
Sempre più spesso, quando si parla di videogiochi, si tende a sottolineare una sempre maggiore contaminazione tra il mondo videoludico e il mondo cinematografico. Vuoi per la grafica sempre più curata che permette la creazione di mondi incredibilmente realistici, vuoi per l'aspetto ormai imprescindibile di dare importanza a una trama e ad un impianto narrativo avvincente e ben scritto, fatto sta che ormai, oltre agli aspetti più tecnici legati al gameplay, sia dal punto di vista del giudizio della critica che in fase di realizzazione, non si può evitare un certo approccio "da cinema". Ne abbiamo parlato qui su Movieplayer.it in riferimento a The Last of Us Parte II di come la scrittura della storia, dei dialoghi e dei personaggi sia un aspetto ormai essenziale per la riuscita del gioco e di come questa influenzi l'esperienza di gioco. Per questo motivo l'uscita di Watch Dogs: Legion ci sembra ugualmente importante e, a suo modo, ancora più rivoluzionaria. Il terzo capitolo della saga videoludica a firma Ubisoft dedicato al mondo degli hacker promette un cambio di rotta innovativo scommettendo su un aspetto che non ha precedenti nel mondo videoludico: la mancanza di un protagonista principale dando la possibilità di impersonare ogni abitante di Londra. Sia chiaro: il nostro è un approfondimento puramente legato agli aspetti narrativi che più ci appartengono essendo specializzati in cinema e serie tv - vi rimandiamo ai nostri cugini di Multiplayer.it se avete fame di notizie puramente tecniche legato al gioco - e, con la data di uscita ancora da definire (gli ultimi aggiornamenti parlano di un'uscita autunnale per le console di prossima generazione), non abbiamo potuto provare con mano la dinamica di gioco data da questi aspetti innovativi. Tuttavia, Watch Dogs: Legion già sulla carta ci fornisce vari spunti di riflessione.
Un hacker per liberarli tutti

La trama di Watch Dogs: Legion prende solo in parte l'eredità dei due capitoli precedenti rendendosi appetibile anche dal neofita. Siamo nel 2026, in una Londra post Brexit controllata da un regime autoritario che utilizza un sistema operativo noto come ctOS per sorvegliare i cittadini. Un gruppo di hacker chiamato DedSec cercherà di combattere questo sistema governativo reclutando nuove leve in giro per la città. Un plot narrativo che, di base, ricorda le premesse di una serie tv cult come Mr. Robot, creata da Sam Esmail. Lì il protagonista Elliot (interpretato da Rami Malek) si ritrovava a far parte della fsociety, un gruppo di hacker anonimi che agivano come una sorta di giustizieri con l'obiettivo primario di liberare le persone dai debiti economici e smascherare i potenti delle multinazionali che governano il mondo. Spesso e volentieri abbiamo sottolineato come la differenza per la riuscita di un racconto non stia tanto nella trama (potremmo senza dubbio affermare che tutte le storie sono già state raccontate) quanto nel modo in cui una storia viene raccontata. Se l'idea di un hacker solitario contro i potenti della Terra può a prima vista sembrare abusata e non particolarmente originale (sia da un punto di vista cinematografico - pensiamo allo sfortunato Blackhat di Michael Mann - che proprio all'interno della saga di Watch Dogs) la rivoluzione che Ubisoft ha in serbo per questo Legion è quella di potersi collegare e impersonare ogni abitante della città con la possibilità di morte permanente in caso di missione fallita.
L'importanza di essere connessi

