William Friedkin: un Leone alla carriera e a un futuro da filmare

Il grande regista americano, in occasione del prestigioso riconoscimento tributatogli al Lido, ha parlato a ruota libera della sua carriera, del cinema di ieri e di oggi, della società e del ruolo dell'arte cinematografic in essa.

E' sempre un piacere sentir parlare un regista che è una leggenda del cinema mondiale. Il piacere aumenta, e diventa emozione, se si tratta di un autore ancora attivo, e dalla straordinaria curiosità intellettuale, come William Friedkin: il regista de L'esorcista e Il braccio violento della legge, infatti, ha recentemente dimostrato di essere ancora in grado di dire (con forza) la sua, in un contesto cinematografico molto diverso da quello in cui iniziò; con un titolo, come Killer Joe, che ben adatta la sua poetica ai gusti e all'estetica del cinema del nuovo millennio. La Mostra del Cinema di Venezia, quest'anno (proprio nel giorno del suo settantottesimo compleanno) tributa al regista il prestigioso Leone d'Oro alla carriera, presentando in esclusiva la versione restaurata di uno dei suoi classici, Il salario della paura. L'incontro con la stampa, alla presenza del direttore della mostra Alberto Barbera, ha mostrato un Friedkin pungente e ironico, stimolante da ascoltare ma soprattutto mai pago, mosso da quella genuina passione per il cinema oggi sempre più difficile da riscontrare, anche nei registi più giovani. "Salve, sono George Clooney!", ha scherzato il regista, citando una delle presenze più gettonate quest'anno al Lido.
"Ho un ricordo indelebile del nostro primo incontro al Torino Film Festival nel 1996, quando organizzammo una personale dei suoi film", ha esordito Barbera. "Parlare di cinema con lui, e soprattutto sentirlo parlare di cinema, è una delle esperienze della vita. Questa lunga conoscenza mi ha fatto apprezzare ancora di più il suo lavoro: secondo me il suo talento non è stato ancora riconosciuto quanto realmente merita. Anche per questo gli abbiamo tributato questo premio".

Lei ha citato Il salario della paura come il film per cui vorrebbe essere ricordato, davanti a pellicole sicuramente più conosciute. Perché?
William Friedkin: Perchè è il film che più si avvicina più alla mia idea di cinematografia, ed è, tra i miei film, quello che più ha rispettato l'idea che inizialmente avevo in mente. E' stato anche un film dalla lavorazione molto travagliata, cinquanta persone hanno preso la malaria o altre malattie sul set: è stato un film difficile da fare, ma si è sempre fortunati a fare del cinema.

E' stato difficile, in quel film, doversi confrontare con un classico come quello di Henri-Georges Clouzot?
Quello di Clouzot era un grande film, ma il mio non è un remake ma una produzione nuova, una versione diversa. Ora, per esempio, sto pensando di girare una nuova versione del Rigoletto, e non sarà certo un remake delle versioni precedenti dell'opera di Verdi! Nel caso de Il salario della paura, il tema era un tema importante, e io ho cercato di girarlo in modo che fosse contemporaneo e attinente all'idea originale. Per fare un altro esempio, ci sono stati cinque film tratti da Il grande Gatsby, ma nessuno di essi può essere considerato un remake di un altro. Nel cinema ci sono poche storie, e pochissime davvero nuove. La maggior parte sono in realtà basate su altre storie già raccontate.

Ci sarà, dopo Killer Joe, una sua nuova collaborazione con Tracy Letts?
Io spero proprio di sì. Abbiamo parlato recentemente di girare un western dei nostri giorni, mentre lui ora sta scrivendo una nuova versione di Furore di John Steinbeck: sono sorpreso perché di solito lui scrive cose originali, non sceneggiature tratte da materiale altrui. Credo comunque che ne farà una grande versione. Se in futuro, per la volontà di Dio, faremo un nuovo film insieme, verremo sicuramente a Venezia... sempre se ci invitano!

