Recensione Caccia spietata (2006)

Seguace di un rilanciato istinto classicista, Caccia spietata è un revenge western che racconta la più usuale delle storie di inseguimento e vendetta, ma con una ricchezza e un'essenzialità notevoli e un sorprendente tocco 'metafisico'.

Western revenge

Il western contemporaneo ha invertito il rapporto tra quantità e qualità in modo inequivocabile. Da modello narrativo privilegiato del racconto americano il genere si è progressivamente trasfigurato in infinite forme, modelli e sottogeneri, orgoglioso di celebrare il suo immortale immaginario con uno sguardo progressivamente sempre più autoriale. Se dalle nostre parti tre anni fa si è bellamente ignorato il migliore new-western degli ultimi anni (il bellissimo The Proposition, di John Hillcoat e Nick Cave, recuperato solo da poco in home-video) c'è allora quasi da gridare al miracolo, di fronte alla scelta di distribuire, a due anni dalla sua realizzazione, questo Caccia spietata, prodotto dalla Icon di Mel Gibson e ottimamente diretto da un eclettico regista di serie televisive come David Von Ancken.

Seguace di un rilanciato istinto classicista - per quanto narrativamente rinnovato - sulla falsariga di Terra di confine e L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, Caccia spietata è un revenge western che racconta la più usuale delle storie di inseguimento e vendetta, ma con una ricchezza e un'essenzialità notevoli e un sorprendente tocco "metafisico". Gideon è un ex colonnello della Guerra Civile Americana costretto alla fuga da un gruppo di uomini pagati e guidati da Carver, con cui ha un conto in sospeso per la tragica morte della sua famiglia avvenuta a guerra ultimata. Una caccia all'uomo che si dipana dal freddo delle montagne per le praterie fino al deserto e all'inevitabile resa dei conti.

Se i modelli più evidenti sono Lo sperone nudo, Il Texano dagli occhi di ghiaccio e Nessuna pietà per Ulzana, solo per citarne alcuni abbastanza ovvi, Von Ancken si dimostra capace di rinnovare un discorso solo apparentemente privo di nuovi possibili punti di vista, e di fornire un profondo significato al narrato, attraverso un'aderenza mai banale al genere, filtrandone le coordinate più evocative mediante il fuori campo - prezioso sotto questo profilo il notevole montaggio ricco di sofisticati rimandi e significative legature tematiche - e rifiutando di aderire a un rigido punto di vista morale, esaltando il percorso metaforico e tragico dei personaggi. Sorprende poi Pierce Brosnan, capace, molto più del celebrato Liam Neeson, di una prova assolutamente inappuntabile. Vederlo mezzo assiderato e nudo, nella neve, intento a togliersi un proiettile dalla spalla, in una scena di una frontalità formidabile, è sufficiente per lasciarsi alle spalle tanti anonimi 007. D'altronde "un uomo deve fare ciò che deve fare", sentenzia una magnifica Anjelica Huston, nella sua improvvisa apparizione finale, in un ruolo di grande pregnanza simbolica. Quasi a fornire una rinnovata paternità a tutta la morale del western crepuscolare e alla sua ineluttabilità. Perchè la pistola della vendetta vale perfino più dell'acqua nel deserto e un proiettile quanto un cavallo, quando il percorso delle cose diviene immodificabile. Almeno prima che la danza dei dannati giunga al termine in un anti-climax da brivido. Ancora una volta, no country for old men.