Recensione Ritorno al futuro (1985)

Il tema dei viaggi temporali è forse uno dei più abusati della storia del cinema: l'idea di poter muoversi agevolmente lungo le linee del tempo ha sempre fatto parte delle fondamenta del cinema (e della letteratura) di fantascienza.

Zemeckis tra passato e futuro

Il tema dei viaggi temporali è forse uno dei più abusati della storia del cinema: a partire dalle varie trasposizioni del romanzo di H.G.Wells di cui è da poco uscita una nuova versione chiamata, appunto, The Time Machine fino ad arrivare ai più recenti Terminator o L'esercito delle dodici scimmie, l'idea di poter muoversi agevolmente lungo le linee del tempo ha sempre fatto parte delle fondamenta del cinema (e della letteratura) di fantascienza.

Ma Ritorno al futuro, nonostante quello che possano far pensare il tema di base e l'affascinante titolo, non è un film di fantascienza ma, almeno per una buona parte della sua durata, una classica commedia degli equivoci che ha come suoi punti di forza un umorismo scanzonato e allo stesso tempo pungente, ed una sceneggiatura ad orologeria.

Il tempo ha un aspetto di rilievo in questo film, come d'altronde dimostra la lunga sequenza sulle decine di orologi che apre il film, e in questa storia in cui paradossi temporali si susseguono a ripetizione, il ritmo è assolutamente perfetto, non una sequenza sprecata, non un'inquadratura di troppo, un meccanismo perfettamente oleato che non poteva non funzionare.
D'altronde a dirigere questa magistrale macchina d'intrattenimento c'è Robert Zemeckis che già con All'inseguimento della pietra verde, aveva dimostrato di conoscere bene i gusti del pubblico e di saperli "assecondare" (come sarà ancora più chiaro in seguito con Chi ha incastrato Roger Rabbit? e il furbo Forrest Gump), senza dimenticare che dietro a tutto questo in veste di produttore si nasconde il Re Mida di Hollywood, sua maestà Steven Spielberg.
E fu forse grazie anche al suo fiuto che Ritorno al futuro si rivelò il classico film che si trova al posto giusto nel momento giusto: bastarono, infatti, poche settimane per spingerlo nei piani alti delle classifiche d'incasso e a procurargli un largo seguito tra adolescenti e meno giovani.
Ma quando un film riesce a diventare a tutti gli effetti un cult movie vuol dire che c'è qualcosa di più che puro intuito commerciale, c'è del sentimento dietro che non sfugge nemmeno ai più distratti spettatori.
E se guardato con attenzione questo film, dietro la sua patina luccicante palesemente anni '80, dietro il suo essere volutamente divertissement nasconde un velo di nostalgia puro e rassicurante.

Invece del futuro, Zemeckis e Bob Gale, entrambi sceneggiatori del film, decidono di proiettare il loro protagonista negli anni '50 che da sempre sono parte dell'immaginario collettivo americano; invece che confrontarsi con quello che sarebbe stato il mondo dei loro figli, ricco di tecnologia ed innovazioni, preferiscono tornare indietro con gli anni e tuffarsi nel mondo dei loro padri, e viverlo nel modo in cui loro lo vissero, con i suoi tabù e le sue trasgressioni, il suo essere conservatore e rivoluzionario allo stesso tempo; ed è così che tutta la comicità del film si basa sul contrasto, perfettamente riuscito, tra purezza e sfrontatezza, in un continuo alternarsi di parti che trovano in Michael J. Fox a volte la vittima innocente della sfrenata madre teenager e in altre il pungente pigmalione dell'inerme padre.
E lo stesso stile si ritrova anche nei luoghi e gli ambienti presenti nel film: due differenti versioni della stessa scenografia sia per la ridente Hill Valley che per la High School, ma maggiore pulizia e, ironicamente, vivacità per quanto riguarda le scene relative al 1955, mentre un senso di abbandono e solitudine caratterizzano il contemporaneo 1985.

Giovano sicuramente al film anche le convincenti interpretazioni degli attori - Fox è bravo nel saper gestire tutti gli spazi, comici e non, che gli vengono offerti e Christopher Lloyd è il classico scienziato fai da te proprio come l'abbiamo sempre immaginato, ottimo con la sua vulcanica gestualità - una colonna sonora che brillantemente si divide tra contemporaneo e oldie e soprattutto una regia misurata e mai sopra le righe; d'altronde con un'idea così originale ed uno script così curato, strafare dietro la macchina da presa avrebbe voluto dire distruggere quell'armonia su cui basa tutto il film.

Ma il vero gioiello del film sono le brillanti trovate che l'hanno reso celebre, come quella di utilizzare come macchina del tempo un'automobile DeLorean, oppure quella del ballo liceale con Fox che prima si esibisce in una scatenata Johnny B. Goode ante litteram terminando l'esibizione a mo' di rockstar Heavy Metal, ovviamente provocando lo stupore generale. E come dimenticare la sequenza finale con la macchina che si alza e vola, questa volta sì, verso un futuro già deciso, quello dell'immancabile sequel.

Movieplayer.it

4.0/5