Yu-Hsiu Camille Chen presenta Little Sparrows a Roma

L'intenso esordio della regista taiwanese, trapiantata in Australia, Yu-Hsiu Camille Chen, è stato presentato al Festival di Roma dalla regista e dal cast, in un breve ma interessante incontro stampa.

Dopo la proiezione di Little Sparrows, intenso esordio, prevalentemente al femminile, della regista taiwanese trapiantata in Australia Yu-Hsiu Camille Chen, si è svolta una breve conferenza stampa in cui la regista ha spiegato il suo punto di vista sul film e le istanze che l'hanno portata a dirigerlo. Sono intervenuti inoltre i due protagonisti Nicola Bartlett e James Hagan, che hanno parlato dei rispettivi personaggi, e il direttore della fotografia Jason Thomas.

Nel film pare che ci sia un rapporto tra due elementi paralleli, la malattia e il segreto: elementi che si trovano all'interno ma che, se portati all'esterno, possono produrre risultati positivi. E' un'interpretazione corretta?

Yu-Hsiu Camille Chen: assolutamente sì. Tra malattia e segreto non ci sono reali differenze, in effetti: entrambi portano in sé una componente fisica e una emozionale.

Perché ha scelto di trattare questi temi? Il tutto parte da esperienze personali? Yu-Hsiu Camille Chen: Li ho scelti proprio perché sono temi duri, difficili. Il film è in sé molto personale, anche se non necessariamente si riferisce alla mia particolare esperienza: la perdita di mio padre, avvenuta anni fa, ha certo influito su questo lavoro, perché proprio allora mi sono chiesta chi ero, e che posto avevo nel mondo.

C'è una scena molto intensa, all'inizio del film, in cui marito e moglie sono al tavolo della cucina, a parlare, con la presenza ingombrante della malattia tra loro. La frase chiave è "it has come back", è tornato. Sorprende che sia la persona malata, la moglie, che si occupi di rassicurare e consolare il marito. Come avete preparato questa scena? Yu-Hsiu Camille Chen: In generale, nessuno degli attori ha ricevuto un copione preciso con battute definite: piuttosto abbiamo discusso approfonditamente, per mesi, dei vari personaggi, e poi abbiamo effettuato un periodo di prove. Quella scena, in sé, è stata un'esperienza quasi teatrale, nel senso che gli attori potevano scoprire da sé i loro personaggi: alla fine, dopo tutte le prove fatte, sono bastati due ciak per ottenere quello che volevamo. Nella sala di montaggio, poi, ho cercato di far emergere le cose non dette, quelle che si capiscono ma non vengono pronunciate a voce alta.
Nicola Bartlett: Susan in realtà è una sorta di collage di storie di altre donne: cresce in mezzo alle donne, e ha due vite, una interiore e l'altra esteriore. In quella esteriore è una buona madre e una buona moglie, ma nel corso del film emerge che anche lei ha i suoi segreti. Tornando alla scena della cucina, non l'abbiamo provata molto, abbiamo fatto molta improvvisazione: la scena ha in sé qualcosa di teatrale, le cose sembrano funzionare quasi per caso, e alla fine il totale rappresenta qualcosa di più della somma dei singoli elementi.
James Hagan: Il mio personaggio dipende totalmente da Susan, ed è terrorizzato quando apprende che presto gli verrà tolta.

Questo è il secondo film australiano presentato in questa manifestazione. E' forse il segno di una generale rinascita del cinema australiano? Consigliereste ai giovani che vogliono fare cinema di trasferirsi in Australia?

Yu-Hsiu Camille Chen: Quella del cinema è un'esperienza costosa e difficile, in Australia come altrove. Non so dire se questa sia una rinascita, non sono la persona più titolata per dirlo: certo, ai giovani che vogliono provare a fare cinema posso dire di impararlo prima, perché oltre ad essere un'arte il cinema è comunque un processo industriale, quindi farlo è un mestiere che va appreso. Ci dev'essere comunque innanzitutto il cuore, perché quando si ha il cuore si ha qualcosa da dire, e bisogna crederci sempre.
James Hagan: anche negli anni '70 ci fu un revival del cinema australiano, vennero da noi molti attori, ma si mantenevano facendo altri mestieri. E' un lavoro duro ovunque si scelga di farlo, ci vuole determinazione, impegno.

Cosa l'ha ispirata per dirigere questo film? Immagini particolari, o suggestioni? Yu-Hsiu Camille Chen: Principalmente il cuore e la gente. Nel film ci sono io, visto che mi piace guardarmi e capirmi, e poi ci sono quelli che mi stanno intorno, che mi piace osservare, con la curiosità che ho sempre avuto.

Nel film si vede una contrapposizione tra i ruoli maschile e femminile, visto che gli uomini in genere hanno un ruolo più accessorio. Inoltre sembra ci sia anche un modo diverso di rapportarsi ai figli. E' così?

Yu-Hsiu Camille Chen: Quando ho scritto il film non volevo fare una distinzione tra l'uomo e la donna, a me interessano le persone, a prescindere dal sesso o dai ruoli sociali. Non volevo certo sminuire gli uomini, ma il fatto che io sia una donna, madre (e figlia) ha certo un impatto sul mio modo di vedere la vita: il mio è un punto di vista femminile.
Nicola Bartlett: La storia emerge a prescindere dal punto di vista. Certo, quando si parla di figli, almeno nella nostra cultura i ruoli sono molto ben definiti: la donna ha un ruolo preminente in questo, sono solo dieci, quindici anni che anche l'uomo si occupa dei figli. Qui, in effetti, abbiamo un padre e un marito che per molto tempo è stato assente.

Perché quest'uso così marcato della luce? Yu-Hsiu Camille Chen: Il film è girato in luoghi bellissimi, la luce è naturale ma volevamo catturarla scegliendo accuratamente le inquadrature. La nostra intenzione era catturare un'idea di bellezza.
Jason Thomas: La luce è come un altro personaggio del film. Certo, abbiamo dovuto lavorare rapidamente, e quindi la luce che si vede è in gran parte naturale. Parte di questo effetto espressivo, se vogliamo, è anche casuale.