Recensione Le cinque variazioni (2003)

Von Trier si mostra apertamente per quello che è, perverso, un po' sadico, intelligente, molto ironico, pronto a prendersi terribilmente sul serio ma al contempo a ridere sotto i baffi di sé, delle sue idee e di quanto queste vengano interpretate seriamente dagli altri.

Von Trier su Von Trier

Una sfida. Un perverso, ironico, a tratti sadico, ma sempre stimolante gioco intellettuale. Un manifesto programmatico che parla di un'idea e di una concezione di cinema. Le cinque variazioni è tutto questo e molto altro ancora. È un film documentario che spiega e racconta Lars Von Trier ed il suo cinema meglio e più di saggi, recensioni e quant'altro. Un film che - per chi volesse avvicinarsi o approfondire la sua conoscenza del regista danese - fa il paio con il bel libro intervista di Stig Bjorkman Lars Von Trier - il cinema come Dogma.

Già in quel libro infatti, Von Trier confessava il suo grande amore per il regista e documentarista danese Jørgen Leth ed in particolare per un suo cortometraggio del 1967 intitolato L'uomo perfetto. E Le cinque variazioni racconta proprio della sfida lanciata da Von Trier a Leth, sfida consistente nel realizzare nuovamente, per 5 volte, lo stesso cortometraggio, accettando però ogni volta alcuni limiti, alcuni ostacoli (il titolo originale del film, The Five Obstructions - letteralmente "le cinque ostruzioni" - è a questo proposito molto più calzante di quello italiano). Una volta si tratta di utilizzare sequenze lunghe al massimo 12 frame, un'altra quella di girare in un luogo ed in una lingua non familiare, un'altra ancora quello di rifare il corto sotto forma di film d'animazione.

Ma non sono le "ostruzioni", i limiti imposti da Von Trier ad essere importanti. Né lo sono i 5 (pur interessanti) risultati ottenuti da Leth nella rielaborazione del suo stesso materiale. Quello che è importante è che il film racconta - in maniera diretta ed al tempo stesso metaforica - la genesi e la realizzazione di un'opera filmica, così com'è concepita dal regista di Dogville.
Lo Jørgen Leth che viene raccontato ne Le cinque variazioni è non è solamente una "vittima" della sadica follia del suo più giovane collega, ma è incarnazione stessa di Von Trier, come lo era il Tom di Dogville, ed al contempo l'incarnazione dello spettatore. Nel suo essere un alter ego di Von Trier rappresenta l'imprescindibile necessità che un regista ha di confrontarsi con il proprio intelletto in maniera sempre nuova e stimolante, un intelletto (rappresentato in questo caso dal vero Von Trier) che non deve spingere alla conciliazione ma che deve portare a sfidare i propri limiti, le proprie concezioni del mondo, degli uomini e del cinema: perché nella concezione che trapela da Le cinque variazioni, l'opera d'arte, il film, non nasce dalla conciliazione, ma dal conflitto, dall'(auto)imposizione di limiti da aggirare/superare, dalla costante e sfibrante dialettica con le proprie aspirazioni, con le proprie intenzioni, con il proprio intelletto.

Allo stesso tempo abbiamo detto che ne in questo documentario Von Trier guarda a Leth come guarda ai suoi spettatori: lo mette di fronte a delle richieste precise, lo spinge ai limiti della sua natura e di quanto ritiene accettabile, lo sfotte e lo deride, ma solo per "elevarlo", come - ancora - vorrebbe fare Tom nei confronti della gente di Dogville, e spingerlo verso un percorso di (reciproca) comprensione e condivisione del prodotto film.

È quindi Lars Von Trier la vera vittima di sé stesso in questo film, un Lars Von Trier che si mostra apertamente e senza pudori per quello che è, perverso, un po' sadico, intelligente, molto ironico, pronto a prendersi terribilmente sul serio ma al contempo a ridere sotto i baffi di sé, delle sue idee e di quanto queste vengano interpretate seriamente dagli altri. Le cinque variazioni è un viaggio attraverso la mente del regista danese e la sua idea del cinema - ma in senso più ampio della vita. Un viaggio nel corso del quale - così come avviene nelle opere di fiction di Von Trier - è impossibile rimanere indifferenti, perché si viene provocati e stimolati. Si ride e ci si arrabbia, ma soprattutto si guarda e si riflette in maniera mai banale né scontata su molti aspetti del cinema e della creazione artistica.
E si comprende molto meglio chi diavolo sia questo Lars Von Trier, perché fa i film che fa e cosa vuole da sé stesso e da noi spettatori.