Ci vengono in mente le opere delle sorelle Wachowski che, sin dal primo Matrix, caposaldo della fantascienza cinematografica, hanno portato avanti - nel corso degli anni e della loro filmografia - un discorso che unisce la connettività della rete alla connessione umana. Nella trilogia di Matrix, l'eletto Neo riusciva ad essere pienamente consapevole del suo potere e delle sue capacità osservando l'intero mondo come semplice linguaggio informatico (vi ricordate il finale di Reloaded quando estrae il proiettile da Trinity?) a dimostrazione di come tutto ciò che esiste appartenga alla stessa natura. Una riflessione che, a partire dal 2000, è stata sviluppata e indagata anche attraverso opere cinematografiche più colte e sperimentali: il terzo capitolo della trilogia di documentari di Godfrey Reggio dal titolo Naqoyqatsi (la cui traduzione dalla lingua hopi corrisponde più o meno a "Vita come guerra") si interroga proprio su un linguaggio informatico che ci connette e ci forma. Il tema di Watch Dogs: Legion sembra partire dallo stesso presupposto: tutti gli abitanti di Londra nascono dallo stesso codice. Un codice che può essere letto e che può essere usato per conoscere l'identità di quello che sembra un comune essere umano e trasformarlo nell'eroe del momento. L'età, il sesso, l'aspetto esteriore sono ininfluenti: il giocatore avrà la possibilità di reclutare chiunque desideri, corteggiarlo perché si unisca alla causa, dargli la possibilità, come Morpheus e le sue pillole colorate, di svegliarsi e partecipare a una lotta che riguarda la collettività. È incredibile come il team di produzione di Watch Dogs: Legion sia riuscito a rappresentare al meglio, nonostante la storia del gioco sia ambientata in un futuro non troppo lontano, il nostro periodo storico in cui le persone, grazie ai social network e alla rete, sono interconnesse continuamente.
Noi siamo Legione

Che è poi il trait d'union che lega le ultime opere delle Wachowski: Cloud Atlas, in collaborazione con Tom Twyker, e la sfortunata serie Netflix Sense8 raccontavano una storia corale in cui vari personaggi, separati dal tempo e dallo spazio, si trovavano collegati da un legame mentale ed emotivo. Veri e propri manifesti dell'empatia collettiva e capaci di infondere fiducia e speranza per un rapporto umanista collettivo, le due opere dimostrano come la collettività sia un aspetto ormai fondante del nostro mondo ed è giusto rendersene conto. D'altronde, le rivoluzioni non si compiono attraverso singoli individui, ma attraverso un sentimento comune. Il videogioco a marchio Ubisoft sembra abbracciare questa filosofia e sembra anche sottolineare un legame con il nostro presente, quasi a voler esortare la molteplicità dei punti di vista. Rinunciare a un solo protagonista con nome e cognome per abbracciare una molteplicità di sguardi, persone, caratteristiche, storie, risulta non solo una sfida per il medium, ma anche un invito alla riflessione. Quasi a volerci dire che la nostra storia è strettamente legata alle storie di altre persone (e non è così? Non sono i nostri amici, la nostra famiglia, i nostri colleghi, i vecchi o i nuovi amori, il mondo che ci circonda a fare di noi le persone che siamo?), Watch Dogs: Legion ci dà la possibilità di immedesimarci non in un eroe vecchio stampo, ma in un'intera popolazione.
Cosa ci aspettiamo da questa rivoluzione

È interessante notare come questa scelta rivoluzionaria di poter impersonare ogni abitante della Londra del 2026 faccia parte della caratteristica imprescindibile che distingue i videogiochi da un'opera cinematografica: è solo attraverso un ruolo attivo del giocatore che questi messaggi tematici e (perché no?) filosofici colpiscono in maniera innovativa. Saremo noi a decidere le azioni e il destino dei personaggi e sarà in base alla nostra coscienza che il tempo per impersonare il personaggio varierà. Se siamo giocatori frettolosi, il nostro personaggio potrebbe fallire le missioni e trovare la morte e non ci saranno altri tentativi: quell'abitante di Londra avrà lasciato il mondo terreno e non lo potremo più usare. Un'ennesima scelta coraggiosa che però obbliga il giocatore ad agire con intelligenza. Certo, il divertimento puramente ludico siamo certi non mancherà, ma saremo costretti ad empatizzare, a ragionare sulle nostre decisioni, ad agire con la consapevolezza di avere a che fare con persone comuni. E chissà se questo approccio rivoluzionario, che ci pone in una posizione diversa rispetto alla solita consuetudine di agire, sparare, osare senza grosse conseguenze, non ci possa porre in una posizione diversa anche rispetto al nostro mondo. D'altronde, le connessioni non mancano.