Recensione Linda Linda Linda (2005)

Semplicità è una parola che si avverte quasi la necessità di ripetere continuamente parlando di questo film, espressione che non va però confusa con banalità o monotonia, che al contrario non sono accostabili al lavoro di Yamashita Nobuhiro.

We are Paran Maum

Una consistente porzione del cinema giapponese contemporaneo è occupata dal filone new-pop, genere che deve buona parte delle proprie caratteristiche estetiche all'immaginario manga. I risultati sono spesso coloratissimi e frenetici mosaici di caricature e situazioni demenziali, ricordiamo ad esempio un altro successo passato al Far East Film Festival come Kamikaze Girls, o più ordinarie storie d'amore direttamente tratte da shonen e shojo (manga per adolescenti) come nel caso del poco riuscito live-action Nana. In particolare con quest'ultimo le assonanze sembrano essere molte, ma è proprio per le differenze rispetto ai canoni del genere che Linda Linda Linda convince e conquista.

In occasione del festival culturale scolastico un gruppo rock formato da studentesse decide di esibirsi al concerto organizzato per l'evento. A pochi giorni dalla serata però, la cantante e chitarrista solista della band abbandona le compagne con la scusa di un infortunio alla mano. La soluzione più semplice sarebbe quella di rinunciare al concerto, ma le ragazze non si perdono d'animo e una volta deciso di mettere Kei (Yu Kashii), tastierista del gruppo, alla chitarra e di sostituire il proprio repertorio con più semplici cover di un noto gruppo J-Punk degli anni 80 (i Blue Hearts), non resta che trovare una nuova cantante. La scelta ricade su Song (Bae Du-na), una studentessa coreana che non parla affatto bene il giapponese, né tanto meno lo canta.

Semplicità è una parola che si avverte quasi la necessità di ripetere continuamente parlando di questo film, espressione che non va però confusa con banalità o monotonia, che al contrario non sono accostabili al lavoro di Nobuhiro Yamashita. Se la trama infatti sembra non proporre nulla di nuovo, è nello stile narrativo essenziale e diretto dell'appena trentenne regista nipponico che Linda Linda Linda trae la propria linfa positiva. Del genere Yamashita sfrutta la possibilità di mettere in scena più personaggi e di caratterizzarne le particolarità, ma lo fa con pacatezza, presentandoceli con un gusto quasi documentaristico per tutte quelle più sottili sfumature della loro quotidianità che generalmente verrebbero tralasciate. È il ritmo infatti la proprietà più insolita di questo film; senza fretta il regista lascia che le giovani protagoniste si raccontino da se, lasciandosi avvicinare dallo spettatore ed invitandolo ad entrare nel loro piccolo mondo di liceali, che non è certo quello mosso da enormi scosse o sfrenate avventure a cui solitamente capita di assistere in film di analoga ambientazione.

I meriti non vanno però solo al regista, oltre che all'evidente qualità di una sceneggiatura perfettamente calibrata, scritta con Wakako Miyashita e Kôsuke Mukai, risulta impossibile non menzionare il giovane cast femminile tra cui spiccano i nomi di Kahori Fujii e Aki Maeda. Ma è in particolare la presenza energetica dell'attrice coreana Bae Du-na (indimenticabile terrorista di Sympathy for Mr. Vengeance) a conquistare prepotentemente la scena e l'affetto dello spettatore. È il suo fare impacciato e genuino ad accompagnarci in questo vivace viaggio nell'ordinaria realtà delle quattro protagoniste. Per questo non è tanto l'attesa di vedere realizzarsi il sognato e temuto debutto sul palco, quanto tutto quel susseguirsi di piccole avventure quotidiane - i litigi, la noia, gli amori - che uniscono e investono le giovani protagoniste in tutto il dolce-amaro sapore dell'adolescenza, ad attirare l'attenzione e a coinvolgere scena dopo scena.

Ogni lontano accenno a tanti scialbi filmetti per adolescenti che potrebbero suggerire alcune caratteristiche della trama (l'ambientazione scolastica o la nascita di una giovane rock band) perde consistenza di fronte alla limpidezza e alla fresca ironia di questo lavoro; e per quanto sia innegabile che il finale goda di una notevole (e doverosa) forza suggestiva, la verità è che si preferirebbe che il film non finisse, non ancora sazi di quel martellante ritornello del titolo che continuerà a tornare alla mente senza tregua accanto alle dolci immagini della pellicola.