cautionary tale è rivelata da Jodie Foster grazie al look spoglio ed essenziale e allo stile di ripresa immersivo dell'indie movie, e la scelta della protagonista rientra in questa logica. Rosemarie DeWitt è una piccola musa indie e la sua umanità fragile, la sua fisicità nervosa sono perfette per incarnare la febbre che consuma una madre nella sua solitudine.

Tutti i mammiferi mettono al mondo i loro piccoli con dolore. Ma c'è una relazione speciale, più prolungata e complessa, più viscerale, tra una femmina umana e i suoi piccoli: nove mesi di simbiosi, una vita di distacco. Per questo forse Arkangel, l'episodio della quarta stagione di Black Mirror affidato alla regia di Jodie Foster, artista poliedrica che sta crescendo due figli che non conoscono ancora il nome del loro padre biologico, si apre con il parto: momento di estrema ansia per una donna, in cui a una prova fisica difficile e intensa segue quell'imprinting col neonato che inaugura la sua vita da madre.

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Black Mirror: un'immagine della quarta stagione, episodio ArkAngel
Black Mirror: un'immagine della quarta stagione, episodio ArkAngel

Buona parte delle donne che abbiano portato avanti una gravidanza vi direbbero che la paura inizia ben prima del parto, sin dal primo test positivo: la paura di veder svanire quella promessa, di perdere quell'essere speciale che non conosciamo e che non è ancora neppure una persona, ma in cui l'investimento emotivo è immediatamente enorme. Inizia allora e non passa mai. Un'apnea sospetta, una febbre che non scende, la prima caduta, il primo giorno al nido senza mamma. Quando il pargolo ha tre, quattro anni o giù di lì arriva anche l'esperienza della prima sparizione, che di solito si risolve in pochi minuti di pura angoscia, in cui tutti i più atroci scenari concepiti si fanno temporaneamente realtà.

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Non lasciarmi

Black Mirror: una scena dell'episodio ArkAngel
Black Mirror: una scena dell'episodio ArkAngel

Alla protagonista di Arkangel, interpretata da Rosemarie DeWitt, scossa dopo aver perso di vista sua figlia al parco giochi, la tecnologia offre la soluzione perfetta: alla sua piccola viene installato un chip collegato con una sorta di tablet attraverso il quale la madre potrà non solo rintracciare la bambina ovunque, ma anche vigilare sugli stimoli in cui si imbatte, e inserire un sistema di "parental control" su ciò che la piccola osserva e percepisce: scene di violenza, sofferenza, sesso, reali o fittizie, qualunque cosa possa turbare la sua mente innocente, sarà criptata. Non abbiamo bisogno del genio di Charlie Brooker e della sensibilità di Jodie Foster per immaginare come una scelta del genere possa condizionare la vita di una bambina, condannata a crescere impreparata ai "fatti della vita" - perdonateci l'espressione trita ma perfetta per il nostro contesto. In pochi minuti di narrazione, Arkangel descrive i rischi di questa condizione innaturale e illustra la rabbia e il senso di inadeguatezza di una persona a cui viene impedito di crescere. Racconta la deriva di un modo di essere genitori che può fare danni anche senza bisogno dell'assistenza di un sistema come Arkangel.

Black Mirror: un momento dell'episodio ArkAngel, quarta stagione
Black Mirror: un momento dell'episodio ArkAngel, quarta stagione

Non c'è mai moralismo in Black Mirror, e non c'è nemmeno in Arkangel, anche se qualcuno potrebbe vedere un legame diretto tra l'operato di questa madre iperprotettiva e le prime, importanti scelte indipendenti di sua figlia. Da adolescenti siamo tutti attratti da ciò che è diverso, proibito, e inseguiamo tutto ciò che ci affranca dai nostri genitori, per affermarci come individui. A passare la misura è la madre perché, quando viola l'intimità di Sara, le nega proprio questo, la sua autodeterminazione, e si tratta di un tradimento troppo profondo e sconvolgente per non creare una frattura insanabile, un cortocircuito nel rapporto archetipico tra madre e figlia.

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I confini dell'amore

L'autenticità drammatica di questa cautionary tale è rivelata da Foster grazie al look spoglio ed essenziale e allo stile di ripresa immersivo dell'indie movie, e la scelta della protagonista rientra in questa logica. Rosemarie DeWitt è una piccola musa indie e la sua umanità fragile, la sua fisicità nervosa sono perfette per incarnare la febbre che consuma questa madre nella sua solitudine. Perché amare è lasciarsi liberi, ma lo impariamo sempre quando è troppo tardi. Liberi di crescere, di cambiare, di partire, di tornare. Il controllo dell'altro non è un atto d'amore, perché è egoistico; quello materno, spesso visto come l'amore più puro, più incondizionato, può essere, come intuisce Arkangel, anche il più crudele e soffocante.

Movieplayer.it

3.5/5