Steven Spielberg recentemente ha parlato di una futura "implosione" degli studios hollywoodiani. Lei che ne pensa?
Non credo che ciò sia un problema. Certo, casomai sono gli studios ad avere un problema... ma questo è normale, tutto implode, anche l'antica Roma è implosa. Credo che ci saranno sistemi simili agli studios per molto tempo a Hollywood: loro, ora, si occupano soprattutto di distribuzione, e lo fanno bene, ma fanno pochissimi film originali. Il punto è che il concetto stesso di distribuzione ora sta cambiando: i giovani oggi possono uscire, comprarsi una piccola videocamera digitale, fare un film, collegare la videocamera al pc, montare il film e mettere il risultato in rete. Io da giovane non avrei mai potuto fare una cosa del genere, allora bisognava gestire una grande attrezzatura per realizzare un film, e reperire attori che spesso si facevano pagare molto. Diventare un regista era molto più difficile, ora più persone sono entrate nel mondo del cinema e i sistemi di distribuzione sono radicalmente cambiati. Ma gli studios avranno davvero dei problemi solo quando questi sistemi avranno soppiantato completamente i vecchi metodi. Hollywood è davvero come un casinò, oggi, un luogo dove si scommette: con i soldi che impiegano per fare un film, potrebbero farne migliaia.

L'ultimo suo film, Killer Joe, è un film indipendente: ma ha energia, carattere, in misura non inferiore alle altre sue opere...
Un film come Killer Joe non avrei potuto farlo con i soldi di Hollywood. A me non interessa avere, nei miei film, gente che vola, vampiri o zombi: e non voglio nemmeno guardare i film con questi soggetti. Storie come quella di Killer Joe non potrebbero essere realizzate da un grande studio... ed è da ricordare che anche L'esorcista fu rifiutato dalla maggior parte degli studios.

Lei vai al cinema, ora? Che tipo di film guarda?
Io guardo principalmente film che ho già visto, classici, in Blu-Ray: esempi sono Quarto potere, Il tesoro della sierra madre, I diabolici, Cantando sotto la pioggia, tutti i film di Michelangelo Antonioni (L'eclisse, Blow-Up, ecc.) Guardo questi film di continuo... non vedo film nuovi da moltissimo tempo: tra i pochi registi più recenti mi piacciono i fratelli Coen, e i vostri Matteo Garrone e Claudio Sorrentino.

Tra i suoi film, il pubblico preferisce in genere L'esorcista, mentre il suo preferito è Il salario della paura...
Non ce l'ho col pubblico, anzi sono grato che apprezzino quel film. E' un film sul mistero della fede e sulla potenza di Cristo: e non è un film metaforico, è diretto. Io credo nelle cose che racconta, e credo sia un grande mistero, quello di un uomo che arriva sulla Terra, va in giro in tunica, parla sui monti e nelle sinagoghe, e, senza aver scritto niente, fa in modo che tutti nei 2000 anni successivi credano in lui... credo sia una cosa misteriosa, e straordinariamente importante. La vita di Cristo è un mistero, sappiamo molto più di ciò che è successo negli anni successivi alla sua morte. L'esorcista parla proprio di questo, del mistero della fede e del potere di guarire i malati.

