Nato a Firenze nel 1900, Luigi Zuccolo era figlio del Conte Guglielmo Zuccolo di Spilimbergo, nobile friulano il cui avo Federico fu l'ultimo feudatario del mondo, reinvestito nel feudo da Francesco Giuseppe Imperatore d'Austria-Ungheria nel 1862, marchese d'Istria, duca di Belgrado, rimasto orfano di padre a 18 anni e allevato dalla madre Maria Pia Marchi di Viareggio (appartenente a una famiglia di armatori) insieme a un fratello e sette sorelle di cui una, Virginia, rimasta vedova di Paolo Singer (imprenditore delle macchine da cucire) sposò l'onorevole Giuseppe Barattolo, pioniere del cinema e grande produttore cinemagratografico (Cines,Caesar Film,Scalera ecc.) scopritore famosi attori come Lyda Borelli (per cui creò l'appellativo "diva" diffuso poi nell'immaginario collettivo). Suo fratello Beppino, ufficiale degli alpini, fu giustiziato dai tedeschi durante la Prima Guerra Mondiale e morì a soli 26 anni.
Sin da ragazzo, Luigi aveva studiato canto, perchè aveva una magnifica voce (simile a quella di Beniamino Gigli, ma più ricca nei bassi) ed aveva già cantato in occasione di numerose manifestazioni, ma il debutto come interprete pricipale di un'opera lirica importante fu proprio nel 1923 a Viareggio al teatro Margherita nella Boheme alla presenza di Giacomo Puccini e della sua fresca sposa che si emozionò moltissimo. Fu invece un trionfo con affettuose congratulazioni di Puccini (che ne restò amico per il breve tempo che gli rimase) e distacco dei cavalli dalla carrozza portata a mano dalla folla fino al Principe di Piemonte. In quel periodo Zuccolo usava il nome d'arte di Vanni Spada, e continuò a ottenere successi per i vari teatri di opera d'Italia e d'Europa finchè fu vincolato ad un lungo contratto con il San Carlo di Napoli, che dopo alcuni anni lo inviò negli Stati Uniti per una lunga tournéè di oltre tre anni.
Sessanta città americane lo accolsero con entusiasmo (da New York a San Francisco e Los Angeles) con la stampa che lo osannava. Si fermò per un anno e mezzo a Beverly Hills per il Chinese Theatre, poi ad a un tratto volle rientrare in Italia. Non se la sentiva più di sopportare i sacrifici che la vita del cantante a quei livelli imponeva: non fumare, non bere superalcoolici, riguardarsi in tutto e non fare le ore piccole. I soldi c'erano, anche tanti (compresa l'ingentissima dote della moglie), e così Luigi mise fine alla sua gloriosa e promettente, ma breve, carriera di artista. Da allora seguì un periodo di "dolce vita" con tutte le notti vissute piacevolmente fino all'alba con l'aristocrazia e la high society godereccia, specie nei giochi d'azzardo, una decina di servitori e case arredate con oggetti d'arte straordinari. Una vita da nababbi che però si concluse presto a causa delle speculazioni sbagliate che egli intraprese per dimostrare che sapeva fare altro al di fuori della carriera d'artista che aveva abbandonato.Così, mentre già in America aveva perduto quasi un milione per un investimento in parures di seta che aveva portato dalla Toscana, regolarmente rubate o truffate per la sua ingenuità (aveva grande intelligenza artistica ma credeva in tutto e in tutti) ora si cimentava nel campo del cinema data anche l'affinità con suo cognato, il grande produttore cinematografico Giuseppe Barattolo.
Prima si cimentò nella produzione e prese la prima stangata acquistando con notevole cifra il "primo" cartone animato a colori che un tedesco gli presentò in bobina di circa un minuto (previa ingentissima caparra) e che poi risultò l'unica esistente. Poi mise su un'agenzia di noleggio film che funzionò bene per un certo tempo fino alla seconda guerra mondiale, ma quando si ammalò di pancreatite (e fu costretto ad assumere morfina per placare i dolori) dovette così trascurare il lavoro e la concorrenza se ne approfittò portandolo quasi al fallimento che fu evitato vendendo l'ultimo appartamento. Dopo un intervento chirurgico - che gli diede sollievo per alcuni anni - intraprese discretamente l'attività di antiquario, ma con l'arrivo dei tedeschi a Firenze, durante la seconda guerra mondiale, finì per rovinarlo definitivamente. L'esplosione del ponte di Santa Trinità infatti, rovinò molti degli oggetti che teneva custoditi in casa, e il resto gli fu trafugato da una banda di pseudo partigiani, mentre lui guidava quelli veri.
Da allora si riammalò gravemente e iniziò a cercare aiuto a quegli amici che lui stesso aveva aiutato in passato.Subì ancora tre interventi chirurgici, tornò alla morfina e poi si disintossicò. Dopo una serie di traversie, e il trasferimento a Roma, verso la fine degli anni '50, riuscì a trovare un po' di respiro, grazie anche alle amicizie con l'aristocrazia romana, in particolare con la Principessa Barberini, che lo invitava ogni anno a trascorrere le vacanze nel suo castello. Riallacciò i rapporti coi suoi amici registi che gli affidarono delle particine in alcuni film, ma dovette sottoporsi ad altri due interventi, il secondo dei quali, considerato il più semplice, gli fu fatale. Luigi Zuccolo morì a Roma nel 1973.
Biografia a cura di Wolframo Zuccolo.