Pesaro si tinge d'Argento

Prosegue la Mostra di Pesaro con l'atteso omaggio a Dario Argento e la retrospettiva che permette di ripercorrere la storia artistica del maestro del thriller.

_"È l'occasione per risarcire un grande autore della disattenzione critica che spesso ha accolto le sue opere": _così Bruno Torri, presidente del comitato scientifico della 44. Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, a proposito dell'Evento Speciale che il Festival dedica quest'anno a Dario Argento.

A cura di Vito Zagarrio (come il volume che l'accompagna, edito da Marsilio), la retrospettiva ripropone da oggi l'opera (quasi) omnia del maestro del brivido. Si comincia con due episodi della serie La porta sul buio (Il tram e Testimone oculare), seguiti da due celebri capitoli della "trilogia degli animali", Il gatto a nove code e L'uccello dalle piume di cristallo, che a tarda sera passeranno il testimone a Inferno.

Titoli entrati nella storia del cinema, presi a modello da epigoni italiani e stranieri, e sempre più studiati, oggi, dai critici di tutto il mondo: che nelle opere di Argento leggono il suo talento visionario, ma soprattutto la personalissima capacità di declinare il cinema di genere in forme sempre nuove, spesso in anticipo sui tempi. E, forse proprio per questo, mai comprese a pieno: come è capitato anche ai suoi film più recenti, da La sindrome di Stendhal a Il cartaio.

La Mostra di Pesaro offre quindi la possibilità di (ri)vedere sul grande schermo film come Opera (anche in un raro director's cut scelto come evento di chiusura del Festival, sabato in Piazza del Popolo), il leggendario Profondo rosso e l'ultimo La terza madre: e ancora, l'affresco storico Le cinque giornate (unica escursione dal genere thriller-horror), il film-tv Ti piace Hitchcock?, due episodi di Masters of Horror (Jennifer e Pelts), ed una ricca selezione di materiali inediti (interviste, partecipazioni televisive, etc.)

Ma l'appuntamento più atteso è l'incontro con Dario Argento, nel corso di una tavola rotonda (sabato 28 giugno) che vedrà riuniti per parlare di (e con) lui i suoi collaboratori di sempre, dal musicista Claudio Simonetti allo sceneggiatore Franco Ferrini.

Anche nelle sezioni collaterali, la Mostra di Pesaro prosegue il suo percorso. Ieri (nella sezione Bande à Part) è apparso un nome su cui scommettere per il futuro: si tratta dell'inglese Ben Rivers, il giovane filmmaker che ha presentato al Festival un'antologia di quattro cortometraggi, House, The Coming Race (girato in Irlanda), Ah, Liberty! e This Is My Land (entrambi ambientati in Scozia).
Immagini suggestive, sospese tra documentario e sperimentalismo, che nascono da viaggi o incontri spesso casuali: "A volte gli amici mi parlano di qualche loro conoscente, io mi incuriosisco e lo vado a trovare, e così nascono i miei film: che però hanno sempre una dose di fiction, non sono mai documentari puri".
Fedele ad una dimensione artigianale del fare cinema ("Monto i film nel lavandino della mia cucina"), Rivers gira rigorosamente in 16mm, ed in b/n, post-sincronizzando soltanto in seguito il sonoro registrato (stavolta in digitale) separatamente: il risultato ricorda il cinema delle origini, con immagini che sembrano sempre sull'orlo del disfacimento.
D'altronde il regista si è formato sui grandi modelli del passato: "Ho diretto per anni la Cineteca di Brighton, e continuo a subire il fascino dei film di ieri: soprattutto gli horror, da cui ho ripreso l'uso talvolta violento del sonoro".

È bloccata alla dogana di Milano, la copia in DigiBeta di The Prisoner/ Terrorist: il destino nel nome (anzi, nel titolo), verrebbe da dire, per il nuovo film di Masao Adachi, uno dei protagonisti della nouvelle vague e del cinema politico giapponese, regista di opere sperimentali e sceneggiatore (talvolta anche interprete) dei capolavori di Nagisa Oshima e Kôji Wakamatsu.
L'incipit, d'altronde, è davvero esplosivo: con una granata che fa cilecca, ed il terrorista "M" che invece di suicidarsi viene fatto prigioniero. Una vicenda più che mai attuale, fortemente metaforica ma ispirata alla storia vera di Kozo Okamoto, il militante dell'armata rossa giapponese arrestato dagli israeliani dopo la strage al Lod Airport del 1972.

"Non si tratta di un film biografico, men che meno di un film di propaganda terroristica", _ha tenuto a precisare il produttore Naruhiko Onozawa, che ha comunque presentato il film, proiettato ieri eccezionalmente in dvd (per il formato originale bisognerà aspettare la replica di domenica, e la ripresa di Pesaro a Roma). È un'opera "esistenziale, sull'uomo prigioniero del mondo globalizzato", _ ha continuato Onozawa, portando anche il saluto del regista, cui il governo giapponese non rilascia il passaporto, e quindi impossibilitato ad accompagnare il suo film in giro per il mondo.
Un nome leggendario, quello di Masao Adachi, lontano dal grande schermo dalla metà degli anni '70, quando si trasferì in Medio Oriente per abbracciare la causa palestinese: finendo pure in carcere (sarà estradato in Giappone soltanto nel 2001), proprio come il protagonista del suo film, imprigionato in un incubo claustrofobico, torturato fino a perdere il controllo sulla realtà.