Lei è famoso per i suoi metodi un po' rudi con gli attori, un esempio è Gene Hackman ne Il braccio violento della legge. I suoi metodi nel frattempo si sono un po' ammorbiditi? Fuck you! Non c'è alcun problema con Gene, lui vive una vita fantastica, è mio amico; ora è in pensione, vive a Santa Fe, dipinge e scrive racconti. Ho avuto difficoltà con lui perché era il suo personaggio ad essere difficile. Io come regista lavoro come uno psichiatra: anche se non ho mai studiato psichiatria, credo che questa significhi innanzitutto parlare di se stessi. Io sto con gli attori prima dei film, ci parlo, e prendo le cose che sono capace di renderli felici, tristi, impauriti o coraggiosi... anche le cose che per loro sono tragiche. Ad esempio, a Linda Blair ne L'esorcista ho chiesto quale fosse momento più tragico della sua vita, e lei mi ha risposto la morte di suo nonno: io l'ho preso e gliel'ho fatto ricordare, usandolo come traccia sensoriale. Sono gli attori che devono essere felici, tristi o cattivi nel momento in cui recitano, e questo si raggiunge solo attraverso la memoria sensoriale. Hackman doveva essere arrabbiato, e io ho cercato di provocare questa rabbia: alla fine lui era più arrabbiato con me di quanto non lo fosse, nella finzione, il suo personaggio con lo spacciatore.

La nostra società sembra andare alla deriva dal punto di vista politico, economico ed ecologico. Quale può essere il ruolo del cinema?
Una delle cose che vorrei fare stasera, quando mi daranno il premio, risponderà alla sua domanda. Bertolt Brecht disse che l'arte non è uno specchio, ma un martello con cui trasformare la società: Il salario della paura, per esempio, è una metafora per le nazioni che non vanno d'accordo, che non trovano il modo non dico per piacersi, ma nemmeno per rispettarsi l'una con l'altra. Per questa non accettazione dell'altro, oggi il mondo è sull'orlo dell'estinzione: se si apre il giornale, si vede che tutti i capi di stato minacciano qualcun altro. Questo periodo è il primo, nella storia, in cui un solo pazzo, chiunque sia, potrebbe teoricamente mettere a rischio tutti. Credo che il cinema possa essere un modo per aiutare la gente che non si piace troppo, a stare un po' meglio insieme.

Ma quali sono i soggetti che possono aiutare la società in tal senso?
Non certo quelli con i supereroi. A noi non servono dei Superman o dei Batman, ma solo degli esseri umani: credo che l'unica soluzione sia che il mondo ritrovi qualcuno come Gandhi, Siddharta o Martin Luther King, qualcuno che metta in gioco la sua vita per la pace. Quando vedo il nostro governo che minaccia un altro paese, mi vergogno: io credo che evitare ciò sia il ruolo del cinema. L'America non può essere il poliziotto del mondo.

Cosa ne pensa della nuova Golden Age della tv? La televisione via cavo può raggiungere quella libertà creativa che voi della New Hollywod sognavate?
Credo che in America i prodotti della tv via cavo siano migliori del cinema: alcune delle cose migliori degli ultimi anni le ho viste in tv, penso a serie come I Soprano, Homeland, 24... ciò, in un certo senso, è pericoloso per il cinema. In America, e anche altrove, ormai i film sono aperti alla tv, agli iPad e ai computer, oltre che alle sale cinematografiche. Comunque, l'importanza della televisione non è in sé una minaccia per gli studios; visto che gli stessi finanziano anche le serie televisive.

Quali sono i tre consigli che potrebbe dare, oggi, a un giovane filmaker?
Il primo: l'importanza della collaborazione, la capacità di un regista di comunicare le proprie idee a uno staff. Il secondo: essere sempre aperti alle idee degli altri: spesso le cose eccellenti, nei miei film, vengono da idee di qualcun altro. Il terzo, ma è la cosa più importante: essere onesti con se stessi, non dirsi mai che qualcosa funziona quando in realtà non è così. Piuttosto, rifarla finché non funziona davvero. E ancora: se siete in una scuola di cinema, lasciatela subito! Andate fuori, comprate una videocamera, montate i vostri film e metteteli sul web! Fregatevene delle critiche, nessuno può insegnarvi come fare il cinema: il cinema si impara guardandolo e facendolo. Il cinema porta altro cinema. Guardatevi i film di Hitchcock, per esempio: guardate il modo in cui sapeva gestire qualsiasi scena, e non solo quelle di suspence, ma soprattutto quelle comiche e d'amore...